Ress fece una smorfia. «A ventidue anni?» disse. «Per un certo periodo, forse. Se sei contenta così, buon per te. Ma pensa a quello che ti ho detto. L'amore è troppo importante per decidere di farne a meno.»
«Se ho bisogno di sesso, posso darmi piacere da sola,» affermai, incurante del fatto di ferirla. «L'amore non c'entra niente.»
«È qui che sbagli,» disse lei, ma io non l'ascoltavo più. Ero disposta a imparare da insegnanti e da libri che mi ero scelta io, ma non ad accettare un consiglio non richiesto. Non tolleravo che mi dicesse cosa fare o cosa pensare. Se ero libera, dovevo esserlo da sola. Ero come un bambino quando si regge in piedi per la prima volta.
Anche Ahas mi dava dei consigli. Diceva che era una follia procedere così avanti nella mia istruzione. «Non arriverai mai a niente di utile studiando tutti quei libri,» mi disse. «Non è che autocompiacimento. Noi abbiamo bisogno di dirigenti e di militanti con capacità pratiche.»
«Abbiamo bisogno di insegnanti!»
«Sì,» disse, «ma tu eri già pronta per insegnare un anno fa. A che serve la storia antica, le vicende accadute su altri mondi? Noi dobbiamo pensare alla rivoluzione!»
Non mi distolsi dalle mie letture, ma mi sentii in colpa. Mi assunsi la responsabilità di un corso, alla scuola dell'Hame, per insegnare agli schiavi e ai liberti a leggere e a scrivere, esattamente come era stato insegnato a me solo tre anni prima. Era un lavoro duro. Leggere è una cosa ardua da imparare per un adulto stanco, la sera, dopo una giornata di lavoro. Molto più facile lasciarsi obnubilare la mente dai programmi in rete.
Continuai fra me e me a discutere con Ahas e un giorno gli chiesi, «Esiste una Biblioteca su Yeowe?»
«Non lo so.»
«Sai bene che non c'è! Quelli delle Corporazioni non si sono lasciati dietro biblioteche. Erano gente rozza che non conosceva altro che il profitto. La conoscenza è un bene di per sé. Io continuo a imparare in modo da poter portare il mio sapere su Yeowe. Ah, se potessi portar loro l'intera Biblioteca!»
Mi guardò stupito. «Il pensiero dei padroni, le gesta dei padroni… I loro libri non parlano d'altro. Sono cose che non servono, su Yeowe.»
«Servono, eccome!» dissi, sicura che lui fosse in torto, anche se non sapevo bene perché.
Dalla scuola ricevetti poco dopo l'incarico di insegnare storia, dato che uno degli insegnanti s'era dimesso. Le lezioni procedevano bene. Le preparavo molto accuratamente. A un certo punto fui incaricata di tenere delle conferenze a un gruppo di ricerca formato da studenti avanzati. Anche quello andò bene. Sembravano interessati alle idee che proponevo e ai confronti che avevo imparato a tracciare fra il nostro e gli altri mondi. Avevo fatto delle ricerche sul modo in cui i vari popoli allevano i figli, su chi se ne assume la responsabilità e su come tale responsabilità viene considerata, perché mi sembrava un campo determinante per la libertà o la schiavitù di un popolo.
A una di queste conferenze si presentò un uomo dell'Ambasciata dell'Ekumene. Rimasi impressionata quando scorsi fra il mio uditorio quel viso alieno. Mi impressionai ancora di più quando lo riconobbi. Era uno dei docenti del primo corso di Storia dell'Ekumene che avevo seguito sulla rete. Lo avevo seguito con molto zelo, sia pur senza partecipare al dibattito. Quello che avevo appreso aveva avuto una grande influenza su di me. Pensai che mi avrebbe giudicato presuntuosa per il fatto di parlare di cose di cui era lui il vero esperto. Andai avanti nel mio discorso, cercando di non incrociare i suoi occhi dai bordi bianchi.
Alla fine venne da me, si presentò compitamente, si complimentò per la mia esposizione e mi chiese se avessi letto il libro del tale e quello del talaltro. Mi intrattenne in conversazione in modo così sagace e amichevole che non potei fare a meno di provare per lui simpatia e fiducia. E mi dimostrò ben presto che la mia fiducia era ben riposta. La sua guida mi era preziosa, perché molte assurdità erano state scritte e dette, anche talvolta da gente autorevole, sull'equilibrio di potere fra uomini e donne, dal quale dipendeva la vita dei figli e il senso della loro educazione. Conosceva libri di contenuto proficuo sulla base dei quali avrei potuto procedere da sola.
