Katherine era rimasta senza parole. Peter è in terapia?

"Spesso i soggetti preferiscono non rivelare ad altri di essere in cura" aveva detto l’uomo. "Io ho commesso un errore telefonandole, anche se, a mia parziale discolpa, è stato suo fratello a indurmi in inganno."

"Io… io non ne avevo idea."

"Le chiedo scusa per averla allarmata" aveva aggiunto, apparentemente imbarazzato. "Ho notato che mi osservava, quando ci siamo incontrati, e… sì, sono truccato." Si era sfiorato la guancia, a disagio. "Ho una malattia della pelle che preferisco nascondere. Di solito è mia moglie che mi trucca, ma quando lei non c’è devo cavarmela da solo."

Katherine aveva annuito, troppo imbarazzata per dire qualcosa.

"E questa folta chioma…" L’uomo si era sfiorato la capigliatura bionda. "È una parrucca. La malattia ha colpito anche i follicoli del cuoio capelluto e mi sono caduti i capelli." Si era stretto nelle spalle. "Temo che il mio peggior peccato sia la vanità."

"E il mio, a quanto pare, la scortesia" aveva detto Katherine.

"Niente affatto." Il sorriso del dottor Abaddon era disarmante. "Ricominciamo da capo? Magari con una tazza di tè?" disse versandoglielo. "Suo fratello mi ha fatto prendere l’abitudine di servirlo durante le nostre sedute. Mi ha detto che i Solomon sono bevitori di tè."

"Una tradizione di famiglia" aveva spiegato Katherine. "Senza latte, grazie."

Avevano parlato del più e del meno per qualche minuto, sorseggiando il tè, ma Katherine era impaziente di avere informazioni sul fratello. "Perché mio fratello è venuto da lei?" aveva chiesto. E perché non me ne ha fatto cenno? Certo, Peter aveva dovuto affrontare la sua buona dose di tragedie: aveva perso il padre in giovane età e in seguito, nel giro di cinque anni, aveva seppellito il figlio e la madre. Ma era sempre riuscito a trovare il modo per andare avanti.

Il dottor Abaddon aveva bevuto un sorso. "Suo fratello è venuto da me perché tra noi c’è un legame che va oltre il normale rapporto medico paziente." Aveva indicato un documento incorniciato appeso vicino al caminetto. Sembrava un diploma, ma poi Katherine aveva visto la fenice a due teste.

"Lei è massone?" E al massimo grado, per di più.

"Io e Peter siamo come fratelli."

"Deve aver fatto qualcosa di importante per essere accolto al trentatreesimo grado."

"Non direi" aveva risposto lui. "Appartengo a una famiglia agiata e devolvo molto denaro agli istituti di beneficenza patrocinati dalla massoneria."

Katherine aveva capito perché suo fratello si fidasse di quel medico così giovane. Un massone, di famiglia ricca, dedito alla filantropia e alla mitologia antica ? Il dottor Abaddon aveva molto più in comune con suo fratello di quanto lei avesse inizialmente immaginato. "Quando le ho chiesto perché mio fratello è venuto da lei, non intendevo perché ha scelto lei, ma perché aveva bisogno di uno psichiatra."

Il dottor Abaddon aveva sorriso. "Sì, l’avevo capito, ma cercavo di eludere educatamente la domanda. Non è una cosa di cui dovrei parlare." Aveva fatto una pausa. "Anche se ammetto di essere rimasto sorpreso che suo fratello le abbia tenuto nascoste le nostre conversazioni, considerato che sono così strettamente legate alle sue ricerche."

"Le mie ricerche?" aveva ripetuto Katherine, colta del tutto di sorpresa. Peter parla con estranei delle mie ricerche?

"Di recente, suo fratello è venuto da me per avere un’opinione professionale sull’impatto psicologico delle scoperte che lei sta mettendo a punto nel suo laboratorio."

Per poco a Katherine non era andato di traverso il tè. "Davvero? Sono… sorpresa." Ma cos’ha nella testa Peter? Ha discusso del mio lavoro con questo strizzacervelli? Le procedure di sicurezza imponevano di non parlare con nessuno delle ricerche a cui Katherine si stava dedicando, senza contare che era stato proprio Peter a insistere sulla massima riservatezza.

