Se tornare alla chiatta era fuori questione, non rimaneva che una cosa. Allungò una mano e chiuse gli occhi.
Sapeva esattamente cosa voleva fare. Se lo vedeva davanti agli occhi. La verga non doveva arrivare volando, distruggendo la chiatta e attirando l’attenzione. Lei voleva soltanto provocare un piccolo cambiamento nel modo in cui il mondo era organizzato. Non un mondo dove la verga stava nascosta nella lana, ma un mondo dove stesse nelle sue mani. Un piccolo cambiamento, un’alterazione infinitesimale nel Modo di Essere delle Cose.
Se Esk avesse ricevuto il corretto addestramento nell’arte dei maghi, avrebbe saputo che ciò era impossibile. Ogni mago sapeva come spostare gli oggetti, cominciando dai protoni in su. Ma, secondo la fisica elementare, l’importante nel muovere un oggetto dall’A alla Z era che. a un certo punto, si doveva passare attraverso il resto dell’alfabeto. Il solo modo perché un oggetto svanisse ad A e comparisse a Z, sarebbe stato scompigliare la Realtà stessa. Il pensiero rifuggiva dai problemi che ciò avrebbe causato.
Esk, naturalmente, non era stata addestrata. Ed è noto che un ingrediente vitale del successo è non sapere che è impossibile fare ciò che si tenta. La persona che ignori le possibilità di fallire può costituire un serio ostacolo sul sentiero della bicicletta della storia.
Durante gli sforzi della bambina per spostare la verga, le onde si propagavano nell’etere magico e causavano nel mondo-Disco una miriade di minutissimi mutamenti, di cui la maggior parte andò ignorata. Forse sulle spiagge qualche granellino di sabbia cambiò appena di posizione o una foglia rimase appesa al ramo in modo marginalmente diverso. Ma poi l’onda della probabilità investì il confine della Realtà e rimbalzò come il fango fuori dalla riva dello stagno. Così, incontrando le onde pigre provenienti dalla direzione opposta, causò piccoli ma importanti vortici nel tessuto dell’esistenza. Si possono avere vortici nel tessuto dell’esistenza, perché è un tessuto assai strano.
Naturalmente Esk ignorava tutto questo, ma fu molto soddisfatta quando dall’aria la verga le cadde in mano.
La sentì calda.
La guardò per un po’ e capì che doveva fare qualcosa: era troppo grossa, troppo appariscente, troppo imbarazzante. Attirava l’attenzione.
— Se ti porto ad Ankh-Morpork — disse a voce alta e con fare pensieroso — ci devi andare camuffata.
Gli ultimi pochi sprazzi di magia volteggiavano intorno alla verga e si spensero.
Alla fine Esk trovò una soluzione al problema immediato. Scovò nella principale piazza del mercato di Zemphis un negozietto che vendeva delle scope. Comperò la più grossa, se la riportò sotto il portone, tolse il manico e infilò con forza la verga nella saggina. Non le sembrava giusto trattare in quel modo un nobile oggetto e lei se ne scusò in silenzio.
Comunque, faceva una bella differenza: nessuno guardava due volte una ragazzina che portava una scopa.
Si comprò un dolce da mangiare mentre andava in giro. (Il negoziante sbadatamente le diede meno resto del dovuto e si accorse solo più tardi di averle inesplicabilmente consegnato due monete d’argento; inoltre, i topi entrati non si sa come durante la notte, gli mangiarono tutta la merce; e sua nonna fu colpita da un fulmine).
La città era più piccola di Ohulan e molto diversa perché si trovava all’intersezione di tre rotte commerciali, lontano dal fiume. Era costruita intorno a una piazza enorme, un incrocio tra un luogo esotico intasato in permanenza dal traffico e un villaggio di tende. Cammelli davano calci ai muli, muli davano calci ai cammelli, cavalli davano calci ai cammelli e tutti davano calci agli esseri umani. Era un turbinio di colori, di rumori assordanti, un’orchestrazione olfattiva di odori. Il tutto accompagnato dal suono continuo e inebriante di centinaia di persone che si sforzavano in ogni modo di fare soldi.
