La vecchia batté le palpebre e alzò gli occhi. La stanza sembrava molto buia.
Non sapendo che dire, osservò: — Un tempo strano. — Anche con gli occhi chiusi continuavano a danzarle davanti le pagliuzze luccicanti.
— Non credo che sia il tempo — disse Hilta. — In realtà una persona non è in grado di vederlo, è la sfera di cristallo che lo mostra. Credo che sia la magia, che si condensa fuori dell’aria.
— Dentro la verga?
— Sì. È questa l’opera della verga di un mago: distilla in qualche modo la magia.
La Nonnina si arrischiò a gettare un’altra occhiata alla palla di cristallo.
— Dentro Esk — azzardò.
— Sì.
— Sembra che ce ne sia un sacco.
— Sì.
La Nonnina desiderò, e non per la prima volta, di saperne di più sul modo in cui i maghi usavano la loro magia. Ebbe la visione di Esk che si riempiva di magia, finché ogni tessuto e ogni poro del suo corpo non ne erano saturati. Quindi la magia cominciava a uscirne, adagio dapprima, per trasformarsi poi, mano a mano, in grandi rovesci di potenzialità occulta. Capace di causare ogni sorta di danni.
— Accidenti — esclamò. — Non mi è mai piaciuta quella verga.
— Almeno la piccola si sta dirigendo verso il luogo dove c’è l’Università — la consolò Hilta. — Loro sapranno cosa fare.
— Può darsi. Secondo te, quanta strada hanno fatto sul fiume?
— Venti miglia o giù di lì. Quelle chiatte si spostano soltanto a passo d’uomo. Gli Zoon non hanno fretta.
— Bene. — La Nonnina si alzò, la mascella serrata in atto di sfida. Prese il cappello e raccolse la sacca contenente tutti i suoi beni.
— Ritengo di poter camminare più svelta di una chiatta. Il fiume fa una quantità di curve, io invece vado in linea retta.
— Hai intenzione di andarle dietro a piedi? — Hilta era esterrefatta. — Ma ci sono foreste e animali selvatici.
— Bene, non mi dispiacerebbe tornare alla civiltà. Lei ha bisogno di me. Quella verga le sta prendendo la mano. Dicevo che l’avrebbe fatto, ma qualcuno mi ha ascoltato?
— Lo hanno fatto? — chiese Hilta che ancora tentava di capire che cosa intendeva l’amica per ritorno alla civiltà.
— No — rispose fredda la Nonnina.
L’uomo si chiamava Amschat B’hal Zoon. Viveva sull’imbarcazione con le sue tre mogli e i tre figli. Era un Bugiardo.
Ciò che sempre irritava i nemici della tribù Zoon non era semplicemente la loro onestà, totale al punto da fare rabbia, ma il loro modo schietto di esprimersi. Gli Zoon non avevano mai sentito parlare di un eufemismo, né avrebbero saputo che farci se ne avessero avuto uno, salvo a definirlo senza dubbio "un modo carino di dire una cattiveria".
La loro rigida aderenza alla verità non era loro imposta da un dio (come generalmente è il caso), ma aveva una base genetica. Di regola uno Zoon non era capace di dire una bugia più di quanto fosse capace di respirare sott’acqua. Infatti, il concetto stesso bastava a sconvolgerli in maniera considerevole. Dire una Bugia equivaleva ad alterare totalmente l’universo.
Il fatto costituiva un certo handicap per una razza di commercianti. E così, nel corso dei millenni, gli anziani degli Zoon avevano studiato quello strano potere che gli altri possedevano in tale abbondanza, e avevano deciso che anche loro dovevano averlo.
I giovani che mostravano il minimo segno di tale talento venivano spronati, in occasione di speciali ricorrenze cerimoniali, a gareggiare nella distorsione della Verità. La prima protomenzogna registrata nella storia degli Zoon era stata: "Effettivamente, mio padre è molto alto". Ma alla fine, avendo capito il meccanismo, avevano istituito la carica di Bugiardo tribale.
Bisogna comprendere che, mentre la maggioranza degli Zoon è incapace di mentire, essi provano grande rispetto per lo Zoon in grado di affermare che il mondo è diverso da quello che è. E il Bugiardo gode di una posizione eminente. Egli rappresenta la sua tribù nei suoi contatti con il mondo esterno, che lo Zoon ordinario ha rinunciato da lungo tempo a capire. Le tribù Zoon sono molto fiere dei loro Bugiardi.
