Isaac Edward Leibowitz, dopo un'inutile ricerca della moglie, si era rifugiato presso i Cistercensi, e lì rimase nascosto nei primi anni che seguirono il Diluvio. Dopo sei anni, era andato ancora un volta alla ricerca di Emily e della sua tomba, nel lontano sud-est. Là si era finalmente convinto che la donna era morta, poiché in quel luogo la morte trionfava incondizionatamente. Lì, nel deserto, fece silenziosamente un voto. Poi ritornò ai Cistercensi, prese il loro abito, e qualche anno dopo diventò prete. Raccolse attorno a sé alcuni compagni e fece loro alcune quiete proposte. Passò ancora qualche anno, e le proposte giunsero fino a "Roma" che non era più Roma (che, a sua volta, non era più una città) e che continuava a spostarsi, e a spostarsi ancora e ancora… in meno di due decenni, dopo essere rimasta per due millenni in un solo luogo. Dodici anni dopo la formulazione delle proposte, Padre Isaac Edward Leibowitz aveva ottenuto dalla Stanta Sede il permesso di fondare una nuova comunità di religiosi, che prese il nome da Alberto Magno, maestro di San Tommaso, e patrono degli uomini di scienza. La missione dell'Ordine, non annunciata e dapprima soltanto vagamente definita, era quella di preservare la storia umana per i pro-pro-pronipoti dei figli dei semplicioni che la volevano distruggere. Il primo abito dell'Ordine fu costituito da brandelli di tela da sacco, l'uniforme della folla dei semplicioni. I suoi membri erano "contrabbandieri di libri" o "memorizzatori", secondo il compito loro affidato. I contrabbandieri di libri portavano i libri nel deserto sudoccidentale e li seppellivano entro i barili. I memorizzatori imparavano a memoria interi volumi di storia, delle sacre scritture, della letteratura e della scienza, nel caso che qualche sfortunato contrabbandiere di libri fosse catturato, torturato, e costretto a rivelare il luogo in cui erano nascosti i barili. Nel frattempo, altri membri del nuovo Ordine scoprirono un pozzo a circa tre giorni di viaggio dal nascondiglio dei libri e cominciarono a costruirvi un monastero. Il progetto, che mirava a salvare un piccolo resto della cultura umana dal resto dell'umanità che lo voleva distrutto, era così iniziato.

Leibowitz, mentre stava compiendo il suo turno come contrabbandiere di libri, fu catturato da una folla di semplicioni; un tecnico rinnegato, che il prete si affrettò a perdonare, lo identificò non soltanto come un uomo dotto, ma come uno specialista nel campo delle armi. Incappucciato di tela da sacco, fu immediatamente martirizzato per strangolamento con un cappio da carnefice annodato in modo da non spezzare il collo, e nello stesso tempo veniva arrostito vivo… sistemando così una disputa sorta fra la folla sul metodo dell'esecuzione.

I memorizzatori erano pochi, la loro memoria limitata.

Alcuni dei barili di libri furono trovati e bruciati, e così pure molti altri contrabbandieri di libri. Lo stesso monastero fu assalito tre volte, prima che la follia si placasse.

Dal vasto mare della conoscenza umana, soltanto pochi barili di libri originali e una pietosa raccolta di testi copiati a mano, trascritti a memoria, erano rimasti in possesso dell'Ordine, quando la follia era finita.

