— Sì, li ricordo. Ero già adulto quando è cominciata l’epidemia. Avevo ventidue anni quando giunse il primo annuncio dalla Russia: la notizia che le sostanze chimiche inquinanti dell’atmosfera si combinavano per formare agenti cancerogeni virulenti. La sera successiva comunicarono le statistiche ospedaliere di Città del Messico. Poi calcolarono il periodo d’incubazione, e ciascuno di noi cominciò a contare. E ad attendere. Poi cominciarono le sommosse, l’ondata di libertinaggio, il Culto della Morte e i vigilantes. I miei genitori morirono quell’anno. Mia moglie l’anno successivo. Le mie due sorelle e i loro figli il terzo anno. Tutti i miei conoscenti. — Haber allargò le braccia. — Sì, ricordo quegli anni — disse, come gravato da un grande peso. — Ma solo quando sono costretto a farlo.

— Però, quegli anni hanno risolto il problema della sovrappopolazione, no? — disse Orr; questa volta il sarcasmo era pienamente avvertibile. — Ce l’abbiamo davvero fatta.

— Sì. Quegli anni hanno cancellato il problema. Oggi non c’è sovrappopolazione. E c’era forse qualche altra soluzione, oltre a una guerra nucleare? Oggi non c’è più una perpetua carestia in Sudamerica, Africa e Asia. E quando le vie di trasporto saranno pienamente ristabilite, scompariranno anche le poche sacche di denutrizione che rimangono. Si dice che un terzo dell’umanità vada ancora a letto affamata al giorno d’oggi; ma nel 1980 era il 92 per cento. Oggi non ci sono più le inondazioni del Gange causate dall’ammassarsi dei corpi di gente morta d’inedia. Non ci sono più carenza proteica e rachitismo tra i bambini del sottoproletariato di Portland. Ma c’erano… prima del Crollo.

— Prima della Peste — corresse Orr.

Haber si sporse verso di lui. — George. Mi dica una cosa. Il mondo è sovrappopolato?

— No — rispose Orr. Haber pensò che ridesse, e si trasse indietro con apprensione; poi comprese che lo strano sguardo di Orr era causato dalle lacrime. Era giunto quasi al punto di rottura. Tanto meglio. Se avesse perso il controllo di sé, si sarebbe ridotto il pericolo che l’avvocatessa unisse le parole di Orr ai suoi eventuali ricordi.

— Ma mezz’ora fa, George, lei era profondamente preoccupato, ansioso, perché credeva che la sovrappopolazione costituisse una minaccia per la civiltà, per l’intero ecosistema terrestre. Ora, io non pretendo che questa ansia sia svanita, tutt’altro. Ma credo che siano cambiate le sue caratteristiche, da quando lei l’ha vissuta nel sogno. Lei sa, adesso, che quest’ansia non aveva alcun fondamento reale. L’ansia esiste ancora, ma con una differenza: lei adesso sa che era irrazionale… che obbediva a un desiderio interiore, piuttosto che a una realtà esteriore. E questo è un inizio. Un buon inizio. Non se ne accorge anche lei? Lei ha un’impugnatura, adesso, per afferrare tutta la cosa. Lei è giunto a dominare qualcosa che finora aveva dominato lei, schiacciandola, facendola sentire compresso, spremuto. D’ora in poi il suo volo sarà più libero, perché lei è un uomo più libero. Non si sente così? Non si sente già, fin d’ora, un po’ meno schiacciato dalla folla?

Orr lo fissò, poi tornò a fissare l’avvocatessa. Non disse nulla.

Ci fu una lunga pausa.

— Lei mi pare abbattuto — disse Haber, per dargli come una pacca verbale sulle spalle. Desiderava calmare Orr, riportarlo nella sua normale condizione di timidezza, in cui gli sarebbe mancato il coraggio di parlare dei poteri dei suoi sogni davanti a una terza persona; oppure indurlo subito a perdere il controllo, a comportarsi in modo chiaramente anormale. Ma Orr non pareva disposto a farlo. — Se non ci fosse un osservatore del Controllo Sanitario in agguato nell’angolo, le offrirei un bicchiere di whisky. Ma è meglio non trasformare in una bisboccia una seduta terapeutica…

— Non ha voglia di ascoltare il sogno?

— Se ne ha voglia lei.

