Misurando attentamente le parole dissi: — Ti ho mai detto che mia madre era una Viva? Che è stata uccisa mentre combatteva per gli Stati Uniti nel Conflitto Cinese? Era sergente maggiore.
A dire il vero mia madre era morta quando io avevo due anni, la ricordavo a malapena. Stephanie ebbe tuttavia il buon gusto di apparire imbarazzata. — No, e avresti dovuto farlo prima di lasciarmi pronunciare questa filippica. Questo però non cambia le cose. Tu "sei" un Mulo. Sei modificata geneticamente. Esegui un lavoro utile.
Quest’ultima affermazione era generosa oppure maligna. Ho fatto svariati lavori, nessuno dei quali di utilità duratura. Ho una teoria sulla gente che finisce con l’avere una catena di carriere a breve termine. Si tratta, incidentalmente, della stessa teoria che ho sulla gente che finisce con l’avere una catena di amori a breve termine. Questo avviene perché ogni nuovo amore/lavoro rivela una nuova inadeguatezza interna. Con uno si scopre la propria capacità di essere pigri; con un altro di essere petulanti e così via. La somma di troppi mestieri o di troppi amori, quindi, risulta la stessa: un diagramma di prestazioni varie che scende a picco, inevitabilmente, verso il quadrante inferiore destro. Tutte le proprie debolezze stanno lì, esposte. Quella che è mancata a un amore o a un mestiere verrà evidenziata dal successivo.
Negli ultimi dieci anni ho lavorato nel campo della sicurezza, degli olo-video di intrattenimento, della politica per la contea, delle concessionarie per la manifattura di mobilia (più di una), della legge sui robot, del catering, dell’istruzione, della sincografia applicata, della sanità. Nulla di azzardato, nulla di perduto. Eppure David, che era venuto dopo Russel, dopo Anthony, dopo Paul, dopo Eugene, dopo Claude, non aveva mai definito "me" "mercuriale". Il che era certamente indicativo di qualche cosa.
Non avendo reagito alla stilettata di Stephanie lei la ripeté, sorridendo in modo premuroso. — "Tu sei" un Mulo, Diana. Svolgi un lavoro utile.
— Sto per farlo — risposi io.
Lei si versò un altro drink. — Ci sarà David a questa festa di Colin Kowalski?
— No. Sono certa di no. Si troverà però alla campagna per la raccolta di fondi che Sarah terrà sabato. Abbiamo entrambi accettato di andare alcune settimane fa.
— E tu ci andrai?
— Non penso.
— Capisco. Se però tu e David avete realmente chiuso…
— Vagli dietro, Stephanie. — Non la guardai in faccia. Da quando David se n’era andato avevo perduto tre chili e mezzo e tre amici.
Diciamo che mi sono unita all’ECGS perché ero stata piantata in asso, che ero disgustata di Stephanie e di tutto quello che rappresentava, che ero stanca della mia vita in quel momento estremamente noioso, che ero semplicemente alla ricerca di un nuovo brivido. Diciamo che sono stata impulsiva.
— Sarò fuori città per qualche tempo — dissi.
— Oh? Dove andrai?
— Non sono ancora sicura. Dipende. — Lanciai un’ultima occhiata al costosissimo cagnolino, spiaccicato, ultimo ritrovato della tecnologia e dei valori americani.
Diciamo che sono stata una patriota.
La mattina dopo presi un volo per recarmi nell’ufficio di Colin Kowalski in un complesso governativo a ovest della città. Dal cielo, gli edifici e le ampie zone di atterraggio formavano un disegno geometrico, circondato da strisce informi di alberi carichi di fiori gialli brillanti. Immaginai che gli alberi fossero modificati geneticamente in modo da fiorire per tutto l’anno. Alberi e prati si interruppero bruscamente al perimetro della bolla formata dal campo di sicurezza a energia-Y. Al di fuori di quel cerchio incantato il terreno tornava ai cespugli, punteggiato da alcuni Vivi impegnati in una corsa di scooter.
