Al mago venne in mente una spiegazione. — Ah, siete venuto a ingaggiare dei mercenari ("guerrieri che combattono per la tribù che possiede più noci di cocco")?

— Oh no. Desidero semplicemente incontrarli. Così quando torno a casa posso raccontarlo.

Se Duefiori incontrava la clientela del Tamburo, pensò Scuotivento, non sarebbe più tornato a casa sua, a meno che questa si trovasse lungo il fiume e lui la superasse trascinato dalla corrente.

— Dov’è casa vostra? — domandò.

Il Grosso si era ritirato in qualche stanza sul retro, mentre Hugh li osservava sospettoso, seduto a un tavolo vicino.

— Avete sentito parlare della città di Bes Palargic?

— Be’, non sono rimasto a lungo a Trob. Sapete, ci sono soltanto passato.

— Oh no, non si trova a Trob. Parlo trob perché nei nostri porti ci sono tanti marinai trob. Bes Palargic è il porto più grande dell’Impero Agateo.

— Temo di non averlo mai sentito.

Duefiori sollevò un sopracciglio. — No? È molto grande. Si circumnavigano le Brown Islands e si viaggia per circa una settimana prima di arrivarci. State bene?

Girò in fretta intorno al tavolo per battere sulla schiena del mago.

A Scuotivento la birra era andata di traverso.

Il Continente Contrappeso!

Tre strade più in là, un vecchio lasciò cadere una moneta in una coppa colma d’acido, che girò con precauzione. Il Grosso attendeva impaziente, a disagio nella stanza resa rumorosa dai tini e dagli alambicchi ribollenti, con le pareti rivestite di scaffali contenenti forme indistinte che facevano pensare a teschi e misteriose creature impagliate.

— Allora? — domandò.

— Non si possono affrettare queste cose — rispose stizzosamente il vecchio alchimista. — Ci vuole tempo per le analisi. Ah! — Rimestò nella coppa dove la moneta giaceva in un vortice verde e fece dei calcoli su un pezzetto di pergamena: — Straordinariamente interessante — sillabò alla fine.

— È autentica?

Il vecchio spinse le labbra in fuori. — Dipende da come intendete il termine. Se volete dire: questa moneta ha lo stesso valore di… vediamo, un pezzo da cinquanta talleri, allora la risposta è no.

— Lo sapevo — gridò l’albergatore e si avviò alla porta.

— Non sono sicuro di essere stato chiaro — disse l’alchimista. Il Grosso si girò incollerito.

— Che volete dire?

— Be’, vedete, fra una cosa e l’altra, nel corso degli anni la nostra coniatura si è alquanto, diciamo, diluita. Il contenuto in oro della moneta ordinaria è soltanto un terzo del totaie, il resto è fatto d’argento, rame…

— Che vuol dire?

— Ho detto che questa moneta non è come le nostre. È oro puro.

Il Grosso se ne andò di corsa e l’alchimista rimase per un po’ a guardare il soffitto. Poi tirò fuori un sottile pezzetto di pergamena, frugò nel disordine del suo banco da lavoro per trovare una penna e scrisse un messaggio brevissimo. Andò quindi alle gabbie dove erano chiusi colombe bianche, galletti neri e altri animali da laboratorio. Tolse da una un ratto dal pelo lucente, arrotolò la pergamena nella fiala fissata a una delle zampe posteriori, e lo lasciò andare. Per un momento l’animale fiutò in giro e poi sparì in un buco nella parete di fondo.

Circa alla stessa ora una chiromante fino allora sfortunata, che viveva dall’altra parte dell’isolato, guardò per caso nella sua sfera di cristallo, e se ne uscì in un gridolino. Tempo un’ora aveva venduto i suoi gioielli, corredo magico, la maggior parte dei vestiti e quasi tutti gli altri suoi averi impossibili da trasportare sul cavallo più veloce che le riuscì di acquistare. Il fatto che più tardi, quando la sua casa crollò in fiamme, lei perì in una frana improvvisa nelle montagne Morpork dimostra che anche la Morte è dotata di senso dell’umorismo.

All’incirca allo stesso momento in cui il ratto scompariva nel labirinto di percorsi sotterranei, ubbidendo a un antico istinto, il Patrizio di Ankh-Morpork prendeva in mano le lettere consegnate quella mattina a mezzo di un albatro. Guardò pensieroso ancora una volta quella in cima al pacco e fece venire il capo delle spie.