Si chiamava Esdardon Aya. Ricopriva non so bene quale importante incarico presso l'Ambasciata. Era nativo di Hain, il Vecchio Mondo, la culla dell'umanità da cui avevano avuto origine tutti i nostri antenati.
A volte riflettevo su com'era strano che fossi venuta a conoscenza di fatti e argomenti così vasti e remoti nel tempo, io che non avevo conosciuto niente al di fuori del complesso fino ai sei anni, io che non avevo conosciuto il nome del paese in cui vivevo fino a diciotto! Cinque anni prima, quando ero una nuova arrivata nella Città, qualcuno aveva accennato al "Voe Deo" e io avevo chiesto, «Dove si trova?» Tutti mi avevano guardato. Una donna, una vecchia affittata della città dalla voce rude mi aveva risposto, «Qui, Polverosa. Il Voe Deo è qui. È il tuo paese e il mio!»
Lo raccontai a Esdardon Aya. Non si mise a ridere. «Paese, popolo,» disse. «Sono concetti strani e molto complessi.»
«Io vengo dal paese della schiavitù» dissi, e lui annuì.
Ormai vedevo assai di rado Ahas. Mi mancava la sua amicizia premurosa, che si era però ridotta a un rimprovero continuo. «Ti sei montata la testa, a forza di pubblicare articoli e di tener conferenze,» mi disse. «Pensi più a te stessa che alla nostra causa.»
Replicai, «Ma mi rivolgo alla gente dell'Hame, scrivo su argomenti su cui abbiamo bisogno di informazione, non faccio altro che lavorare per la libertà».
«La Comunità non apprezza i tuoi pamphlet,» disse, con tono severo di raccomandazione, come volesse svelarmi un segreto nel mio interesse. «Ho avuto l'incarico di chiederti di sottoporre i tuoi scritti al comitato prima di pubblicarli. Quel tipo di stampa è in mano a degli estremisti. L'Hame sta provocando non pochi problemi ai nostri candidati.»
«I nostri candidati!» ripetei adirata. «Nessun padrone è il mio candidato! Sei forse ancora agli ordini del padroncino?»
Quella frase lo ferì. Incassò il colpo e disse, «Se metti avanti il tuo interesse, se non sei disposta a collaborare, attirerai il pericolo su tutti noi».
«Io non metto avanti il mio interesse, lo fanno i politicanti e i capitalisti. Io metto avanti la libertà. Perché non vuoi collaborare con me? Sono io che ti faccio la stessa domanda, Ahas!»
Se ne andò offeso, lasciando me offesa.
Credo che gli mancasse la mia dipendenza da lui. Forse era perfino geloso della mia autonomia, dato che lui era rimasto agli ordini del signor Erod. Era un animo fedele. La nostra disputa lasciò in entrambi dolore e amarezza. Vorrei sapere che cosa ne è stato di lui nel corso degli anni turbolenti che seguirono.
C'era qualcosa di vero nelle sue accuse. Avevo scoperto di possedere il dono di andare dritta alla mente e al cuore di chi mi ascoltava o mi leggeva. Nessuno mi aveva avvertito che questa capacità è tanto più pericolosa quanto più è forte. Ahas aveva detto che mettevo avanti i miei interessi, ma sapevo che non era vero. Mi dedicavo con tutta me stessa al servizio della verità e della libertà. Nessuno mi aveva detto che il fine non giustifica i mezzi, dato che solo il nostro Signore, Kamye, sa come andrà a finire. Forse mia nonna me l'avrebbe potuto dire. L'Arkamye avrebbe potuto farmici riflettere sopra, ma non lo leggevo spesso, e in Città non c'erano vecchi a "cantare il Verbo" la sera. Se ci fossero stati non li avrei sentiti, coperti com'erano dal suono della mia bella voce che diffondeva la verità.
Non credo di aver fatto niente di male oltre quello che abbiamo fatto tutti, cioè richiamare l'attenzione delle autorità del Voe Deo sul fatto che l'Hame stava uscendo allo scoperto e il Partito Radicale stava crescendo, inducendoli quindi a muovere contro di noi.