Ora, dopo sei secoli di oscurantismo, i monaci conservavano ancora questi Memorabilia, li studiavano, li copiavano e li ricopiavano, e attendevano pazientemente. In principio, ai tempi di Leibowitz, si era sperato — e si era p'ersino ritenuto probabile — che la quarta o la quinta generazione avrebbe cominciato a desiderare di riavere la propria eredità. Ma i monaci dei primi tempi non avevano pensato alla capacità umana di ricreare un nuovo patrimonio culturale in un paio di generazioni, se un patrimonio antico è completamente distrutto, ricreandolo in virtù di legislatori e di profeti, di geni o di monaci; per merito di un Mosé o per merito di un Hitler, o di un avo ignorante ma tirannico, un patrimonio culturale poteva essere acquisito tra il crepuscolo e l'aurora, e molti sono stati acquisiti in tal modo. Ma la nuova "cultura" era un'eredità delle tenebre, dei tempi in cui "semplicione" aveva lo stesso significato di "cittadino" e di "schiavo". I monaci attendevano. A loro nulla importava che la conoscenza da loro salvata fosse inutile, che gran parte di essa non fosse più ormai, vera conoscenza, e fosse ormai imperscrutabile per i monaci, in certi casi, quanto lo sarebbe stata per un selvaggio analfabeta delle colline; quella conoscenza era priva di contenuto, le discipline di cui trattava erano scomparse da lungo tempo. Eppure, tale conoscenza aveva una struttura simbolica caratteristica, e per lo meno era possibile osservare il gioco reciproco dei simboli. Osservare il modo in cui un sistema di conoscenza costruito significa imparare un minimo di conoscenza della conoscenza; fino a che un giorno, forse fra qualche secolo, sarebbe venuto un Integratore, e tutto sarebbe tornato di nuovo a posto. Così, il tempo non aveva importanza. I Memorabilia erano là, ed era loro dovere preservarli, li avrebbero preservati, anche se le tenebre sul mondo fossero durate altri dieci secoli, o anche dieci millenni, perché i monaci, sebbene nati nella più buia delle età, erano ancora gli stessi contrabbandieri di libri e gli stessi memorizzatori del Beato Leibowitz, e quando vagavano lontano dalla loro abbazia, ciascuno dei professi dell'Ordine, dallo stalliere all'Abate, portava, come parte del loro abito, un libro, di solito un Breviario in quei tempi, legato in un specie di bisaccia.

Dopo che il rifugio fu richiuso, i documenti e le reliquie che ne erano stati asportati furono studiati, uno alla volta e in modo molto discreto, dall'abate. Non fu più possibile esaminarli, chiusi com'erano, probabilmente, nello studio di Arkos. Era come se fossero scomparsi, ai fini pratici. Tutto ciò che scompariva nello studio dell'abate era un soggetto pericoloso per una pubblica conversazione: diventava qualcosa di cui si poteva sussurrare soltanto in silenziosi corridoi. Frate Francis udiva soltanto di rado quei bisbigli. Alla fine si quietarono, per rivivere quando un messaggero venuto da Nuova Roma parlò sottovoce all'abate, una sera nel refettorio. Un frammento della loro conversazione sussurrata giunse fino alle tavole vicine. I mormoni durarono alcune settimane, dopo la partenza del messaggero, poi tornarono a quietarsi.

Frate Francis Gerard dello Utah ritornò nel deserto, l'anno seguente, e di nuovo digiunò in solitudine per tutta la Quaresima. Ancora una volta ritornò, debole ed emaciato, e ben presto fu chiamato alla presenza dell'Abate Arkos, il quale volle sapere se pretendeva di avere avuto altri colloqui con membri delle Schiere Celesti.

— Oh, no, Monsignore Abate. Di giorno ho visto soltanto lucertole.

— E di notte? — chiese sospettoso Arkos.

— Soltanto lupi — disse Francis, e aggiunse cautamente: — Penso.

Arkos preferì non approfondire quel prudente emendamento, ma si limitò ad accigliarsi. Il cipiglio dell'abate, aveva osservato frate Francis, era la sorgente di una energia radiante che viaggiava nello spazio a velocità finita e che non era ancora bene compresa, a eccezione del fatto che faceva avvizzire tutto ciò su cui si posava, poiché tale oggetto era di solito un postulante o un novizio. Francis aveva già assorbito una scarica di cinque secondi, quando gli fu rivolta la domanda seguente.

— E a proposito dello scorso anno?

Il novizio fece una pausa per inghiottire saliva. — Il… vecchio?

— Il vecchio.

— Sì, Don Arkos.

Cercando di allontanare dal suo tono ogni sfumatura di punto interrogativo, Arkos disse: — Era davvero un vecchio. Nient'altro. Adesso ne siamo sicuri.

— Anch'io penso che fosse soltanto un vecchio.

Padre Arkos tese fiaccamente la mano per impugnare il righello di quercia.

Whack!

— Deo gratias!

Whack!

— Deo…


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