Al Tamburo Rotto, Scuotivento ascoltava a bocca aperta il racconto di Duefiori.

— Così ho deciso di vedere da me — diceva l’ometto. — Mi è costato otto anni di risparmi. Ma ne è valsa la pena fino all’ultimo mezzo rhinu. Voglio dire, eccomi qua a Ankh-Morpork, famosa nelle ballate e nei racconti. Nelle vie che hanno conosciuto il passo di Hrun il Barbaro, e Bravd della Terra del Centro e Donnola… È tutto proprio come l’immaginavo, sapete.

Il viso di Scuotivento era una maschera di orrore affascinato.

— Proprio non sopportavo più di rimanere laggiù a Bes Palargic — continuò gaio Duefiori. — Tutto il giorno seduto a incolonnare cifre e alla fine aspettarsi soltanto la pensione… che cosa c’è di romantico in questo? Mi sono detto: Duefiori, adesso o mai più. Non devi soltanto ascoltare i racconti. Puoi andarci. È tempo di smettere di bighellonare per i moli a sentire i racconti dei marinai. Così ho compilato un dizionarietto e ho comprato un biglietto sulla prima nave diretta alle Brown Islands.

— Senza guardie? — mormorò il mago.

— No. Perché? Vale la pena di rubare ciò che ho?

Scuotivento tossì. — Voi avete, ehm, dell’oro.

— Solo duemila rhinu. Una somma appena sufficiente a mantenere un uomo più di un mese o due. A casa, cioè. Suppongo che qui durerebbe un po’ di più.

— Un rhinu sarebbe una di quelle grosse monete d’oro?

— Sì. — Duefiori guardò preoccupato il mago al di sopra delle sue strane lenti. — Credete che duemila basteranno?

— Yarrt — gracchiò Scuotivento. — Voglio dire, sì… bastano.

— Bene.

— Uhm. Sono tutti ricchi come voi nell’Impero Agateo?

— Io ricco? Benedetto, che cosa vi ha messo in testa una simile idea? Sono soltanto un povero impiegato! Secondo voi, ho pagato troppo l’albergatore? — aggiunse.

— Uh, si sarebbe accontentato di meno — concesse Scuotivento.

— Ah, la prossima volta mi regolerò meglio. Vedo che ho un sacco da imparare. Mi viene un’idea. Scuotivento, acconsentireste a essere impiegato come, non so, forse la parola "guida" è adatta alle circostanze? Penso di essere in grado di pagarvi un rhinu al giorno.

Scuotivento aprì la bocca per rispondere ma le parole gli si fermarono in gola, riluttanti a venire fuori in un mondo che stava rapidamente impazzendo. Duefiori arrossì.

— Vi ho offeso. È stato impertinente da parte mia rivolgere un simile invito a un professionista come voi. Senza dubbio avete molti progetti di cui occuparvi… opere di alta magia…

— No — rispose debolmente Scuotivento. — Non in questo momento. Un rhinu, avete detto? Uno al giorno? Tutti i giorni?

— Credo che, date le circostanze, dovrei fare un rhinu e mezzo al giorno. Più le spese correnti, naturalmente.

Il mago si mostrò all’altezza della situazione. — Andrà benissimo — assicurò. — Magnifico.

Duefiori cavò di tasca un grosso oggetto rotondo d’oro, lo guardò un attimo e lo ripose, senza lasciare a Scuotivento il tempo di dargli una buona occhiata.

— Credo che adesso mi piacerebbe riposarmi un po’ — disse. — La traversata è stata lunga. E poi forse sarete così gentile da tornare a mezzogiorno; potremo visitare la città.

— Sicuro.

— Allora, per piacere, chiedete all’albergatore di mostrarmi la mia camera.

Scuotivento ubbidì e guardò il Grosso arrivare al galoppo da una stanza sul retro per condurre l’ospite su per la scala dietro il bar. Pochi secondi dopo il Bagaglio si alzò e si avviò dietro a loro.

Il mago allora abbassò gli occhi sulle sei grosse monete che teneva in mano. Duefiori aveva insistito per pagargli in anticipo i primi quattro giorni.

Hugh gli fece un cenno con la testa e sorrise incoraggiante, ma in risposta non si ebbe che una smorfia minacciosa.


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