Una ragione di simile trambusto era il fatto che in moltissime regioni del continente altra gente preferiva far denaro senza lavorare affatto. E, dato che il Disco doveva ancora sviluppare un’industria discografica, era costretta a ripiegare su forme di banditismo più antiche e più tradizionali.
Strano a dirsi, esse richiedevano spesso uno sforzo notevole. Fare rotolare pesanti massi in cima ai dirupi per un’imboscata riuscita, abbattere alberi per bloccare la strada, scavare una fossa con infissi pali appuntiti, sempre tenendo un pugnale bene affilato, comportava probabilmente un maggior dispendio di pensiero e di muscoli di altre professioni socialmente più accettabili. Tuttavia, esistevano ancora persone abbastanza scriteriate da sopportare tutto questo, più lunghe notti in condizioni disagiate solo per mettere le mani su grosse e comunissime scatole di gioielli.
Così una città come Zemphis era il luogo dove le carovane si dividevano e si mescolavano per poi riformarsi. Infatti, un gran numero di mercanti e di viaggiatori si riunivano per proteggersi contro gli emarginati appostati sulle piste da percorrere. Vagando senza essere notata in quel trambusto, Esk apprese tutto questo grazie al semplice metodo di trovare qualcuno dall’aspetto importante e tirargli l’orlo del pastrano.
Questo qualcuno in particolare stava contando delle balle di tabacco e ci sarebbe riuscito se non fosse stato per l’interruzione.
— Cosa?
— Ho chiesto, che succede qui?
L’uomo aveva intenzione di rispondere: "Smamma e va a scocciare qualcun altro". Aveva intenzione di darle uno scappellotto. Perciò fu il primo a stupirsi quando si chinò e si mise a parlare seriamente a una bambina dal faccino sudicio, con in mano una grossa scopa (la quale, gli sembrò più tardi, in qualche modo indefinibile stava pure ascoltando).
Le spiegò dunque delle carovane.
La piccola annuì. — Per viaggiare la gente si mette insieme?
— Precisamente.
— Per andare dove?
— Posti di tutti i generi. Sto Lat, Pseudopolis… Ankh-Morpork, naturalmente.
— Ma il fiume va là — obiettò a ragione Esk. — Chiatte. Gli Zoon.
— Ah, sì. Ma fanno pagare un prezzo alto e non possono trasportare tutto e, comunque, nessuno si fida molto di loro.
— Ma sono molto onesti!
— Uhm, sì. Ma sai come si dice: non fidarsi mai di un uomo onesto. — Il suo sorriso la sapeva lunga.
— Chi lo dice?
— Lo dicono. Sai. La gente. — Nella voce dell’uomo vibrò una nota d’imbarazzo.
— Oh — esclamò Esk. Stette a pensarci su e aggiunse con sussiego: — Devono essere molto stupidi. Grazie, a ogni modo.
Il mercante rimase a osservarla allontanarsi e poi si rimise a contare. Un momento dopo sentì di nuovo una tiratina al cappotto.
— Cinquantasette cinquantasette cinquantasetteallora? — disse, cercando di non perdere il conto.
— Scusami di disturbarti ancora — cominciò Esk — ma quei cosi, quelle balle…
— Che hanno cinquantasettecinquantasettecinquantasette?
— Be’, s’intende che dentro abbiano dei vermetti bianchi?
— Cinquantaset… cosa? — Il mercante abbassò la lavagna e guardò la bambina. — Che vermetti?
— Quelli che si contorcono. Bianchi — aggiunse lei, piena di buona volontà. — Che si stanno scavando la tana in mezzo alle balle.
— Vuoi dire la filaria del tabacco? — Guardò con gli occhi fuori delle orbite alla pila di balle scaricate (adesso che ci pensava) da un venditore con l’aria nervosa di un folletto di mezzanotte che vuole scappare via prima che si scopra la mattina che cosa è diventato l’oro fatato… — Ma lui mi aveva assicurato che queste balle erano state immagazzinate bene e… come fai tu a saperlo, comunque?
La bambina si era dileguata tra la folla. Il mercante fissò il punto dove lei si trovava prima. Poi fissò il venditore che ridacchiava nervosamente. Poi fissò il cielo. Poi tirò fuori dalla tasca il coltello, lo guardò per un momento, sembrò giungere a una decisione e si accostò alla balla più vicina.