Le passò il visore su cui compariva l’immagine di un quad, vestito con pantaloncini giallo vivo e una maglietta, che procedeva a quattro mani lungo un corridoio privo di gravità, con la velocità e l’agilità di una scimmia che saltella da una cima all’altra di un albero.

— Oh — esclamò Ekaterin con un sobbalzo, ma subito riprese il controllo. — Che… interessante. Sembra una cosa molto pratica, per l’ambiente in cui vivono.

Miles si rilassò. Qualunque istintivo orrore barrayarano lei avesse per le mutazioni, sarebbe stato sempre vinto e sovrastato dalle sue ferree buone maniere.

Lo stesso, purtroppo, non si poteva dire dei loro compatrioti, bloccati nel sistema dei quad. La differenza fra una mutazione deleteria e una modifica vantaggiosa e benigna sfuggiva completamente ai barrayarani. E, a giudicare dal fatto che un graduato li aveva descritti come orrendi ragni mutanti nel suo rapporto ufficiale, era chiaro che Miles poteva tranquillamente aggiungere la tensione razziale alla miscela esplosiva di complicazioni verso cui stava correndo.

— Ci si abitua al loro aspetto molto in fretta — la rassicurò.

— Dove ne hai incontrato uno, se sono tanto riservati?

— Ecco… durante una missione per ImpSec. Non posso entrare in particolari, ma quella quad era una musicista, figurati. Suonava un salterio a percussione con tutte e quattro le braccia. — Il tentativo di imitare quello spettacolo ebbe come risultato una dolorosa botta del gomito sulla paratia. — Si chiamava Nicol. Ti sarebbe piaciuta. L’abbiamo aiutata a uscire da una situazione critica. Mi chiedo se sia mai riuscita a tornare a casa. — Si strofinò il gomito e aggiunse, speranzoso: — Sono certo che le tecniche con cui i quad coltivano giardini a gravità zero t’interesseranno molto.

Ekaterin s’illuminò. — Sì, certamente.

Miles tornò ai suoi rapporti con la scomoda certezza che non sarebbe stata una buona idea affrontare impreparato quella missione. Aggiunse mentalmente di dare una ripassata alla storia dei quad nel suo elenco di cose da studiare nei giorni successivi.

CAPITOLO SECONDO

— Ho il colletto dritto?

Le dita di Ekaterin si misero al lavoro dietro il collo di Miles, che nascose il brivido che gli corse lungo la spina dorsale, sentendole gelate. — Adesso sì — disse.

— L’abito fa l’Ispettore — borbottò Miles. La cabina era così piccola che non poteva contenere neppure uno specchio a figura intera. Non che fosse uno svantaggio.

Ekaterin indietreggiò di quanto poté, mezzo passo, fino alla paratia, ed esaminò la figura del marito, per controllare l’effetto che faceva l’uniforme di Vorkosigan: casacca marrone con lo stemma di famiglia in argento sul colletto alto, maniche ricamate d’argento, pantaloni marrone con profili argento, stivali alti da cavallerizzo. Nei loro giorni di gloria i Vor erano stati cavalieri. Ora, di certo, non c’era un cavallo nell’arco di chissà quanti anni luce.

Miles si toccò il comunicatore da polso, uguale a quello che portava la moglie, anche se il suo, adattato per una dama Vor, aveva la forma di un braccialetto d’argento. — Ti chiamo non appena sono pronto a tornare per cambiarmi. — Fece un gesto verso il semplice vestito grigio che lei aveva già preparafo sulla cuccetta. Un’uniforme per i militari, un abito civile per i civili, sperando che il peso della storia di Barrayar, undici generazioni di Conti Vorkosigan sul groppone, compensasse la bassa statura e la sua schiena un po’ curva.

— E io che cosa dovrei indossare?

— Visto che dovrai rappresentare il mio intero seguito, qualcosa di molto efficace. — Fece un sorriso obliquo. — Quella blusa di seta rossa dovrebbe essere adeguata alla circostanza da riuscire a distrarre i nostri ospiti giù alla Stazione.

— Solo quelli di sesso maschile, amore — scherzò Ekaterin. — E se il loro capo della Sicurezza fosse una donna quad? Ma tu pensi che trovino i terricoli attraenti?

