Luz stava pensando da ore e ore, un passo dopo l’altro, che appena si fossero fermati si sarebbe lasciata cadere sulla terra o sulla sabbia o nel fango, si sarebbe lasciata cadere e non si sarebbe più mossa fino al mattino. Ma quando si fermarono vide Martin e Andre, in testa alla piccola colonna, intenti a discutere, e proseguì, passo dopo passo, finché li raggiunse: e neppure allora si lasciò cadere, ma restò ritta ad ascoltare quello che stavano dicendo.

— Martin pensa che la bussola non sia esatta — disse Andre. Con aria dubbiosa la porse a Luz, come se lei potesse giudicarne la precisione con un’occhiata. Lei vide soltanto la delicata fattura, la piccola cassa di legno lucido, il cerchio d’oro, il vetro, il fragile ago brunito che tremolava fra i punti finemente incisi: "che oggetto miracoloso, bello e improbabile", pensò. Ma Martin lo guardava con disapprovazione. — Sono sicuro che devia verso est — disse. — In quelle colline devono esserci masse di minerali di ferro che fanno deviare l’ago. — Indicò verso est, con la testa. Da un giorno e mezzo procedevano in un bizzarro territorio cespuglioso, dove non c’erano alberanelli o lancotoni ma soltanto arbusti radi e aggrovigliati, mai più alti di un paio di metri; non era una foresta, ma neppure terreno aperto; di rado si poteva vedere lontano. Ma sapevano che a est, alla loro sinistra, proseguiva la linea di alte colline che avevano avvistato per la prima volta sei giorni addietro. Ogni volta che salivano su un dosso vedevano il roccioso profilo rosso-cupo delle alture.

— Bene — disse Luz, ascoltando la propria voce per la prima volta dopo varie ore. — È molto importante?

Andre si mordicchiò il labbro. Aveva la faccia esausta e gli occhi socchiusi, spenti. — Per andare avanti, no — rispose. — Purché ci sia il sole, o di notte qualche stella. Ma per disegnare la carta…

— E se svoltassimo ancora verso est? Oltre quelle colline. Non accennano ad abbassarsi — disse Martin. Era più giovane di Andre, e sembrava molto meno stanco. Era una delle colonne del gruppo. Luz si sentiva a suo agio con Martin: sembrava un uomo della città, robusto, bruno, muscoloso, piuttosto sbrigativo e serio; anche il suo nome era comune, in città. Malgrado la rassicurante forza di Martin, però fu a Andre che Luz rivolse la domanda.

— Non possiamo ancora segnare la pista?

Poiché non volevano lasciare piste che altri potessero seguire, cercavano di tracciare il percorso sulla carta. Una carta poteva essere portata a Shantih da alcuni messaggeri, dopo un paio d’anni, per guidare un secondo gruppo verso la nuova colonia: di altri scopi non si era mai parlato. Andre, il cartografo della spedizione al nord, aveva quel compito, e sentiva il peso della responsabilità perché il tacito scopo della carta era sempre presente nei loro pensieri. Era il loro unico legame con Shantih, col genere umano, col loro passato: l’unica certezza che non stavano vagando sperduti nei territori disabitati, senza una meta, senza la speranza di poter ritornare perché non potevano tracciare una pista.

A volte Luz si aggrappava all’idea della carta, a volte se ne spazientiva. Martin ci teneva moltissimo, ma teneva soprattutto a nascondere il loro passaggio. Come diceva Italia, rabbrividiva ogni volta che qualcuno calpestava un fuscello e lo spezzava. Senza dubbio, in quei dieci giorni di cammino avevano lasciato il minor numero di tracce possibile per sessantasette persone.

Martin scrollò la testa alla domanda di Luz. — Vedi, fin dalla partenza abbiamo scelto il percorso più ovvio e più facile.

Andre sorrise. Aveva un sorriso asciutto, come una fessura nella corteccia di un albero, e restringeva i suoi occhi come due fessure più sottili. Per questo a Luz piaceva stare con Andre, e attingere forza da lui, da quel sorriso paziente e ironico, come se sorridesse un albero.

— Considera le possibilità, Martin! — disse Andre, e Luz comprese cosa stava immaginando: un gruppo di uomini della città, i bravi di Macmilan, con moschetti e fruste e tutto, sulle alture del Songe, che guardavano a nord, a est, a sud, l’enorme territorio disabitato, grigio-rossastro, ondulato, scurito dalla pioggia, sconfinato, senza sentieri e senza voce… e cercavano di decidere quale tra le cento direzioni possibili era stata scelta dai fuggitivi.