Tutto ciò irrita parecchio le altre razze. Per loro, gli Zoon avrebbero dovuto adottare titoli più adatti, quali "diplomatico" o "addetto alle pubbliche relazioni". Ritengono che quelli si facciano beffe delle convenienze.
— È tutto vero? — domandò sospettosa Esk, con uno sguardo alla cabina affollata.
— No — dichiarò Amschat. La moglie più giovane, che stava cucinando il porridge su un piccolo fornello elaborato, ridacchiò. I tre bambini fissavano solenni Esk al di sopra del bordo del tavolo.
— Tu non dici mai la verità?
— E tu? — La smorfia divertita dell’uomo mise in mostra una vera miniera d’oro, ma i suoi occhi non sorridevano. — Perché ti trovo sul mucchio della mia lana? Amschat non rapisce i bambini. Ci saranno delle persone a casa che si preoccupano, sì o no?
— Mi aspetto che la Nonnina verrà a cercarmi — rispose Esk — ma non credo che si preoccuperà molto. Immagino che sarà arrabbiata. Comunque, sono diretta a Ankh-Morpork. Puoi cacciarmi dalla nave…
— …barca…
— Se vuoi. Non m’importa del luccio.
— Non posso farlo — affermò Amschat.
— Era una bugia?
— No! Il paese intorno a noi è pericoloso, ladri e… altro.
Esk annuì tutta contenta. — Allora, è tutto a posto. Non mi da fastidio dormire sulla lana. E posso pagarmi il passaggio. Posso… — Esitò. La sua frase interrotta rimase sospesa nell’aria come una piccola voluta di cristallo, mentre la discrezione si aggiudicava il controllo della sua lingua. — … fare cose utili — concluse debolmente.
Si accorse che Amschat guardava di sottecchi la moglie più anziana, che stava cucendo vicino alla stufa. Secondo la tradizione Zoon, la donna vestiva soltanto di nero. La Nonnina l’avrebbe approvato incondizionatamente.
— Che genere di cose utili? — chiese l’uomo. — Lavare e spazzare, sì o no?
— Se vuoi — rispose Esk. — Oppure distillati usando il duplice o triplice alambicco, fare vernici, smalti, creme, fondere le varie cere, fabbricare candele, selezionare semi, radici e talee e tantissime preparazioni con le Otto Erbe Meravigliose; sono capace di filare, cardare, macerare e tessere sul telaio a mano e a pedali, lavorare a maglia se qualcuno mi mette la lana sui ferri; posso leggere il suolo e le rocce, fare piccoli lavori di falegnameria; predire il tempo facendo attenzione ai segnali degli animali e scrutando il cielo; badare alle api, fare cinque tipi d’idromele, fare tinture, acidi e pigmenti, incluso un azzurro molto resistente; sono capace di fare quasi tutti i lavori da stagnino, risuolare gli stivali, curare e lavorare moltissime pelli. E se avete delle capre, posso badarci io. Mi piacciono le capre.
Amschat la guardava pensieroso. La bambina capì che si aspettava che lei continuasse.
— Alla Nonnina non garba vedere le persone starsene sedute senza fare niente. Lei dice sempre che una ragazza che sa usare le mani, sarà sempre in grado di guadagnarsi da vivere — spiegò.
— O di trovarsi marito, immagino — osservò l’uomo.
— In effetti, la Nonnina aveva da dire molto su questo punto…
— Ci scommetto — disse Amschat, con un’occhiata alla moglie più anziana che annuì quasi impercettibilmente.
— Benissimo — riprese. — Se sei in grado di renderti utile, puoi rimanere. E sai suonare uno strumento?
Esk lo fissò a sua volta, senza battere ciglio. — Probabile.
E così Esk, con un minimo di difficoltà e un po’ di rimpianto, lasciò le Ramtop e il loro clima e si unì agli Zoon nel loro lungo viaggio sull’Ankh.
C’erano almeno trenta chiatte e su ognuna almeno una numerosa famiglia di Zoon. Nessuna delle imbarcazioni trasportava lo stesso carico. La maggior parte erano attaccate insieme e gli Zoon tiravano semplicemente il cavo e si trasferivano sul ponte della più vicina, quando gli veniva voglia di stare un po’ in compagnia.