«Non potevano restare insieme, sul mare. Le navi erano veloci, le barche erano lente. Dopo otto giorni, le grandi navi sono entrate nel porto di Montral, nella terra di Canamerica. Le altre barche le seguivano, sparse sull’oceano, a distanza di giorni o di settimane. I miei genitori erano su una delle barche, una bella barca bianca chiamata Anita, che una nobildonna aveva prestato al Popolo della Pace perché arrivasse alla Terra Libera. Erano quaranta, su quella barca. Erano stati bei giorni, diceva mia madre. Il tempo era bello e loro sedevano sul ponte, al sole, e parlavano di quando avrebbero costruito la Città della Pace nella terra che era stata loro promessa, la terra fra le montagne, nella parte settentrionale di Canamerica.

«Ma appena giunti a Montral sono stati accolti da uomini armati, catturati, e messi in prigione: e là c’erano tutti gli altri, quelli che erano arrivati con le grandi navi, tutti, nei campi di prigionia.

«Erano troppi, dissero i governanti di quella terra. Dovevano essere duemila e invece erano diecimila. Non c’era posto per tutti. Erano pericolosi, perché erano tanti. Da ogni parte della Terra venivano altri per unirsi a loro, e si accampavano intorno alla città e intorno ai campi di prigionia, e cantavano i canti della pace. Venivano perfino dal Brasile: avevano cominciato anche loro una Lunga Marcia verso nord, risalendo quel grande continente. I governanti di Canamerica avevano paura. Dicevano che era impossibile mantenere l’ordine, o sfamare tutta quella gente. Dicevano che era un’invasione. Dicevano che la Pace era una menzogna, non la verità, perché non la capivano e non la volevano. Dicevano che il loro popolo li abbandonava per abbracciare la Pace, e questo non l’avrebbero permesso perché tutti dovevano combattere la Lunga Guerra con la Repubblica, che durava da vent’anni. Dicevano che quelli del Popolo della Pace erano traditori e spie della Repubblica! E perciò ci hanno chiusi nei campi di prigionia, invece di darci la terra tra le montagne come avevano promesso. Io sono nato là, nel campo di prigionia di Montral.

«Alla fine i governanti hanno detto: Sta bene, manterremo la promessa, vi daremo un posto dove vivere, ma non c’è abbastanza spazio per voi sulla Terra. Vi daremo la nave costruita in Brasile molto tempo fa per mandare lontano i ladri e gli assassini. Avevano costruito tre navi: due le avevano mandate su un mondo chiamato Victoria, e la terza non l’avevano mai usata perché la legge era cambiata. Nessuno vuole quella nave perché è stata fatta per compiere solo il viaggio d’andata, non può tornare sulla Terra. Il Brasile ci ha dato quella nave. Duemila di voi partiranno: tutti quelli che può contenere. E gli altri dovranno ritornare alle loro case, aldilà dell’oceano, nella Russia Nera; oppure vivranno qui, nei campi di prigionia, a fabbricare armi per la guerra contro la Repubblica. Tutti i vostri capi dovranno partire con la nave, Mehta e Adelson, Kaminskaya e Wicewska e Shults: non vogliamo quegli uomini e quelle donne sulla Terra perché non amano la guerra. Devono portare la Pace su un altro mondo.

«Così i duemila sono stati estratti a sorte. Una scelta amara, il giorno più amaro di tutti. Per quelli che partivano c’era la speranza, ma a quale rischio? Viaggiare senza pilota attraverso le stelle, verso un mondo sconosciuto, per non ritornar mai più? E per quelli che dovevano restare non c’era speranza. Non restava più posto per la Pace sulla Terra.

«Così è stata fatta la scelta, fra le lacrime, e la nave è partita. E così, per quei duemila, e per i loro figli e i figli dei loro figli, è terminata la Lunga Marcia. Qui, nel luogo che abbiamo chiamato Shantih, nelle valli di Victoria. Ma noi non dimentichiamo la Lunga Marcia e il grande viaggio, e quelli che sono rimasti tendendoci le braccia. Noi non dimentichiamo la Terra».

I bambini ascoltavano: volti chiari e scuri, capelli neri e bruni; occhi intenti, assonnati; si commuovevano o si annoiavano nel sentire raccontare quella storia… Tutti l’avevano sentita altre volte, per quanto fossero piccini. Per loro, faceva parte del mondo. Era nuova soltanto per Luz.

