Orr sapeva, con spaventosa lucidità, quale era la cosa su cui si sarebbero «dati da fare» oggi: la guerra. I giornali ne erano pieni; perfino la mente di Orr, di solito refrattaria alle notizie politiche, ne era stata piena, nel tragitto da casa. La guerra che stava scoppiando in Medio Oriente. Haber le avrebbe posto fine. E certo anche i massacri in Africa. Perché Haber era un uomo benevolo. Voleva creare per l’umanità un mondo migliore.
Il fine giustifica i mezzi. Ma se non ci fosse una fine? Avremmo soltanto dei mezzi. Orr si sdraiò sul divano e chiuse gli occhi. La mano gli toccò la gola. — Lei adesso entrerà nello stato ipnotico, George — disse la voce profonda di Haber. — Lei è nel…
buio.
Nel buio.
Non era ancora notte: tardo crepuscolo all’aperto. Gruppi di alberi dall’aspetto nero e umido. La strada su cui camminava era illuminata debolmente dall’ultima luce del cielo: era una strada lunga e diritta, una vecchia autostrada dall’asfalto screpolato. Un’oca camminava davanti a lui, a circa cinque metri di distanza, visibile soltanto come una macchia bianca dondolante. Di tanto in tanto ripeteva piano il suo verso.
Stavano spuntando le stelle, bianche come margherite. Una enorme stava sbocciando proprio a destra della strada, bassa sul buio della campagna: era bianca e tremula. Quando alzò di nuovo lo sguardo su di essa, era già più larga e più brillante. Si ingrandisce, pensò. E mentre diveniva più brillante pareva divenire più rossa. Si arrossingrandí. Gli giravano gli occhi. Piccole strisce verdazzurre fischiarono intorno alla stella, zigzagandola come particelle browniane tutt’in giro. Un ampio alone cremoso si allargò intorno alla grossa stella e ai piccoli zigzagatori, ora più debole, ora più fitta, pulsante. Oh no no no! esclamò lui, mentre la grande stella s’illuminava immensamente SCOPPIAVA accecante. Cadde a terra coprendosi la testa con le mani mentre il cielo esplodeva in strisce luminose e mortali, ma non poteva distogliere la faccia, doveva osservare e riferire. La terra oscillò, grandi rughe percorsero la pelle del pianeta. — Basta, basta! — gridò forte, con la faccia verso il cielo, poi si destò sul divano di cuoio.
Si mise a sedere, e si portò alla faccia le mani sudate e tremanti.
Subito sentì sulla spalla la mano pesante di Haber. — Di nuovo un brutto sogno? Accidenti, pensavo che non ci sarebbero stati fastidi. Le ho detto di fare un sogno sulla pace.
— E l’ho fatto.
— Ma l’ha turbata.
— Ho visto una battaglia spaziale.
— L’ha vista? Da dove?
— Dalla Terra. — Raccontò brevemente il sogno, lasciando perdere il particolare dell’oca. — Non so se sono stati loro a beccare una delle nostre o viceversa.
Haber rise. — Sarebbe bello poter vedere quel che succede lassù! Ci sentiremmo più direttamente interessati. Ma, naturalmente, questi scontri hanno luogo a velocità e a distanze che la vista umana, semplicemente, non è capace di osservare. La sua versione è molto più pittoresca della realtà, senza dubbio. Sembra qualche buon film di fantascienza degli anni ’70. Ci andavo sempre, quand’ero ragazzo… Ma perché pensa di avere sognato una scena di battaglia, se la suggestione ipnotica parlava di pace?
— Parlava soltanto di pace? Sognare la pace… non mi ha detto altro?
Haber non gli rispose subito. Regolò qualcosa nei comandi dell’Aumentore.
— D’accordo — fece, alla fine. — Per questa volta, sperimentalmente, paragoniamo pure il suggerimento con il sogno. Forse scopriremo perché si è svolto negativamente. Le ho detto… no, meglio sentire il nastro. — Si avvicinò a uno sportellino sulla parete.
— Lei registra l’intera seduta?
— Certo. Normake procedura psichiatrica. Non lo sapeva?
E come faccio a saperlo, se è un registratore nascosto, se non emette segnali, e se tu non me l’hai mai raccontato, pensò Orr: ma non disse nulla. Forse era la normale procedura, forse era un frutto dell’arroganza di Haber: ma in tutt’e due i casi non poteva farci niente.
