Come studente di magia Scuotivento non aveva mai preso buoni voti nella precognizione. Ma adesso nel cervello gli pulsavano circuiti insoliti ed era come se il futuro fosse impresso a vividi colori nelle sue pupille. Sentiva un prurito nelle scapole. La cosa ragionevole da farsi, lo sapeva, era comprare un cavallo. Sarebbe dovuto essere un animale veloce, costoso. Tra parentesi, nessuno dei mercanti di cavalli di sua conoscenza era abbastanza ricco da dare il resto di quasi un’oncia d’oro.

Le altre cinque monete gli avrebbero permesso di avviare una proficua professione a distanza di sicurezza, diciamo quattrocento chilometri. Questa sarebbe stata la cosa ragionevole da farsi.

Ma che sarebbe successo a Duefiori, tutto solo in una città dove perfino gli scarafaggi possedevano un istinto infallibile per l’oro?

Un uomo sarebbe dovuto essere un vero mascalzone per abbandonarlo.

Il Patrizio di Ankh-Morpork sorrise, ma solo con le labbra.

— La porta del Centro, hai detto? — mormorò.

Il capitano delle guardie si mise sull’attenti. — Sì, mio signore. Per fermarlo, abbiamo dovuto sparare al cavallo.

— Ciò che ti porta qui per direttissima — disse il Patrizio rivolto a Scuotivento. Cosa hai da dire a tua discolpa?

Correva voce che un’intera ala del palazzo del Patrizio fosse occupata da impiegati che trascorrevano le giornate a collazionare e aggiornare tutte le informazioni raccolte dal sistema spionistico estremamente sofisticato del loro padrone. Scuotivento non ne dubitava. Lancio un’occhiata alla balconata che correva lungo un lato della sala delle udienze. Una corsa improvvisa, un salto agile… una grandine di frecce di balestra. Rabbrividì.

Il Patrizio appoggiò il mento sulla mano inanellata e fissò il mago con i suoi occhi piccoli e duri come i grani di una collana.

— Vediamo — disse. — Spergiuro, furto di un cavallo, moneta falsa… Sì, credo che ti aspetti l’Arena. Scuotivento.

Questo era troppo.

— Non ho rubalo il cavallo. L’ho comprato onestamente.

— Ma con una moneta falsa. Tecnicamente, vedi, si tratta di furto.

— Ma quei rhinu sono di oro puro!

— Rhinu? — Il Patrizio ne fece girare uno tra le sue dita tozze. — E così che si chiamano? interessante. Ma. come hai osservato tu stesso, non assomigliano molto ai talleri…

— Be’, naturalmente non sono…

— Ah, allora l’ammetti?

Scuotivento aprì la bocca per parlare, ci ripensò e la richiuse.

— Proprio così. E per di più c’è anche l’onta morale che accompagna il vigliacco tradimento di un visitatore nel nostro paese. Vergogna. Scuotivento.

Il Patrizio fece un gesto vago con la mano. Le guardie, alle spalle del mago, indietreggiarono e il capitano si spostò a destra di qualche passo. Scuotivento a un tratto si sentì molto solo.

Si dice che quando un mago è vicino a morire, la Morte stessa si faccia avanti a reclamarlo (invece di delegare il compito, come di solito, a un subordinato. Malattie o Fame). Scuotivento cercò nervosamente con gli occhi un’alta figura in nero (i maghi, anche quelli falliti, oltre alla bacchetta e al cappello a cono, hanno nelle pupille i minuscoli ottagoni che gli permettono di guardare dentro il distante ottarino, il colore base di cui tutti gli altri sono soltanto le pallide ombre che si riflettono nel normale spazio quadridimensionale. Si dice sia una specie di porpora fluorescente giallo-verdastro). Era un’ombra guizzante quella che vedeva nell’angolo?

— Naturalmente potrei mostrarmi misericordioso — dichiarò il Patrizio.

L’ombra scomparve. Scuotivento alzò lo sguardo, un’espressione di folle speranza sul volto.

— Sì? — disse.

Di nuovo il Patrizio fece un gesto. Le guardie lasciarono la sala.

— Avvicinati, Scuotivento — gli ordinò. Indicò una ciotola di cibi appetitosi su un basso tavolo di onice vicino al trono. — Gradiresti una medusa candita? No?

— Uhm, no — rispose Scuotivento.