"Di certo lei saprà, signora Solomon, che suo fratello è molto preoccupato di ciò che potrebbe accadere quando le sue ricerche saranno rese pubbliche. Lui vede le potenzialità per un mutamento filosofico a livello mondiale… ed è venuto da me per discutere delle possibili ricadute da un punto di vista psicologico."

"Capisco" aveva detto Katherine. Le tremava leggermente la mano.

"Gli argomenti di cui discutiamo sono una vera sfida: cosa potrebbe accadere al genere umano se venisse finalmente svelato il grande mistero della vita? Cosa potrebbe succedere se le convinzioni che noi accettiamo come atto di fede venissero inconfutabilmente dimostrate come fatti? O smentite come miti? Qualcuno potrebbe affermare che vi sono questioni che è meglio lasciare irrisolte."

Benché Katherine non riuscisse a credere alle proprie orecchie, aveva tenuto a freno le emozioni. "Spero che non le dispiaccia, dottor Abaddon, ma preferirei tralasciare i dettagli del mio lavoro. Non ho intenzione di rendere pubblico alcun risultato nell’immediato futuro. Per il momento, le mie scoperte restano sotto chiave, al sicuro in laboratorio."

"Interessante." Abaddon si era appoggiato allo schienale della poltrona, perso per un istante nei suoi pensieri. "In ogni caso, ho chiesto a suo fratello di tornare oggi perché ieri ha avuto un piccolo crollo. Quando capita, preferisco che i miei pazienti…"

"Crollo?" Katherine aveva sentito batterle forte il cuore. "Nel senso di crollo psicologico?" Non riusciva a immaginare Peter che perdeva il controllo su qualcosa.

Abaddon aveva allungato una mano per sfiorarla. "Mi perdoni, vedo che l’ho turbata e mi dispiace. Considerate le circostanze, capisco che lei possa ritenere di avere diritto a delle risposte."

"Che io ne abbia diritto o no" aveva ribattuto Katherine "mio fratello è tutto ciò che resta della mia famiglia. Nessuno lo conosce meglio di me, quindi se lei mi dice cosa diavolo gli è successo forse potrò aiutarla. Vogliamo tutti la stessa cosa… il bene di Peter."

Il dottor Abaddon era rimasto in silenzio per alcuni interminabili secondi, poi aveva cominciato ad annuire lentamente, come se avesse capito le ragioni di Katherine. "Per la precisione, signora Solomon" aveva detto alla fine "se decido di rivelarle queste informazioni, lo faccio solo perché penso che il suo parere possa essermi d’aiuto per assistere al meglio suo fratello."

"Naturalmente."

Abaddon si era sporto in avanti, puntellando i gomiti sulle ginocchia. "Signora Solomon, dal momento in cui l’ho preso in cura, ho capito che suo fratello lottava con profondi sensi di colpa. Ma non ho mai fatto pressioni perché me ne parlasse… non è per questo che si è rivolto a me. Ieri, però, per un insieme di circostanze, gli ho chiesto spiegazioni." Abaddon l’aveva guardata dritto negli occhi. "Suo fratello si è aperto, piuttosto inaspettatamente e in modo drammatico. Mi ha detto cose che non mi aspettavo di sentire… compreso quanto è accaduto la notte in cui è morta vostra madre."

La vigilia di Natale… dieci anni fa. È morta fra le mie braccia.

"Mi ha raccontato che vostra madre ha perso la vita durante un tentativo di rapina. Un uomo si era introdotto in casa in cerca di qualcosa che, secondo lui, suo fratello teneva nascosto."

"Esatto."

Gli occhi di Abaddon l’avevano scrutata nei profondo. "Suo fratello mi ha detto di aver sparato a quell’uomo e di averlo ucciso. È così?"

"Sì."

Abaddon si era massaggiato il mento. "Ricorda che cosa cercava l’intruso quando si è introdotto in casa vostra?"

Katherine aveva tentato per dieci anni di cancellare quel ricordo. "Sì. Le sue richieste erano molto specifiche. Purtroppo, però, nessuno di noi ha capito di cosa stesse parlando."

"Be’, suo fratello sì."

"Cosa?" Katherine aveva drizzato la schiena.

"In base a quello che mi ha detto ieri, lui sapeva benissimo che cosa cercava l’intruso, ma non voleva consegnarglielo e così ha fatto finta di non capire."


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