Langdon rimase senza fiato ripensando al sussurro spettrale dell’uomo che teneva Peter prigioniero: Non ha ancora capito perché è stato scelto proprio lei?
In un attimo i suoi pensieri si misero a fuoco e la nebbia si diradò.
D’un tratto, lo scopo della sua presenza lì gli fu chiarissimo.
A quindici chilometri di distanza, mentre guidava lungo la Suitland Parkway diretto a sud, Mal’akh sentì una caratteristica vibrazione sul sedile accanto al suo. Era l’iPhone di Peter Solomon, che quel giorno si era rivelato utilissimo. Sul display dell’apparecchio comparvero l’immagine di una donna attraente di mezza età con lunghi capelli neri e un nome:
Mal’akh sorrise e ignorò la chiamata. È il destino che ci unisce.
Quel pomeriggio aveva attirato Katherine Solomon a casa sua con un unico scopo: appurare se fosse in possesso di informazioni che potevano essergli utili… magari un segreto di famiglia che lo aiutasse a trovare quello che stava cercando. Evidentemente, però, il fratello non le aveva mai parlato di ciò che custodiva da anni.
In ogni caso, Mal’akh aveva appreso un’altra cosa da Katherine, una cosa che le aveva fatto guadagnare qualche ora di vita. La dottoressa Solomon gli aveva confermato che tutte le sue ricerche si trovavano in un unico posto, al sicuro nel suo laboratorio.
Devo distruggerle.
Le ricerche di Katherine puntavano ad aprire una nuova porta della conoscenza e, una volta che quella porta fosse stata anche appena socchiusa, altri avrebbero seguito il suo esempio. Era solo questione di tempo prima che tutto cambiasse. Non posso permettere che questo accada. Il mondo deve restare com’è… immerso nel buio dell’ignoranza.
L’iPhone emise un segnale acustico: Katherine aveva lasciato un messaggio vocale. Mal’akh lo ascoltò.
"Peter, sono di nuovo io. " Pareva preoccupata. " Dove sei? Sto ancora pensando alla mia conversazione con il dottor Abaddon… e sono preoccupata. Va tutto bene? Chiamami, per favore. Sono al laboratorio."
Mal’akh sorrise. Katherine dovrebbe preoccuparsi meno per suo fratello e più per se stessa. Uscì dalla Suitland Parkway all’altezza di Silver Hill Road. Un chilometro e mezzo più avanti intravide nell’oscurità la sagoma dell’SMSC nascosta fra gli alberi alla sua destra. Tutto il complesso era circondato da un’alta recinzione di filo spinato.
Un edificio sicuro? Mal’akh ridacchiò tra sé. Conosco una persona che mi farà entrare.
24
La rivelazione travolse Langdon come un’ondata.
10 so perché mi trovo qui.
Lì, nel bel mezzo della Rotonda, Langdon provò un desiderio fortissimo di voltarsi e correre via… via dalla mano di Peter, dall’anello d’oro scintillante, dagli sguardi sospettosi di Sato e di Anderson. Invece rimase immobile, stringendo ancora più forte la tracolla della borsa di pelle. Devo andarmene da qui.
Serrò la mascella al ricordo di quella fredda mattina di tanti anni prima, a Cambridge. Erano le sei e Langdon stava entrando in classe come sempre dopo la consueta nuotata nella piscina del campus di Harvard. Appena varcata la soglia, era stato accolto dall’odore familiare della polvere di gesso e del riscaldamento a vapore. Aveva fatto due passi verso la cattedra e si era fermato di colpo.
Qualcuno lo stava aspettando, un uomo elegante con il viso aquilino e occhi grigi aristocratici.
"Peter?" Langdon lo aveva fissato stupefatto.
11 sorriso di Peter Solomon era stato come un lampo bianco nell’aula immersa nella penombra. "Buongiorno, Robert. Sorpreso di vedermi?" La sua voce era pacata ma autorevole.
Langdon si era avvicinato a passi veloci e aveva stretto con calore la mano all’amico. "Cosa diavolo ci fa un sangue blu di Yale nel campus di Harvard prima dell’alba?"
"Missione segreta dietro le linee nemiche" aveva risposto Solomon ridendo. Poi aveva indicato il girovita di Langdon. "Vedo che nuotare fa bene. Sei in ottima forma."
"Sto solo cercando di farti sentire vecchio" aveva ribattuto Langdon, stando al gioco. "Sono felice di vederti, Peter. Cosa succede?"
