«Mi avevi detto che volevi parlarmi di qualche cosa,» disse Havzhiva. La notte cittadina era agitata, risuonava di rumori, musica e voci giù nella strada sotto la finestra che la donna aveva aperto per lasciar entrare l'aria tiepida e carica di effluvi.
«È vero.» Yeron posò il lavoro a maglia. «Sono la sua infermiera, signor Nunzio, ma anche una messaggera. Quando ho saputo che era stato ferito, mi perdoni, ma mi sono detta: Siano lodati il nostro signore Kamye e la divina Signora del Soccorso! Perché prima non sapevo come portare il mio messaggio, e ora invece lo so.» La sua voce serena tacque per un momento. «Ho mandato avanti questo ospedale per quindici anni. Durante la guerra. Posso ancora manovrare qualcuno qua dentro.» Tacque di nuovo. Come la sua voce, i silenzi della donna gli erano familiari. «Le porto un messaggio per l'Ekumene,» riprese Yeron, «da parte delle donne. Delle donne di qui. Delle donne di tutto Yeowe. Vogliamo stipulare un'alleanza con lei… Lo so, l'ha già fatto il nostro governo. Yeowe è un membro dell'Ekumene dei Mondi. Lo sappiamo. Ma che cosa significa per noi? Non significa niente. Lo sa che cosa sono le donne qui, su questo pianeta? Sono niente. Non partecipano al governo. Le donne hanno fatto la Liberazione. Hanno lottato, e sono morte esattamente come gli uomini. Ma non sono mai state condottieri, e oggi non sono capi. Non sono nessuno. Nei villaggi sono meno di nessuno: animali da soma, capi da riproduzione. Qui va un po' meglio. Ma non troppo. Io ho frequentato la Scuola Medica di Besso. Sono un medico, non un'infermiera. Al tempo dei Boss ho diretto quest'ospedale. Adesso lo dirige un uomo. I nostri uomini ora sono i possidenti. E noi siamo quello che siamo sempre state: proprietà! Non penso che sia per questo che abbiamo combattuto una lunga guerra. Neanche lei, vero, signor Nunzio? Secondo me, dobbiamo attuare una nuova liberazione. Portare a termine un lavoro iniziato.»
Dopo un lungo silenzio, Havzhiva chiese sottovoce, «Siete organizzate?»
«Oh, sì, sì, proprio come ai vecchi tempi. Ci organizziamo in segreto!» Ridacchiò. «Ma non credo che possiamo ottenere la nostra libertà da sole. Ci dev'essere un cambiamento. Gli uomini pensano di dover essere loro i capi. Devono smettere di pensarlo. Vede, c'è una cosa che ho imparato nella mia vita: non si cambiano le teste con i fucili. Ammazzi il capo, e diventi capo tu. Bisogna cambiare questa mentalità, la vecchia mentalità dello schiavo, del padrone. Bisogna cambiarla, signor Nunzio. Con il suo aiuto. Con l'aiuto dell'Ekumene.»
«Sono qui per fare da tramite tra la tua gente e l'Ekumene. Ma ho bisogno di tempo,» disse. «Ho bisogno di imparare.»
«Tutto il tempo che vuole. Sappiamo di non poter cambiare la mentalità da capetto in un giorno o in un anno. Occorre educazione.» Pronunciò quella parola come se fosse sacra. «Ci vorrà molto tempo. Si prenda tutto il tempo che le occorre. Ci basta sapere che ci ascolterà.»
«Vi ascolterò.»
Lei emise un lungo sospiro, e riprese il lavoro a maglia. Poi aggiunse, «Non sarà facile ascoltarci».
Lui era stanco. L'intensità di quel discorso era più di quanto potesse reggere al momento. Non capiva cosa intendesse dire Yeron. Un silenzio educato è il modo in uso tra gli adulti per far capire che non si capisce. Non disse nulla.
Lei lo guardò. «Come faremo per arrivare fino a lei? Vede, è un problema. Come le ho detto, non siamo niente. Possiamo arrivare a lei come infermiere, come domestiche, come donne che le lavano i panni. Siamo separate dai capi. Non partecipiamo ai consigli. A tavola serviamo, non partecipiamo al banchetto.»
«Dimmi…» Esitò. «Dimmi come iniziare. Chiedi di vedermi, se puoi. Vieni come puoi se… se non c'è rischio.» Era sempre stato pronto nell'apprendere qualsiasi lezione. «Io ascolterò. Farò quel che sarà in mio potere.» Non avrebbe mai appreso la diffidenza.
Lei si chinò a sfiorarlo con un lieve bacio sulla bocca. Le sue labbra erano leggere, asciutte, morbide. «Ecco,» disse, «nessun capo le darà mai questo.»
