Sileno le rivolge un'occhiata di fuoco. — Un goccio farebbe male?

— No — dice il Console. Si strofina gli occhi e Lamia ricorda che anche lui un tempo era un alcolizzato. Ma la risposta riguardante la nave è stata negativa. — Aspetteremo finché sarà necessario.

— E un collegamento astrotel? — propone Kassad.

Il Console toglie dalla sacca l'antiquato comlog. L'apparecchio apparteneva a sua nonna Siri e prima ancora ai nonni di lei. Il Console sfiora il diskey. — Con questo posso trasmettere, ma non ricevere.

Sol Weintraub ha deposto la bimba addormentata nell'apertura della tenda più vicina. Ora si gira verso il fuoco. — E l'ultimo messaggio trasmesso annunciava il nostro arrivo a Castel Crono?

— Sì.

Martin Sileno interviene, sarcastico. — Dovremmo credere alle parole di un traditore confesso?

— Sì. — La voce del Console è un concentrato di sfinimento.

Il viso magro di Kassad si libra nel buio. Corpo, gambe e braccia sono visibili solo come una macchia scura contro lo sfondo già buio. — Ma servirà per chiamare la nave, se ne avremo bisogno?

— Sì.

Padre Hoyt si stringe nel mantello per evitare che i lembi sbattano al vento crescente. La sabbia fruscia contro la lana e la stoffa da tenda. — Non hai paura che le autorità portuali o la FORCE spostino la nave o la manomettano? — domanda al Console.

— No. — Il Console muove appena la testa, come se fosse troppo stanco per un cenno d'assenso completo. — I documenti d'autorizzazione hanno la firma di Gladstone in persona. Inoltre, il governatore generale è mio amico… era mio amico.

Gli altri hanno conosciuto poco dopo l'atterraggio il governatore dell'Egemonia, nominato di recente; a Brawne Lamia, Theo Lane è parso un uomo catapultato in eventi troppo grandi per le proprie capacità.

— Il vento aumenta — dice Sol Weintraub. Si gira per riparare col proprio corpo la piccina. Volano granelli di sabbia. Lo studioso continua a fissare a occhi socchiusi gli effetti delle raffiche e dice: — Chissà se là fuori c'è Het Masteen.

— Abbiamo frugato dappertutto — replica padre Hoyt. La sua voce suona soffocata, perché il prete ha chinato la testa fra le pieghe del mantello.

Martin Sileno ride. — Scusami, prete, ma non dire cazzate. — Il poeta si alza, cammina fino al limitare della zona illuminata dal fuoco. Il vento gli arruffa il pelo del cappotto e sbrindella nella notte le sue parole. — Le pareti dei dirupi hanno mille nascondigli. Il Monolito di Cristallo cela l'ingresso a noi… ma a un Templare? E poi, hai visto la scala che porta giù nel labirinto, nella stanza inferiore della Tomba di Giada.

Hoyt alza lo sguardo e socchiude gli occhi per difenderli dalle punture di spillo della sabbia. — Credi che sia laggiù? Nel labirinto?

Sileno ride e solleva le braccia. La seta dell'ampia camicia s'increspa e si gonfia. — Come cazzo faccio a saperlo, padre? Ma Het Masteen potrebbe essere qui intorno, in questo momento, e tenerci d'occhio in attesa di venire a reclamare il bagaglio. — Il poeta indica il cubo di Moebius, al centro della piccola catasta di zaini. — O potrebbe essere già morto. O peggio.

— Peggio? — dice Hoyt. Nelle ultime ore, il viso del prete è invecchiato. Gli occhi infossati sono specchi di sofferenza, il sorriso è un rictus.

Martin Sileno torna accanto al fuoco morente. — Peggio — dice. — Potrebbe essere lì a contorcersi sull'albero d'acciaio dello Shrike. Dove saremo anche noi fra qualche…

Brawne Lamia si alza di scatto e afferra per la camicia il poeta. Lo solleva da terra, lo scuote, lo abbassa fino a guardarlo negli occhi. — Prova a ripeterti — sussurra — e ti farò qualcosa di molto doloroso. Non ti ucciderò, ma rimpiangerai d'essere vivo.

Il poeta mostra il sorriso da satiro. Lamia lo lascia cadere e gli gira la schiena. Kassad dice: — Siamo tutti stanchi. Andate a letto. Resto io di guardia.