— In almeno un caso sì, a quanto pare — sospirò Miles. — È proprio per questo che è nato tutto questo pasticcio… comunque, siccome alcune parti della Stazione Graf sono a gravità zero, farai meglio a scegliere pantaloni piuttosto che gonne in stile barrayarano. Qualcosa che ti consenta libertà di movimento.

— Oh. Sì, certo.

Qualcuno bussò alla porta della cabina. — Milord?

Miles riconobbe la voce del suo armiere. — Sto arrivando, Roic. — Miles, trovandosi all’altezza del petto di Ekaterin, le rubò un abbraccio piacevolmente arrendevole e uscì nel corridoio angusto della nave.

Roic indossava una versione un po’ più semplice dell’uniforme Vorkosigan, appropriata al suo status di armiere Vor. — Vuole che prepari i bagagli per il trasferimento sull’ammiraglia barrayarana, Milord? — chiese.

— No. Per il momento restiamo qui.

Roic riuscì a nascondere il disappunto. Era un giovane di altezza imponente e dall’impressionante larghezza di spalle, e parlando della sua cabina aveva detto: È come una bara, Milord.

Miles aggiunse: — Non voglio compromettere la mia libertà di movimento mettendomi in mano all’una o all’altra parte di questo conflitto. E poi le cuccette dell’ammiraglia non sono molto più grandi, armiere, te lo garantisco.

Roic fece un sorrisetto triste, e scrollò le spalle. — Avrebbe dovuto portarsi Jankowski, signore.

— Perché è più basso?

— No, Milord! — Roic fece una smorfia vagamente indignata. — Perché lui è un vero veterano.

Per tradizione a un Conte di Barrayar era concessa una guardia del corpo di una dozzina di uomini legati da giuramento di fedeltà. I Vorkosigan avevano reclutato i loro armieri tra i veterani che si ritiravano dopo vent’anni di servizio nell’Esercito Imperiale. Le necessità della politica avevano imposto, negli ultimi decenni, che fossero per lo più uomini che avevano servito in ImpSec. Erano un gruppo di duri, ma piuttosto ingrigiti. Roic era un’eccezione.

— E quando mai questo è stato un problema?

Gli armieri del padre di Miles trattavano Roic come un giovincello, perché in effetti lo era, ma da altri non avrebbe sopportato di essere giudicato come un semplice cittadino di seconda classe.

— Eh… — Roic fece un gesto vago e piuttosto poco articolato che comprendeva l’intera nave in cui si trovavano. Miles comprese che il problema risiedeva in recenti discorsi che l’armiere aveva sentito.

Invece di imboccare il corridoio, Miles si appoggiò alla paratia e incrociò le braccia. — Senti, Roic… non c’è praticamente nessuno, nel Servizio Imperiale, della tua età che sia stato sotto il fuoco più di quanto è capitato a te nella Guardia Municipale di Hassadar. Non lasciare che quegli stronzi in uniforme verde ti facciano sentire inferiore. Sono solo palloni gonfiati. La metà di loro se la sarebbe fatta addosso per la paura, se si fosse trovata a dover neutralizzare quel pazzo assassino cui hai sparato in piazza Hassadar.

— Be’, ero già a metà della piazza, Milord. Era molto meno pericoloso saltargli addosso che voltarsi e scappare. Comunque avrebbe avuto tutto il tempo per prendermi di mira.

— Ma così facendo non gli hai dato il tempo di prendere di mira un’altra dozzina di persone presenti. Un’arma ad aghi automatica è un brutto affare. — Miles annuì brevemente.

— Un’arma sporca, Milord.

Nonostante la sua stazza, Roic tendeva a farsi prendere dalla timidezza in presenza di qualcuno di classe superiore, il che purtroppo accadeva quasi sempre al servizio dei Vorkosigan. Ma siccome la timidezza si presentava in superficie come stolidità, generalmente passava inosservata.

— Sei un armiere Vorkosigan — affermò Miles con fermezza. — Lo spirito del generale Piotr è intessuto nella tua uniforme, e sarai tu a impressionare loro.

Il rapido sorriso con cui Roic accettò quelle parole fu più frutto della gratitudine che della convinzione. — Vorrei tanto avere incontrato suo nonno, Milord. Dalle storie che raccontano su di lui, doveva essere un grand’uomo. Mia madre dice che il mio bisnonno lo ha servito sulle montagne durante l’occupazione cetagandana.


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