Riprese il lavoro a maglia. Lui s'era quasi addormentato quando gli chiese, «Sua madre è viva, signor Havzhiva?»
«Tutta la mia gente è morta.»
Lei emise un lieve lamento. «Che cosa triste!» disse. «E non ha una moglie?»
«No.»
«Noi saremo per lei madri, sorelle, figlie. Saremo la sua gente. L'ho baciato in pegno dell'amore che sarà fra noi. Vedrà!»
«Ecco l'elenco degli invitati al ricevimento, signor Yehedarhed,» disse Doranden, l'addetto alle relazioni tra il Capo e il Vice-Nunzio.
Havzhiva esaminò attentamente la lista sullo schermo manuale, arrivò in fondo e disse, «E il resto?»
«Scusi, signor Nunzio, ci sono forse delle omissioni? Questo è l'elenco completo.»
«Ma sono tutti uomini!»
Nell'infinitesima frazione di secondo che precedette la risposta di Doranden, Havzhiva sentì oscillare l'ago della bilancia della sua vita.
«Desidera che gli ospiti portino con sé le loro mogli? Ma certo! Se questa è l'usanza dell'Ekumene, saremo ben lieti di invitare le signore!»
C'era una punta di disprezzo nella piega delle labbra quando gli uomini di Yeowe pronunciavano la parola "signore", parola che Havzhiva aveva pensato si riferisse solo alle donne della classe dominante su Werel. L'ago della bilancia precipitò. «Quali signore?» chiese accigliato. «Parlo di donne. Non fanno forse parte di questa società?»
Era molto teso nel parlare, perché si rendeva conto della sua totale ignoranza di ciò che lì poteva costituire un pericolo. Se una passeggiata per una strada tranquilla aveva quasi rischiato di essergli fatale, mettere in imbarazzo l'addetto alle relazioni col Capo poteva esserlo del tutto. Doranden, sicuramente imbarazzato, costernato, aprì la bocca e la richiuse subito.
«Sono desolato, signor Doranden, voglia scusare la mia scarsa attitudine all'umorismo. So benissimo che le donne occupano posti di responsabilità in ogni settore della vostra società. Intendevo semplicemente dire, con espressione stupidamente inappropriata, che sarei molto felice di invitare al ricevimento alcune di queste signore con i loro mariti, insieme alle mogli degli altri invitati. Sto forse facendo una terribile confusione riguardo alle vostre usanze? Non mi era parso che su Werel ci fosse segregazione sociale dei sessi. La prego, se ho sbagliato, di scusare ancora una volta la mia ignoranza di forestiero.»
L'eloquenza è metà della diplomazia, aveva già deciso Havzhiva, l'altra metà è il silenzio.
Doranden optò per quest'ultimo, e tra le sincere rassicurazioni si accomiatò. Havzhiva rimase sulle spine fino alla mattina seguente, quando Doranden apparve con un elenco aggiornato comprendente undici nomi nuovi, tutti di donne. C'erano una preside di scuola e un paio d'insegnanti, le rimanenti erano tutte designate come "in pensione".
«Ottimo, ottimo,» commentò Havzhiva. «Posso aggiungere un altro nome?»
«Certo, certo, chiunque Sua Eccellenza gradisca…»
«La dottoressa Yeron.»
Di nuovo quella frazione infinitesimale di secondo, il granello di sabbia gettato sul piatto della bilancia. A Doranden era già noto quel nome. «Sì,» disse.
«Vede, la dottoressa Yeron mi ha fatto da infermiera nel vostro eccellente ospedale. Abbiamo fatto amicizia. Un'infermiera qualsiasi sarebbe forse poco adatta in una compagnia così selezionata, ma ho visto che ci sono molti altri medici nella nostra lista.»
«Abbastanza,» ammise Doranden. Era stupefatto. Il Capo e i suoi collaboratori avevano preso l'abitudine di trattare con condiscendenza il Vice-Nunzio, seppur con la dovuta delicatezza e riguardo. Un convalescente, benché ormai ristabilito, una vittima, un uomo di pace, che ignorava l'attacco e perfino l'autodifesa, uno studioso, uno straniero, insomma, un uomo di mondo. Era all'incirca così che lo vedevano, e lui lo sapeva. Per quanto lo tenessero in considerazione come simbolo e come mezzo per il raggiungimento dei loro scopi, lo consideravano un uomo irrilevante. Lui era d'accordo sul dato di fatto, ma non sul grado della sua irrilevanza. Sapeva che quel che faceva poteva essere di qualche rilievo. Lo aveva appena constatato.