I miei sogni su Lamia sono mescolati con i sogni di Lamia. Non è spiacevole condividere i sogni di una donna, i pensieri di una donna, perfino di una donna separata da me da un abisso di tempo e di cultura molto più esteso di qualsiasi immaginabile baratro di sesso. In un modo bizzarro e speculare, lei ha sognato l'amante perduto, Johnny, il suo naso troppo piccolo e la mascella troppo decisa, i capelli troppo lunghi arricciati sopra il colletto e gli occhi… quegli occhi troppo espressivi, troppo rivelatori, che animavano troppo liberamente un viso che, occhi a parte, sarebbe potuto appartenere a uno qualsiasi di mille contadini nati nel raggio di un giorno di cavallo da Londra.

Il viso che sognò era il mio. La voce che udì in quel sogno era la mia. Ma l'atto amoroso che sognò… ricordandolo adesso… non era una cosa che avessi condiviso. Cercai di sfuggire al suo sogno, anche solo per trovare il mio. Se dovevo essere un voyeur, tanto valeva esserlo nel guazzabuglio di ricordi prefabbricati che passavano per sogni miei.

Ma a me non è concesso sognare sogni miei. Non ancora. Sospetto d'essere nato… e rinato dal letto di morte… solo per sognare i sogni del mio gemello morto e remoto.

Mi rassegnai, rinunciai a lottare per svegliarmi e sognai.

Brawne Lamia si sveglia di colpo, quando un rumore o un movimento la strappano a un sogno piacevole. Per un attimo rimane disorientata; c'è buio, c'è un rumore, non meccanico, più forte di molti rumori dell'Alveare di Lusus in cui vive; è ubriaca di stanchezza, ma capisce d'essersi svegliata da un sonno assai breve; è da sola, in uno spazio piccolo, limitato, una sorta di sacco a pelo troppo grosso.

Cresciuta su un mondo dove i luoghi chiusi significano protezione dall'aria cattiva, dal vento e dagli animali, dove molti soffrono di agorafobia quando si trovano ad affrontare i rari spazi aperti e pochi conoscono la claustrofobia, Brawne ha comunque la reazione di un claustrofobo: artiglia l'aria come se le mancasse il fiato, spinge via il sacco a pelo e il lembo della tenda nel disperato tentativo di sfuggire al piccolo bozzolo di fibroplastica, striscia, si trascina a forza di mani e di gomiti fino ad avere sabbia sotto le braccia e cielo in alto.

Non proprio il cielo, capisce, ricordando a un tratto dove si trova. Sabbia. Una tormenta di granelli che le pungono il viso come spilli. Il fuoco da campo è spento, coperto di sabbia. La sabbia si è ammucchiata sul lato sopravento di tutt'e tre le tende, il cui lembo sbatte e schiocca al vento con rumore di fucilate; nuove dune si sono formate intorno all'accampamento, hanno lasciato solchi e creste sottovento alle tende e ai bagagli. Nelle altre tende nessuno si muove. La tenda che lei divide con padre Hoyt è quasi crollata, quasi sepolta dalle dune crescenti.

Hoyt.

È stata l'assenza del prete, a svegliarla. Anche durante il sogno, Brawne si rendeva conto del lieve respiro e dei gemiti quasi impercettibili del prete addormentato e sofferente. A un certo punto, nell'ultima mezz'ora, il prete se n'è andato. Forse solo qualche minuto prima; pur sognando Johnny, Brawne Lamia ha sentito un fruscio sopra il raspare della sabbia e il ruggire del vento.

Lamia si alza e si scherma gli occhi. C'è buio fitto, le stelle sono nascoste dalle nuvole e dalla tempesta di sabbia, ma un fulgore quasi elettrico riempie l'aria e si riflette su rocce e dune. L'aria è piena d'elettricità statica che le fa rizzare i capelli e li muove come la chioma di Medusa. Le cariche di statica le strisciano lungo le maniche e si librano sopra le tende come fuochi di Sant'Elmo. Mentre la vista si adatta all'oscurità, Lamia capisce che le dune mobili brillano di fuoco livido. Quaranta metri a est, la tomba detta Sfinge è una sagoma che pulsa e crepita nella notte. Onde di corrente si muovono lungo le appendici spalancate spesso chiamate ali.

Brawne Lamia non vede segno di padre Hoyt e si domanda se non sia il caso di chiamare aiuto. Capisce che la voce non supererebbe il ruggito del vento. Per un istante si domanda se il prete non sia semplicemente andato in un'altra tenda o alla rozza latrina venti metri a ovest, ma qualcosa le dice che non è così. Guarda la Sfinge e, per un attimo, crede di scorgere la sagoma d'un uomo, mantello nero che pende come una bandiera afflosciata, spalle ingobbite per resistere al vento, messa in risalto dal bagliore delle statiche.


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