— Li seppellivo. In una delle grandi fosse comuni… ho lavorato nelle Squadre di Interramento, quando avevo sedici anni, dopo che i miei genitori si presero la Peste… Solo che nel sogno la gente era nuda e pareva morta di fame. Ce n’erano delle montagne. E io dovevo seppellirli tutti. Continuavo a cercare lei, dottore, ma non riuscivo a trovarla.

— No — disse Haber, in tono rassicurante. — Io non sono ancora mai comparso nei suoi sogni, George.

— Oh, sì, invece. Con Kennedy. E sotto forma di un cavallo.

— Sì; agli inizi della terapia — concesse Haber, lasciando cadere l’argomento. — Questo sogno, dunque, ha usato del materiale preso dai ricordi delle sue esperienze reali…

— No. Io non ho mai seppellito nessuno. Nessuno è morto per la Peste. Non c’è mai stata nessuna Peste. È tutto nella mia immaginazione. Sono stato io a sognarlo.

Brutto deficiente! Gli era sfuggito di mano. Haber piegò la testa di lato e conservò un silenzio tollerante, di tipo «non voglio metterci dito» ; era il massimo che poteva fare, perché una mossa più forte rischiava di destare i sospetti dell’avvocatessa.

— Lei, Dottore, dice che ricorda la Peste; non ricorda anche che non c’è stata nessuna Peste, che nessuno moriva di cancro da inquinamento, che la popolazione si limitava a diventare sempre più grande? No? Lei non lo ricorda? E lei, Miss Lelache… lei non ricorda la cosa nei due modi?

A questo punto, Haber si alzò: — Mi spiace, George, ma non posso permettere che Miss Lelache venga coinvolta in questa conversazione. Miss Lelache non è qualificata per intervenire. Sarebbe estremamente scorretto da parte sua darle una risposta. Questa è una seduta psichiatrica. Miss Lelache è qui per osservare il funzionamento dell’Aumentore, e nient’altro. Su questo punto devo insistere.

Orr era molto pallido; aveva la pelle tirata sugli zigomi. Fissò Haber e non disse nulla.

— Qui è sorto un problema, e c’è un solo modo per risolverlo, temo. Tagliare il nodo gordiano. Senza offesa, Miss Lelache, ma, come lei ha visto, è proprio lei il problema. Si tratta semplicemente di questo: siamo ancora a uno stadio in cui il nostro colloquio psichiatrico non può sopportare l’ingresso di un terzo membro, anche se questi non vi partecipa. La miglior cosa da fare è smettere. Smettere ora. E riprendere domani alle quattro. E d’accordo, George?

Orr si alzò in piedi, ma non si avviò alla porta. — Non le è mai venuto in mente, Dottor Haber — disse, con tanta tranquillità da balbettare un poco, — che da qualche parte possano esserci altre persone che sognano come me? Che la realtà ci venga cambiata sotto gli occhi, venga sostituita, rinnovata, di continuo… ma che noi non ce ne accorgiamo? Soltanto il sognatore lo sa, e coloro che conoscono il suo sogno. Se ciò è vero, allora crede che siamo fortunati di non saperlo. Le cose sono già abbastanza confuse.

Cordiale, senza compromettersi, rassicurante, Haber lo accompagnò alla porta e oltre la porta, continuando a parlargli.

— Le è toccata proprio una delle sedute cruciali — disse poi alla Lelache, chiudendosi la porta alle spalle. Si passò una mano sulla fronte e lasciò trasparire un po’ di stanchezza e di preoccupazione nel tono di voce e nell’espressione del volto. — Accidenti! Proprio la giornata adatta per avere in ufficio un osservatore!

— È stato estremamente interessante — disse lei, e i suoi braccialetti sbatterono un poco.

— Eppure ci sono delle speranze — disse Haber. — Una seduta come questa, dà perfino a me un’impressione scoraggiante. Ma il paziente ha una possibilità, una buona possibilità, di uscire da questo schema di illusioni in cui si dibatte, da questa terribile paura di sognare. Il guaio è che si tratta di uno schema molto complesso, e che la mente che vi è invischiata è piuttosto intelligente; è fin troppo rapida nel tessere sempre nuove tele in cui cadere… Se soltanto l’avessero fatto sottoporre alla terapia dieci anni fa, quando aveva vent’anni; ma, naturalmente, dieci anni fa, il Ristabilimento era appena cominciato. O anche soltanto un anno fa, prima che cominciasse a deteriorare con i farmaci tutto il suo orientamento rispetto alla realtà. Comunque, il paziente si sforza, e non ha intenzione di smettere i tentativi; e forse potrà ancora raggiungere un sano quadro di parametri della realtà.


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