— Ah, sì, mi avevano detto che voleva parlarmi. — Cortesemente, Leo attese che si fosse ancorata prima di tenderle la mano.
Indicò il telescopio con un gesto. — C’è una splendida vista della raccolta delle capsule da carico. Mi sembra che questo potrebbe essere un altro lavoro per i vostri quad.
— Già, infatti è più di un anno che lo fanno — Yei sorrise con soddisfazione. — Quindi non le riesce troppo difficile abituarsi ai quad? Il suo profilo psicologico ci faceva temere il contrario. Bene.
— Oh, i quad non sono un problema. — Leo si interruppe, quasi sul punto di esprimere il suo disagio, anche se non era sicuro di poterlo tradurre in parole. — Al principio sono solo rimasto sorpreso.
— Comprensibile. Allora non crede che avrà delle difficoltà ad essere il loro insegnante?
Leo sorrise. — Non possono certo essere peggio del gruppo di operai che ho addestrato alla Stazione Orbitale 4 di Giove.
— Non parlavo di difficoltà da parte loro - rispose Yei sorridendo. — Scoprirà che sono studenti molto svegli e intelligenti. Dei bravi bambini, in senso letterale. Ed è proprio di questo che voglio parlarle. — Si interruppe, come se stesse raccogliendo le idee, come facevano in lontananza i rimorchiatori con le caspule.
«Gli insegnanti e gli istruttori della GalacTech rivestono un ruolo parentale per la famiglia dell’Habitat. Anche se dal canto loro non hanno genitori, i quad un giorno dovranno diventare, anzi stanno già diventando, genitori. Fin dal principio ci siamo dati molto da fare per fornire loro dei modelli di personalità adulte stabili e responsabili. Ma loro sono ancora dei bambini. La osserveranno attentamente. Voglio che lei lo sappia e si comporti di conseguenza: da lei non impareranno solo il lavoro di saldatura. Assimileranno anche gli altri schemi di comportamento. In breve, se ha delle cattive abitudini, e tutti ne abbiamo, deve lasciarle a terra per tutto il tempo della sua permanenza qui. In altre parole — proseguì Yei, — si controlli. Controlli il suo linguaggio. — Un involontario sorriso le fece socchiudere gli occhi. — Per esempio, un addetto all’asilo nido aveva l’abitudine di usare in parecchi contesti l’espressione «sputare in un occhio»… non solo i quad hanno pensato che fosse molto divertente, ma la cosa ha dato origine ad un’interminabile sequela di sputi negli occhi tra i bambini di cinque anni, che ha richiesto settimane per essere sradicata. Lei lavorerà con ragazzi molto più grandi, ma il principio non cambia. Per esempio, ha portato materiale di lettura o di visione con sé? Dischi di informazione, videodrammi, cose di questo genere?
— Non sono un gran lettore — rispose Leo. — Ho portato il materiale per il mio corso.
— Non sto parlando di materiale tecnico. Recentemente ho avuto dei problemi con la… uhm… narrativa.
Leo sollevò un sopracciglio, sogghignando. — Pornografia? Al suo posto non mi preoccuperei. Quando ero ragazzo, avevamo l’abitudine di scambiarci…
— No, non pornografia. Credo che i quad non la capirebbero neppure. La sessualità è argomento di libera discussione, qui, fa parte della loro formazione, del corso di biologia. Mi preoccupa molto di più quella narrativa che maschera valori falsi o pericolosi con una veste appariscente o una versione edulcorata della realtà.
Leo aggrottò la fronte, sempre più sconcertato. — Ma non avete insegnato neanche un po’ di storia a questi ragazzi? Non avete mai raccontato loro…
— Certo che lo abbiamo fatto, nessuna delle due cose è mancata ai quad. Si tratta solo di porre l’accento nel modo giusto. Per esempio, un tipico corso di storia insegnato a terra e relativo, per esempio, all’insediamento di Orient IV, dedica circa una quindicina di pagine all’anno della Guerra dei Fratelli, un’aberrazione sociale bizzarra anche se temporanea, e non più di due agli oltre cento anni di insediamento e sviluppo del pianeta. Il nostro testo dedica alla guerra un paragrafo. Ma alla costruzione della galleria a monorotaia di Witgow, con i conseguenti benefici economici per entrambe le parti, sono dedicate cinque pagine. Insomma, noi poniamo l’accento sulla costruzione e non sulla distruzione, su ciò che è comune e non su ciò che è raro, sugli eventi normali a spese di quelli anormali. In questo modo i quad non avranno mai l’idea che da loro ci si aspetti qualcosa di anormale. Se vorrà leggere i testi, penso che assimilerà molto in fretta questo concetto.