Dalla mia aeromobile ero in grado di scorgere l’intero tracciato, una linea gialla rilucente di energia-Y larga quasi un metro e lunga circa otto "contorti chilometri. Uno scooter a base piatta sfrecciò dalla navetta di partenza, guidato da una figura con una tuta rossa che, alla sua velocità e alla mia altitudine, non era niente di più di una macchia confusa. Ero stata a qualche corsa di scooter. Il dispositivo gravitazionale era programmato in modo tale da restare esattamente quindici centimetri al di sopra della pista. Dei coni a energia-Y posti sotto al fondo ne determinavano la velocità: più forte era l’inclinazione rispetto al tracciato a energia, più veloce poteva andare lo scooter e più difficile diventava da controllare. Al pilota era permessa una sola maniglia, oltre a un pomolo attorno al quale poter agganciare un ginocchio. Doveva essere come cavalcare con la sella laterale a ottantacinque chilometri all’ora… non che alcuno dei Vivi avesse mai sentito parlare di selle laterali. I Vivi non leggevano libri di storia. Né altro.
Gli spettatori erano appollaiati su inconsistenti panche lungo la pista per gli scooter. Applaudivano e gridavano. Il pilota era arrivato a metà percorso quando un secondo scooter venne lanciato dalla navetta. La mia aeromobile era stata autorizzata ad atterrare dal campo di sicurezza governativo che si era inserito sui miei comandi per guidarmi all’interno. Mi girai sul sedile per tenere d’occhio il tracciato degli scooter. A quell’altezza ero in grado di vedere più chiaramente il primo pilota. Egli aumentò l’inclinazione dello scooter, anche se quella parte della pista era sconnessa, insinuandosi fra rocce, buche e cumuli di sterpaglia tagliata. Mi chiesi come facesse a sapere che il secondo scooter stava guadagnando terreno rispetto a lui.
Vidi il primo pilota sfrecciare verso un masso parzialmente interrato. La linea gialla della pista vi scivolava sopra. Il pilota spostò il proprio peso verso il centro, cercando di rallentare. Aveva aspettato troppo. Lo scooter si impennò e schizzò via, mentre il pilota volava a terra. Colpì con la testa il margine del masso a oltre un chilometro e mezzo al minuto.
Un istante dopo il secondo scooter sfrecciò, con i suoi coni a energia, esattamente a quindici centimetri dal cranio fracassato del primo pilota.
La mia aeromobile scese lentamente al di sotto delle cime degli alberi e atterrò fra due aiuole di sgargianti fiori modificati geneticamente.
Colin Kowalski mi venne incontro nell’atrio, un severo ingresso neo-Wrightiano di un grigio deprimente. — Mio Dio, Diana, sei pallidissima. Cosa c’è?
— Niente — risposi io. Nonostante nelle corse di scooter la morte sia una costante, non avevo mai assistito a un tale evento personalmente e tanto da vicino. Il cranio fracassato non era apparso più sostanziale di un fiore.
— Hai bisogno di una boccata di aria fresca — disse Colin. — Andiamo a fare una passeggiata?
— Una che? — chiesi io, sconcertata. Avevo appena preso un po’ d’aria fresca. Quello che volevo era sedermi.
— Il dottore non ti ha prescritto delle passeggiate tranquille? Nelle tue condizioni? — Colin mi prese per un braccio e questa volta fui tanto sveglia da non dire "Le mie, cosa?" Il vecchio addestramento ritornava velocemente alla memoria. Colin aveva paura che l’edificio non fosse sicuro.
Come poteva non essere sicuro un complesso governativo sotto un campo a energia-Y di massima sicurezza? Quel posto doveva essere plurischermato, bloccato, controllato costantemente. C’era solamente un gruppo di persone delle quali si poteva anche solo remotamente sospettare che avessero sviluppato monitor così radicalmente non individuabili…
Restai stupita di me stessa. Il mio cuore perse effettivamente un colpo. Apparentemente riuscivo ancora a provare interesse in qualcosa che non fossi io stessa.
Colin camminò con me oltre un grazioso giardino di meditazione verso un esteso prato aperto. Camminammo lentamente, come si confaceva a uno nella mia condizione, qualsiasi essa fosse.
— Colin, tesoro, sono incinta?
— Hai il morbo di Gravison. Diagnosticato soltanto due settimane fa nell’Enclave Medica John C. Frémont, dopo i tuoi ripetuti ricoveri a causa delle vertigini.