C’erano cento domande nella sua mente, troppe: lei lasciava che fossero i bambini a fare le domande. — Amity è nera perché sua nonna veniva dalla Russia Nera?… Parlaci dell’astronave!… Racconta come si sono addormentati sull’astronave!… Parlaci degli animali della Terra!… — Alcune di quelle domande venivano fatte perché Luz era presente: volevano che lei, l’estranea, la ragazza grande che non conosceva la saga della loro gente, ascoltasse le parti che loro prediligevano. — Parla a Luz degli aerei che volavano nell’aria! — gridò una bimbetta tutta eccitata; e rivolgendosi a Luz cominciò a raccontare, al posto del vecchio: — Sua madre e suo padre erano sulla barca, in mezzo al mare, e una nave volante è passata sopra di loro, nell’aria, ed è scoppiata e caduta in acqua: e quella era la Repubblica, e loro l’hanno vista. Hanno cercato di raccogliere quelli che erano caduti in acqua: ma non c’era nessuno, e l’acqua era velenosa, e hanno dovuto proseguire. — Un bambino esclamò: — Parla della gente che era venuta dall’Afferca! — Ma Hari era stanco. — Ora basta — disse. — Cantiamo uno dei canti della Lunga Marcia. Meria?

Una ragazzina di dodici anni si alzò sorridendo e si girò verso gli altri. — Oh, quando arriveremo — cominciò, con voce dolce e squillante, e gli altri le fecero coro…

Oh, quando arriveremo,

Oh, quando arriveremo a Lisbona,

Le bianche navi ci attenderanno.

Oh, quando arriveremo…

Le nubi si stavano allontanando, pesanti e sfrangiate, sopra il fiume e le colline settentrionali. A sud, una striscia della baia esterna si stendeva argentea e remota. Le gocce dell’ultimo acquazzone cadevano di tanto in tanto dalle fronde dei grandi alberi di lancotone sulla sommità della collina, a est della casa di Southwind; non c’era altro suono. Un mondo silenzioso, un mondo grigio. Luz era sola, sotto gli alberi, e guardava quella terra vuota. Era da molto tempo che non stava da sola. Quando si era avviata verso la collina non sapeva dove stesse andando, cosa stesse cercando. Quel luogo, quel silenzio, quella solitudine. I suoi passi l’avevano portata verso se stessa.

Il suolo era fangoso, le erbe cariche di umidità, ma il poncho che le aveva dato Italia era di stoffa spessa; si sedette sulle soffici foglie cadute, sotto gli alberi, e con le braccia strette intorno alle ginocchia, sotto il poncho, restò immobile a guardare verso ovest, oltre l’ansa del fiume. Rimase così a lungo, senza vedere altro che la terra immobile e il lento muoversi delle nubi e del fiume.

Sola, sola. Era sola. Non aveva avuto tempo di accorgersi che era sola, mentre lavorava con Southwind e assisteva Vera e parlava con Andre e partecipava a poco a poco alla vita di Shantih; aveva collaborato a creare la nuova scuola del paese, perché adesso la scuola della città era chiusa per la gente di Shantih; era stata invitata in questa e in quella casa, da questa e da quella famiglia: invitata e messa a suo agio, perché quella era gente mite e gentile che non conosceva il risentimento e la diffidenza. Soltanto di notte, sul materasso di paglia, nell’oscurità del soppalco, sopraggiungeva la solitudine, con un volto pallido e amareggiato. Allora si spaventava. "Cosa farò?", gridava mentalmente; poi, girandosi per sfuggire all’amaro volto della solitudine, si rifugiava nella stanchezza e nel sonno.

Ora stava per sopraggiungere di nuovo, camminando senza far rumore lungo il grigio dosso della collina. Adesso aveva il volto di Lev. Lei non voleva distogliere lo sguardo.

Era venuto il momento di guardare ciò che aveva perduto. Guardare e vedere, tutto. Il tramonto primaverile sopra i tetti della città, tanto tempo prima, e il volto di lui illuminato da quello splendore… «Puoi vedere ciò che dovrebbe essere, ciò che è…». La semioscurità della stanza nella casa di Southwind, e il suo volto, i suoi occhi. «Vivere e morire per lo spirito…». Il vento e la luce sulla Collina di Roccia, e la sua voce. E il resto, tutto il resto, tutti i giorni e le luci e i venti e gli anni che avrebbero dovuto essere e che non erano, perché lui era morto. Ucciso sulla strada, nel vento, a ventun’anni. Senza aver scalato le sue montagne, senza più poterle scalare.


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