Arkos tolse un pezzo di pergamena dalla tasca della veste di pelliccia e lo tenne alto davanti al viso di Cheroki nella luce della candela. Poi continuò, con poco successo, il tentativo di imitare frate Francis: — "Non sono riuscito a capire cosa significasse voi lo sapete?"
Cheroki fissò i simboli e scosse il capo.
— Non lo chiedevo a voi - brontolò Arkos con voce normale. — È quello che ha detto Francis. Non lo sapevo neanch'io.
— E adesso lo sapete?
— Adesso lo so. Qualcuno è andato a controllare. Questa è una lamedh, e quella è una sadhe. Lettere ebraiche.
— Sadhe lamedh?
— No. Da destra a sinistra. Lamedh sadhe. Una elle e un suono tra la ti e la esse. Se vi fossero segni di vocali, potrebbe essere "loots", "lots", "lets", "latz", "litz"… qualunque cosa di questo genere. Se vi fosse qualche lettera in mezzo a queste due, potrebbe suonare come Llll… indovinate chi.
— Leibo… Oh, no!
— Oh, sì! Frate Francis non ci ha pensato. Ci ha pensato qualcun altro. Frate Francis non ha pensato al cappuccio di tela da sacco e alla corda del carnefice; ci ha pensato uno dei suoi confratelli. Così, cosa succede? Prima di notte, l'intero noviziato stava già ronzando per la dolce favoletta che Francis ha incontrato là fuori lo stesso Beato, e il Beato ha accompagnato il nostro ragazzo fino al punto in cui era questa roba e gli ha detto che avrebbe trovato la vocazione.
Un cipiglio di perplessità contrasse per un attimo il viso di Cheroki. — Frate Francis ha detto questo?
— Noo! — ruggì Arkos. — Non avete ascoltato? Francis non ha detto una cosa simile. Vorrei che l'avesse fatto, per la miseria; allora l'avrei colto in fallo, il birbante! Ma lui la racconta in modo dolce e semplice, piuttosto stupido, in realtà e lascia che siano gli altri a interpretarne il significato. Io non gli ho parlato, personalmente. Ho mandato il Rettore dei Memorabilia a farsi raccontare la sua versione.
— Credo che farei meglio a parlare a frate Francis — mormorò Cheroki.
— Fatelo! Quando siete entrato, non sapevate ancora se dovevo arrostirvi vivo o no. Per averlo fatto ritornare, voglio dire. Se l'aveste lasciato fuori nel deserto, non ci troveremmo alle prese con questa fantastica tiritera. Ma, d'altra parte, se fosse rimasto là fuori, non si può sapere che altro avrebbe tirato fuori da quel sotterraneo. Io credo che abbiate fatto bene a mandarlo qui.
Cheroki, che aveva preso la decisione su basi molto diverse, giudicò che la politica più appropriata fosse il silenzio.
— Parlategli — ringhiò l'abate. — Poi mandatelo da me.
Erano circa le nove di un luminoso lunedì mattina quando frate Francis bussò timidamente alla porta dello studio dell'abate. Una buona notte di sonno sul duro pagliericcio, nella sua vecchia, solita cella, più un'insolita colazione non avevano forse fatto prodigi per i suoi tessuti esausti e non avevano spezzato via completamente il riverbero del sole dal suo cervello, ma quei lussi relativi lo avevano per lo meno restituito a una chiarezza di mente sufficiente a consentirgli di intuire che aveva motivo di essere spaventato. Infatti era terrorizzato, così che il suo primo tocco alla porta dell'abate non si udì affatto. Neppure Francis poté udirlo. Dopo parecchi minuti, riuscì a raccogliere il coraggio necessario per bussare ancora.
— Benedicamus Domino.
— Deo gratias? - chiese Francis.
— Entra, figliolo entra! — chiamò una voce affabile che Francis, dopo qualche secondo di perplessità, riconobbe, sbalordito, per quella del suo abate.
— Gira la maniglia, figlio mio — disse la stessa voce amichevole dopo che frate Francis si era fermato irrigidito per parecchi secondi, con le nocche ancora nella posizione di bussare.
— S-s-sì… — Francis toccò appena la maniglia, ma parve che quella maledetta porta si aprisse comunque; aveva sperato che sarebbe rimasta saldamente bloccata.