— Io… già, penso che sarà meglio — mormorò Leo. Il grado di censura imposto ai quad, implicito del resto nella breve descrizione di Yei, gli fece accapponare la pelle; eppure, l’idea di un testo che dedicasse interi capitoli alle grandi opere di ingegneria gli faceva venir voglia di alzarsi in piedi a gridare di gioia! Mascherò la sua confusione sotto un timido sorriso. — Davvero non ho portato nulla con me — ripeté conciliante.
Lei lo condusse a visitare i dormitori e gli asili nido dei quad più giovani.
I piccoli meravigliarono Leo: sembravano così tanti, ma forse dipendeva dal fatto che si muovevano molto in fretta. Una trentina di bambini di cinque anni si mise a rimbalzare sulle pareti della palestra a gravità zero come un nugolo di palline da ping-pong impazzite, quando la loro madre del nido, una donna piacente e rotondetta chiamata Mamma Nilla, assistita da due quad poco più che adolescenti, li portò fuori dall’aula di lettura. Ma quando batté le mani e partì la musica, essi iniziarono un gioco o una danza dimostrativa… Leo non era sicuro di quale delle due cose si trattasse, fra tutti quei risolini e occhiate in tralice nella sua direzione. Il gioco consisteva nel creare un doppio decaedro a mezz’aria, una sorta di piramide umana, ma molto più complessa, tenendosi per mano e cambiando formazione a tempo con la musica. Grida di disappunto si levarono quando uno di loro scivolò, rovinando la formazione. Quando si raggiungeva la perfezione, tutto il gruppo aveva vinto. A Leo il gioco piacque moltissimo. La dottoressa Yei rise osservando Leo circondato da uno sciame di giovani quad e sembrò fare le fusa dalla contentezza.
Ma alla fine della visita lo studiò attentamente con un sorrisetto che le increspava gli angoli della bocca. — Signor Graf, lei ha ancora qualcosa che non va. È sicuro di non covare ancora un residuo del vecchio complesso di Frankenstein? Se lo ammette con me, va tutto bene, anzi, voglio proprio che me ne parli.
— Non si tratta di questo — rispose Leo incerto. — È solo che, be’, non ho nulla da obiettare al fatto che cerchiate di dare loro la maggior spinta possibile a vivere in gruppo, dal momento che dovranno passare tutta la loro vita su affollate stazioni spaziali. Sono molto disciplinati per la loro età, e anche questo è un bene…
— È vitale per la loro sopravvivenza in un ambiente spaziale!
— Certo, ma… e le loro autodifese?
— Deve spiegarmi questa espressione, signor Graf: difese da cosa?
— Be’, mi sembra che siate riusciti a creare un migliaio di piccoli fenomeni da baraccone. Ragazzi simpatici, ma non sono un tantino… femminilizzati? — Si lasciava trascinare sempre di più e il sorriso di lei si era trasformato in corruccio. — Voglio dire… mi sembrano maturi al punto giusto per venir sfruttati da… da qualcuno. Tutto questo esperimento sociologico è stata un’idea sua? Sembra il sogno di una donna per una società perfetta. Tutti sono così ben educati. - Aveva la sgradevole certezza di aver espresso male i propri pensieri, ma sicuramente lei era in grado di comprenderne la validità…
La dottoressa trasse un profondo respiro ed abbassò la voce. — Parliamoci chiaro, signor Graf. I quad non li ho inventati io. Sono stata assegnata qui sei anni fa: sono le direttive della GalacTech che richiedono il massimo della socializzazione. Ma li ho ereditati e mi stanno a cuore. Non è suo compito, né tantomeno suo dovere, capire la loro posizione legale, ma questa è una cosa che mi riguarda molto. La loro salvezza sta nella loro socializzazione.