— Eccolo qua, dovrebbe essere pressappoco a questo punto. Qui siamo nello stato ipnotico. George. Lei… Ecco! non si addormenti, George! — Il fruscio del nastro. Orr scosse la testa, batté gli occhi. Le ultime parole erano la voce registrata di Haber, naturalmente; e lui era ancora pieno del farmaco per favorire l’ipnosi.
— Devo saltare un po’. Bene. fi poi di nuovo la voce registrala, che diceva: — … la pace. Non più uccisioni in massa di uomini da parte di altri uomini. Non più combattimenti in Iran, Arabia e Israele. Non più genocidi in Africa. Non più riserve di bombe biologiche e nucleari, pronte da usare contro altre nazioni. Non più ricerche sul modo di uccidere altri uomini. Un mondo in pace con se stesso. La pace come universale modo di vita sulla Terra. Lei sognerà questo mondo in pace con se stesso. E ora sta per addormentarsi, George. Quando io pronuncerò… — E qui Haber arrestò bruscamente il nastro, per non fare addormentare Orr con la parola chiave.
Orr si strofinò la fronte. — Be’ — disse, — mi pare di avere seguito le istruzioni.
— Niente affatto. Sognare una battaglia nello spazio cislunare… — la voce di Haber si arrestò bruscamente, come prima quella sul nastro.
— Cislunare — disse Orr, provando un po’ di tristezza per Haber. — Non usavamo questa parola, quando mi sono addormentato. Come vanno le cose in Isregitto?
Il neologismo proveniente dalla vecchia realtà aveva un effetto strano e sconvolgente, pronunciato in questa realtà: come il Surrealismo, pareva avere senso e non lo aveva, o pareva non avere senso e invece lo aveva.
Haber cominciò a passeggiare su e giù per l’ampia, elegante stanza. Una volta si passò la mano sulla barba rossa e ricciuta. Era un gesto calcolato, che Orr conosceva, ma, quando egli parlò, Orr capì che cercava e sceglieva le parole con attenzione, senza affidarsi, per una volta, alla sua inesauribile riserva di improvvisazione. — Strano come lei abbia usato la Difesa Terrestre come simbolo o metafora della pace, della fine della guerra. Eppure non è sbagliato. Soltanto, è molto acuto. I sogni sono infinitamente acuti. Infinitamente. Perché in effetti è stata proprio questa minaccia, questo immediato rischio di invasione, da parte di creature aliene non comunicanti, irrazionalmente ostili, che ci ha costretto a cessare i combattimenti tra noi, per volgere all’esterno ogni nostra energia offensiva e difensiva, a estendere l’imperativo territoriale fino a comprendere tutta l’umanità, a combinare le nostre armi contro il nemico comune. Se gli Alieni non avessero colpito, chi può dire cosa sarebbe successo? Forse potremmo, ancor oggi, combattere nel Medio Oriente.
— Dalla padella nella brace — disse Orr. — Non vede, Dottor Haber, che da me non riesce a ottenere altro? Vede, non è che io voglia bloccarla, voglia frustrare i suoi piani. Mettere fine alla guerra era una buona idea. Sono completamente d’accordo con lei. Ho perfino votato isolazionista alle scorse elezioni perché Harris prometteva di toglierci dal Medio Oriente. Ma penso di non potere, o almeno che il mio inconscio non possa, concepire un mondo senza guerra. Il meglio che può fare è sostituire un tipo di guerra con un altro. Lei ha detto: Non più uccisioni di uomini da parte di altri uomini. E io allora ho sognato gli Alieni. Le sue idee sono sane e razionali, ma quello che lei sta cercando di usare è il mio inconscio, e non la mia mente razionale. Forse razionalmente potrei immaginare che la specie umana non cerchi di uccidersi nazione contro nazione, anzi, razionalmente è più facile immaginare questo che non i motivi della guerra. Ma lei si serve di qualcosa che è estraneo alla ragione. Lei cerca di raggiungere mete progressiste, umanitarie, con uno strumento che non è adatto al compito. Chi ha mai fatto dei sogni umanitari?
Haber non disse nulla, non mostrò nessuna reazione, e Orr continuò.