La prima mossa fu quella di creare una divisione. Nei complessi aperti, sia nei reparti degli uomini che in quelli delle donne, c'erano molti appartamenti di coppie. Era un fenomeno di importanza vitale. Nessun tipo di matrimonio fra schiavi era ammesso dalla legge. Non erano autorizzati a vivere in coppia. L'unico legame riconosciuto di uno schiavo era quello con il suo padrone. Un bambino non apparteneva alla madre, ma al padrone. Ma dato che negli stessi luoghi delle proprietà vivevano i gareot, gli appartamenti per coppie erano stati tollerati o ignorati. All'improvviso fu tirata fuori la legge, coppie di schiavi furono arrestate, condannate a pagare una multa se erano dei salariati, separate e inviate in complessi gestiti dalle imprese. Ress e le altre anziane che dirigevano la nostra casa furono multate e avvisate che, qualora fossero state scoperte nuovamente altre "sistemazioni immorali", sarebbero state ritenute responsabili e inviate nei campi di lavoro. Due bambini piccoli di una coppia illegale non segnati nella lista del governo furono abbandonati, quando i loro genitori furono portati via. Keo e Ramayo li presero con sé. Diventarono guardiani del reparto delle donne, esattamente come gli orfanelli dei complessi.
Ci furono accesissime discussioni a questo proposito nelle riunioni dell'Hame e della Comunità. Alcuni sostenevano che il diritto degli schiavi a vivere in coppia e ad allevare i propri figli era una causa che il Partito Radicale avrebbe dovuto difendere. Non era una minaccia diretta all'istituto della proprietà, e poteva trovare appoggio nell'istinto naturale di molti possidenti, e specialmente delle donne, che non avevano diritto di voto ma potevano risultare valide alleate. Altri sostenevano che l'impegno per la causa della libertà doveva passare sopra gli affetti privati, e che qualsiasi questione personale doveva passare in secondo piano rispetto alla più ampia causa dell'emancipazione. Il signor Erod espresse quest'idea nel corso di una riunione. Mi alzai per rispondergli. Dissi che non poteva esserci libertà vera senza libertà sessuale, e finché le donne non erano autorizzate, finché gli uomini non erano disposti ad assumere insieme la responsabilità dei propri figli, nessuna donna, schiava o padrona, sarebbe stata libera.
«Gli uomini devono avere la responsabilità del lato pubblico della vita, del grande mondo in cui il bambino dovrà entrare, le donne del lato privato della vita, cioè dell'educazione morale e fisica del bambino. Questa è la divisione stabilita da Dio e dalla Natura,» rispose Erod.
«Allora per una donna emancipazione significa essere libera di entrare in un beza, di restare rinchiusa nel reparto delle donne?»
«Naturalmente no,» cominciò a dire, ma lo interruppi per timore della sua bocca di miele. «Allora cos'è la libertà per una donna? È diversa da quella di un uomo? La libertà non è uguale per tutti?»
Il moderatore batteva nervosamente il suo martelletto, ma un gruppo di schiave rilanciò la mia domanda. «Quando parlerà a nome nostro il Partito Radicale?» chiesero, e un'anziana gridò, «Dove sono le vostre donne, padroni che volete abolire la schiavitù? Perché non sono qui? Le tenete prigioniere nei beza?»
A forza di battere colpi il moderatore fece silenzio. Mi sentivo metà trionfante e metà sconfitta. Vidi che Erod e anche altra gente dell'Hame mi guardavano come un'aperta provocatrice. In effetti le mie parole avevano creato una frattura fra noi. Ma non c'era forse già da prima?
Noi donne tornammo in gruppo verso casa parlando per le strade, parlando a voce alta. Erano le mie strade adesso, con il loro traffico, le loro luci, i loro pericoli, la loro vita. Ero una donna della Città, una donna libera. Quella notte mi sentii una padrona. Padrona della Città. Padrona del futuro.
Le discussioni continuarono. Mi fu chiesto di parlare in molti posti. Mentre stavo uscendo da una di queste riunioni, l'hainese Esdardon Aya mi si avvicinò e mi disse in tono disinvolto, come se si stesse congratulando per il mio discorso, «Rakam, c'è rischio che ti arrestino».
Non capii. Camminando al mio fianco si allontanò dagli altri e proseguì, «Mi sono arrivate delle voci all'Ambasciata… Il governo del Voe Deo sta per cambiare le condizioni degli schiavi emancipati. Non sarete più considerati gareot. Dovrete avere un padrone-garante».