"Un breve viaggio di lavoro" aveva risposto lui, guardandosi attorno nell’aula deserta. "Scusa se sono piombato qui in questo modo, Robert, ma ho solo pochi minuti. Volevo chiederti un favore di persona."
Questa è una novità. Langdon si era chiesto quale favore potesse mai fare un umile professore universitario a un uomo che aveva tutto. "Qualunque cosa" aveva risposto, felice di poter aiutare chi tanto aveva fatto per lui, considerato che la vita fortunata di Peter era stata segnata anche da grandi tragedie.
"Volevo chiederti di custodire una cosa per me" aveva detto Solomon abbassando la voce.
Langdon aveva alzato gli occhi al cielo. "Non Hercules, spero." Una volta aveva accettato di prendersi cura del cane di Peter, Hercules, un mastino di settanta chili, quando l’amico era in viaggio. Mentre si trovava da lui, il cane era stato assalito dalla nostalgia per il suo osso di gomma preferito e aveva trovato un degno sostituto nello studio di Langdon, una Bibbia originale del Seicento vergata a mano su pergamena. L’espressione "cagnaccio cattivo" pareva decisamente riduttiva.
"Sai, sto ancora cercando una copia per rimpiazzarla" aveva detto Solomon, con un sorriso imbarazzato.
"Non ci pensare. Sono felice che Hercules si sia gustato un assaggio di religione."
Solomon aveva riso, ma sembrava che la sua mente fosse altrove. "Robert, il motivo per cui sono venuto da te è che vorrei affidarti un oggetto per me di grande valore. L’ho ereditato parecchio tempo fa, però non mi sento più di tenerlo a casa o nel mio ufficio."
Langdon aveva provato un senso di disagio. Qualunque cosa avesse un "grande valore" per Peter Solomon doveva valere una fortuna. "Perché non metterlo in una cassetta di sicurezza?" La tua famiglia è azionista di metà delle banche d’America.
"Significherebbe scartoffie, impiegati di banca… Preferisco un amico fidato. E sono certo che tu sai tenere un segreto." Solomon aveva tirato fuori dalla tasca un pacchetto porgendolo a Langdon.
Considerata l’enfasi del preambolo, Langdon si sarebbe aspettato qualcosa di più consistente, invece si trattava di un pacchetto a forma di cubo, più o meno di otto centimetri di lato, avvolto in una carta marrone sbiadito e legato con lo spago. A giudicare dal peso e dalla forma, doveva contenere un oggetto di pietra o di metallo. Tutto qui? Langdon se lo era rigirato fra le mani e aveva visto che lo spago era stato accuratamente fissato su un lato con un sigillo di ceralacca, come gli antichi editti. Il sigillo riproduceva una fenice a due teste con il numero 33 sul petto, il tradizionale simbolo del massimo grado della massoneria.
"Dài, Peter" aveva detto Langdon con un sorriso ironico. "Sei il Venerabilissimo Maestro, non il papa! Da quando in qua sigilli i pacchetti con il tuo anello?"
Solomon aveva abbassato lo sguardo sul suo anello d’oro e aveva fatto una risatina. "Non ho sigillato io il pacchetto, Robert. È stato il mio bisnonno, quasi un secolo fa."
"Cosa?" aveva esclamato Langdon.
Solomon aveva alzato l’anulare. "Questo anello era suo. Dopodiché è passato a mio nonno, poi a mio padre e adesso a me."
"Il tuo bisnonno ha chiuso questo pacchetto un secolo fa e nessuno lo ha più aperto?" aveva chiesto Langdon soppesandolo.
"Esatto."
"Ma… perché no?"
Solomon aveva sorriso. "Perché non è il momento."
"Il momento per cosa?" aveva chiesto Langdon stupito.
"Robert, so che ti sembrerà strano, ma meno sai e meglio è. Metti questo pacchetto in un luogo sicuro e non dire a nessuno che te l’ho dato."
Langdon aveva studiato lo sguardo del suo mentore alla ricerca di un luccichio divertito. Solomon aveva una propensione per gli atteggiamenti teatrali, e Langdon si era chiesto se l’amico si stesse prendendo gioco di lui. "Peter, sei sicuro che questo non sia solo un piano ingegnoso per farmi credere che mi sia stato affidato qualche antico segreto massonico, così da solleticare la mia curiosità e spingermi ad affiliarmi?"