— Ora voglio che ascolti molto attentamente ciò che sto per dirti — gli comunicò il Patrizio in tono amabile — altrimenti morirai. In modo interessante. E lento. Per piacere, smetti di agitarti. Dato che sei un mago, tu sai di certo che viviamo su un mondo a forma di disco? E che si dice esista, sul bordo esterno, un continente il quale, sebbene piccolo, eguaglia in peso tutte le altre grandi terre di questo emicerchio. E che, secondo un’antica leggenda, ciò è dovuto al fatto che sia composto in grande misura d’oro?

Scuotivento annuì. Chi non aveva sentito parlare del Continente Contrappeso? Certi marinai credevano perfino alle favole dell’infanzia e facevano vela alla sua ricerca. Naturalmente, tornavano a mani vuote o non tornavano affatto. Probabilmente erano stati divorati da tartarughe giganti, come sostenevano i marinai più seri. Perché di sicuro il Continente Contrappeso non era altro che un mito solare.

— Il Continente esiste, naturalmente — affermò il Patrizio. — Anche se non è fatto d’oro, è vero che lì l’oro è un metallo molto comune. La maggior parte della massa consiste di vasti e profondi giacimenti di ottironi sotto la crosta. Pertanto sarà chiaro a una mente penetrante come la tua che l’esistenza del Continente Contrappeso rappresenta una minaccia mortale per il nostro popolo… — Fece una pausa. Scuotivento l’ascoltava a bocca aperta. Sospirò e aggiunse: — Possibile mai che non mi capisci?

— Yarrg. — Scuotivento deglutì e si passò la lingua sulle labbra. — Voglio dire, no… Voglio dire… be’, l’oro…

— Capisco. Forse pensi che sarebbe magnifico andare al Continente Contrappeso e riportarne una nave carica d’oro?

Scuotivento sospettò che gli si stesse tendendo un tranello e azzardò: — Sì?

— E se ogni uomo sulle rive del Mare Circolare possedesse una montagna d’oro tutta sua? Sarebbe un bene? Cosa accadrebbe? Rifletti.

Scuotivento aggrottò la fronte. Pensava. — Saremmo tutti ricchi?

Il calo di temperatura che accolse la sua osservazione gli fece capire che non era quella giusta.

— Tanto vale che ti dica, Scuotivento, che esiste un certo contatto tra i Signori del Mare Circolare e l’imperatore dell’Impero Agateo, come è chiamato. Un contatto molto vago. Abbiamo poco in comune: noi non possediamo nulla che loro vogliono e loro non hanno nulla che noi possiamo permetterci. È un impero antico, Scuotivento. Antico, astuto, crudele e molto, molto ricco. Così ci scambiamo saluti fraterni con la posta a mezzo albatro. A intervalli non frequenti.

"Una di queste lettere è arrivata stamattina. Sembra che uno dei soggetti dell’impero si sia messo in testa di visitare la nostra città. Per guardarla. Soltanto un pazzo si sottometterebbe a tutte le privazioni di una traversata dell’oceano Turnwise per il semplice gusto di guardare qualcosa. Comunque… L’uomo è sbarcato stamattina. Avrebbe potuto incontrare un grande eroe o il più astuto dei ladri o un grande saggio. Ha incontrato te. Ti ha assunto come guida. Scuotivento, tu farai da guida a questo spettatore, a questo Duefiori. Baderai a che se ne torni a casa con un buon rapporto sulla nostra piccola patria. Che hai da dire in proposito?"

— Ehm. Grazie, mio signore — rispose Scuotivento avvilito.

— C’è anche un altro punto. Sarebbe una tragedia se al nostro piccolo visitatore accadesse qualcosa di spiacevole. Per esempio, sarebbe spaventoso se dovesse morire. Spaventoso per il paese tutto, perché l’Impero Agateo veglia sui suoi e potrebbe certamente annientarci con un cenno. Un semplice cenno. E questo sarebbe spaventoso per te, Scuotivento. Nelle settimane precedenti l’arrivo dell’imponente flotta mercenaria dell’Impero, certi miei servitori si occuperebbero della tua persona nella speranza che all’arrivo dei capitani assetati di vendetta, la loro collera si mitigasse alla vista del tuo corpo ancora vivo. Ci sono incantesimi che possono impedire alla vita di abbandonare un corpo, per quanto malridotto e… Vedo dalla tua espressione che cominci a capire?


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