Era una pessima notizia, ma dopo averci riflettuto un po' sopra dissi, «Penso di essere in grado di trovare un padrone che garantisca per me. Il signor Boeba, magari».
«Il padrone-garante dovrà essere di gradimento del governo… Questa manovra è intesa a indebolire la Comunità sia attraverso gli schiavi sia attraverso i padroni a essa iscritti. Una manovra astuta,» disse Esdardon Aya.
«Che ne sarà di quanti fra noi non troveranno un garante gradito?»
«Sarete considerati fuggiaschi.»
Questo significava la morte, o i campi di lavoro, o la vendita all'asta. «Oh, Signore Kamye!» esclamai attaccandomi al braccio di Esdardon Aya mentre una cortina di buio mi calava sugli occhi.
Avevamo camminato per un po' lungo la via. Quando riuscii a vederci di nuovo guardai la strada, gli alti edifici della Città, lo sfolgorio delle sue luci che avevo sentito così mie.
«Ho degli amici,» disse l'Hainese continuando a passeggiare con me, «che stanno organizzando un viaggio nel regno del Bambur.»
«Cosa potrei andare a fare laggiù?» chiesi dopo un po'.
«Da lì parte una nave per Yeowe.»
«Per Yeowe!» esclamai.
«Così ho sentito dire,» disse lui, come se parlasse del percorso di un mezzo pubblico. «Fra qualche anno mi aspetto che sarà il Voe Deo stesso a incoraggiare viaggi su Yeowe. Liberandosi così di ribelli, provocatori, membri dell'Hame. Ma per far questo dovrebbero prima riconoscere Yeowe come stato di diritto, passo che non si sono ancora decisi a compiere. Per il momento, comunque, stanno autorizzando qualche scambio commerciale semi-legale con altri stati dipendenti… Un paio d'anni fa il re del Bambur ha comprato una delle vecchie navi di una delle Corporazioni, autentico cimelio del commercio con le colonie. Il re aveva intenzione di visitare i satelliti di Werel. Ma li ha trovati noiosi. Allora ha ceduto in affitto la nave a un consorzio di studiosi dell'Università del Bambur e di uomini d'affari della capitale. Così alcuni industriali del Bambur mantengono un piccolo commercio su Yeowe e alcuni scienziati dell'università vi compiono allo stesso tempo spedizioni scientifiche. Naturalmente ogni viaggio ha costi elevati, per cui trasportano quanti più scienziati possono a ogni viaggio.»
Sentivo e non sentivo quel che diceva, ma ne afferrai il senso.
«Per il momento,» proseguì lui, «è andato tutto liscio.»
Il suo tono era tranquillo, leggermente divertito, ma senza arie di superiorità.
«La Comunità è al corrente di questa nave?» chiesi.
«Alcuni membri sì, credo. E anche qualcuno dell'Hame. Ma è un segreto rischioso. Se il Voe Deo scopre che uno stato dipendente sta esportando merce di valore… In effetti, pensiamo che abbiano qualche sospetto. Perciò è una decisione da non prendere alla leggera. È allo stesso tempo rischiosa e irrevocabile. È per il rischio che comporta che ho esitato a parlartene. Ho esitato così a lungo che ora devi decidere molto in fretta. Insomma, è per stanotte, Rakam.»
Distolsi lo sguardo dalle luci della Città che impedivano di scorgere il cielo. «Voglio partire,» dissi. Pensavo a Walsu.
«Ottimo,» disse lui. All'incrocio seguente cambiò direzione, non più verso casa mia, ma verso l'Ambasciata dell'Ekumene.
Non mi sono mai chiesta perché abbia fatto questo per me. Era un uomo insondabile, dotato di insondabile potere, ma diceva sempre la verità e credo che, all'occorrenza, seguisse gli impulsi del suo cuore.
Come entrammo nel territorio dell'Ambasciata, un grande parco i cui lampioni irradiavano di luce soffusa la notte invernale, mi fermai. «I miei libri!» esclamai. Mi guardò con aria interrogativa. «Volevo portare i miei libri su Yeowe,» dissi. La voce mi si spezzò in un pianto convulso, come se in quell'unico desiderio risiedesse tutto il dolore per quanto mi lasciavo dietro. «C'è un gran bisogno di libri su Yeowe,» dissi.