— Sta bene — disse lei. — Allora attraversiamo le colline.

— Non sarà più difficile che trascinarci fra questi arbusti — disse Andre.

Martin annuì. — Allora svoltiamo di nuovo a est?

— Qui o altrove — disse Andre; e tirò fuori l’abbozzo di mappa sporco e sgualcito, per aggiungere un appunto.

— Subito? — chiese Luz. — O ci accampiamo?

Di solito non si accampavano prima del tramonto, ma quel giorno avevano percorso un lungo tratto. Luz girò lo sguardo sugli arbusti spinosi color bronzo, che arrivavano all’altezza delle spalle e che crescevano spaziati di un paio di metri, cosicché venivano a formare milioni di sentieri tortuosi e senza meta. Si vedevano solo poche persone del gruppo: quasi tutti si erano seduti a riposare appena era stato dato l’alt. Il cielo era plumbeo, un’unica nube omogenea. Da due notti non pioveva, ma il freddo diventava sempre più intenso.

— Be’ — disse Andre, — qualche chilometro ancora e arriveremo ai piedi delle colline: là potremmo trovare un riparo. E acqua. — La guardò con aria interrogativa, in attesa del suo giudizio. Andre, Martin, Italia, e gli altri che sceglievano il percorso, spesso si rivolgevano a lei e a un paio delle donne più anziane, come se fossero state le rappresentanti dei più deboli, di quelli che non potevano reggere l’andatura dei più forti. Luz non si offendeva. Ogni giorno camminava fino al limite della resistenza, o anche oltre. I primi tre giorni, quando si affrettavano per il timore di essere inseguiti, il peso dello zaino le faceva piegare le ginocchia e le fiaccava il collo. Se almeno non fossero stati costretti a portare tutto con loro! Ma non potevano spingere qualche carretto senza lasciare tracce; e sessantasette persone non potevano sopravvivere nei territori selvaggi, mentre viaggiavano, né potevano insediarvisi senza attrezzi, anche se non fosse già stato autunno inoltrato, prossimo all’inverno…

— Pochi chilometri — disse. Si stupiva sempre quando diceva qualcosa del genere. «Pochi chilometri», come se fossero stati meno di nulla, benché durante le ultime sei ore non avesse sognato altro che sedersi, soltanto sedersi, per un minuto, un mese, un anno! Ma ora che avevano parlato di svoltare di nuovo verso est desiderava abbandonare quel desolato labirinto di arbusti spinosi e addentrarsi fra le colline, dove si poteva scorgere qualcosa più avanti.

— Qualche minuto di riposo — aggiunse; e si sedette, sfilandosi lo zaino e massaggiandosi le spalle indolenzite. Anche Andre si affrettò a sedersi. Martin andò a parlare con alcuni degli altri, per discutere il cambiamento di percorso. Nessuno di loro era visibile: erano tutti svaniti nel mare di cespugli spinosi e già si prendevano quei pochi minuti di riposo, stesi sul terreno grigio e sabbioso costellato di spine. Luz non vedeva neppure Andre, ma solo un angolo del suo zaino. Il vento di nordovest, leggero ma freddo, faceva frusciare i ramoscelli secchi dei cespugli. Non c’erano altri suoni.

Sessantasette persone: non si vedevano, non si sentivano. Svanite. Perdute. Una goccia d’acqua nel fiume, una parola gettata al vento. Qualche bestiola si muoveva tra la vegetazione, senza andare molto lontano, e poi si fermava: e non faceva molta differenza per quel territorio selvaggio, non più della caduta di una spina tra milioni di spine o dello spostamento di un granello di sabbia.

La paura che Luz aveva imparato a conoscere in quei dieci giorni di viaggio salì come una nebbia grigia nei campi della sua mente, come un brivido di cecità. Era sua, sua per eredità e per formazione; era per tener lontana la sua paura, la loro paura, che erano stati innalzati i tetti e i muri della città; era stata la paura a tracciare le vie così diritte, a fare le porte così strette. Lei non l’aveva compreso, vivendo dietro quelle porte. Si era sentita sicura. Perfino a Shantih l’aveva dimenticata, sebbene lei fosse un’estranea, perché le mura non erano visibili ma erano molto forti: la solidarietà, la collaborazione, l’affetto, la stretta cerchia umana. Ma lei se n’era allontanata, per sua scelta, e si era avventurata nei territori selvaggi, e infine si era trovata a faccia a faccia con la paura sulla quale era fondata tutta la sua vita.


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