— Monsignore l'Abate ha m-m-m-andato a chiamare… me? — squittì il novizio.
L'abate Arkos sporse le labbra e annuì lentamente. — Uhm-sì, l'Abate ha mandato a chiamare… te. Entra e chiudi la porta.
Frate Francis chiuse la porta e rimase ritto, rabbrividendo, nel centro della stanza. L'abate giocherellava con qualcuno degli oggetti dai baffi di filo metallico tolti dall'antica cassetta.
— O forse sarebbe stato più conveniente — disse l'Abate Arkos — se il Reverendo Padre Abate fosse stato chiamato da te. Ora che tu sei stato così favorito dalla Provvidenza e sei diventato così famoso, eh? — E sorrise in modo accattivante.
— Eh? Eh? — Frate Francis rise con aria interrogativa. — Oh, n-n-no, Monsignore.
— Non contesti di aver acquisito fama molto rapidamente? Di essere stato eletto dalla Provvidenza per scoprire questo… — E indicò con un gesto le reliquie sparse sulla scrivania — … questa cassetta di cianfrusaglie come il suo precedente proprietario la chiamava giustamente?
Il novizio balbettò, impotente, e in qualche modo riuscì ad esibire una specie di sogghigno.
— Tu hai diciassette anni e sei evidentemente un idiota, non è così?
— Questo è indubbiamente vero, Monsignore Abate.
— Che scusa adduci per crederti chiamato alla Religione?
— Nessuna scusa, magister meus.
— Ah? È così? Allora senti di non avere vocazione per l'Ordine?
— Oh, io l'ho! — ansimò il novizio.
— Ma non adduci alcuna giustificazione?
— Nessuna.
— Piccolo cretino, ti sto chiedendo quali ragioni hai. Poiché dichiari di non averne, ne deduco che sei pronto a negare di aver incontrato qualcuno nel deserto, l'altro giorno, che sei inciampato in questa cassetta di cianfrusaglie senza alcun aiuto, e che ciò che io ho udito dagli altri è soltanto… un delirio febbrile?
— Oh, no, Don Arkos!
— Oh, no che cosa?
— Non posso negare ciò che ho visto con i miei occhi, Reverendo Padre.
— Quindi, tu hai incontrato un angelo… o era un santo?… forse non ancora un santo?… e ti ha indicato dove cercare?
— Non ho mai detto che era…
— E questa è la giustificazione per credere di avere una sincera vocazione, non è così? Questa… questa… dobbiamo chiamarla una "creatura"?… ti ha augurato di trovare una voce, e ha segnato una pietra con le sue iniziali, e ti ha detto che era ciò che cercavi, e quando tu hai guardato sotto la pietra… c'era questo. Eh?
— Sì, Don Arkos.
— Cosa ne pensi della tua esecrabile vanità?
— La mia esecrabile vanità è imperdonabile, mio Signore e Maestro.
— Immaginarti tanto importante da essere imperdonabile, è una vanità ancora più grande — ruggì il superiore dell'abbazia.
— Monsignore, io sono veramente un verme.
— Benissimo, è solo necessario che tu neghi la parte relativa al pellegrino. Nessun altro ha visto quella persona, sai. Mi pare di aver capito che avrebbe dovuto venire in questa direzione. Ha detto persino che si sarebbe fermato qui. E si è informato sull'abbazia. Sì? E dove sarebbe sparito, se mai è esistito? Nessuna persona di quel genere è passata di qui. Il fratello che era di turno alla torre di guardia non l'ha visto. Eh? Adesso sei disposto ad ammettere che te lo sei immaginato?
— Se non vi fossero veramente quei due segni sulla pietra dove lui… allora forse potrei…
L'abate chiuse gli occhi e sospirò, stancamente. — I segni ci sono… molto deboli — ammise. — Avresti potuto farli tu.
— No, Monsignore.
— Ammetti di avere immaginato quella vecchia creatura?
— No, Monsignore.
— Benissimo, sai cosa ti capiterà, adesso?
— Sì, Reverendo Padre.
— Allora preparati a ricevere la punizione.
Tremando, il novizio si raccolse l'abito attorno alla cintura e si piegò sulla scrivania. L'abate prese dal cassetto una robusta riga di quercia, la provò sulla palma, poi diede a Francis un abile colpo trasversale sulle natiche.