Quegli uomini e quelle donne credevano fermamente che solo l'istruzione potesse condurre alla libertà. Continuavano a combattere la propria Guerra di Liberazione.
Città di Yotebber era una megalopoli povera, assolata, sparpagliata, con vie larghe, edifici bassi, grandi alberi ombrosi. Il traffico si svolgeva essenzialmente a piedi, con lo scampanellio delle biciclette e i clacson dei mezzi pubblici che si facevano largo in mezzo alla lenta folla dei pedoni. Chilometri e chilometri di capanne e baracche si estendevano attraverso la pianura alluvionale di là dagli argini del fiume, dove la terra era fertile per le coltivazioni. Il centro della città sorgeva su un basso colle. Da lì fabbriche e linee ferroviarie sì estendevano tutto intorno. Il cuore della città era un po' come quello della capitale del Voe Deo, solo più antico, più povero, più raffinato. Invece che nei grandi negozi dei possidenti, la gente comprava e vendeva di tutto sulle bancarelle dei mercati all'aperto. L'aria era leggera, qui nel sud, una tiepida, lieve brezza marina, la luce del sole arrivava filtrata da una nebbia leggera. Mi sentivo felice. Per grazia del Signore, ho una mente capace di passare oltre alle sventure, e mi sentivo felice a Città di Yotebber.
Tualtak si rimise in salute e trovò un buon lavoro come chimica in una fabbrica. La vedevo di rado, dato che la nostra amicizia era nata da necessità e non da scelta. Ogni volta che la incontravo mi parlava di via Haba, e del laboratorio su Werel, e si lamentava del lavoro e della gente di qui.
La dottoressa Yeron non mi aveva dimenticato. Mi aveva scritto un biglietto invitandomi ad andarla a trovare, cosa che feci. Dopodiché, appena mi fui sistemata, mi chiese di recarmi con lei a un incontro di un'associazione educativa. Si trattava, scoprii poi, di un gruppo di democratici, in gran parte insegnanti, impegnati a opporsi al potere autocratico dei Capi tribali e regionali sancito dalla nuova Costituzione, e a demolire quella che chiamavano "mentalità da schiavi", cioè la rigida gerarchia misogina contro cui io stessa mi ero scontrata ad Hagayot. La mia esperienza fu loro utile, in quanto era tutta gente di città che aveva incontrato la mentalità da schiavi solo per averla subita da parte delle autorità. Le donne del gruppo erano le più agguerrite. Avevano perso quasi tutto con la Liberazione, e adesso era rimasto loro ben poco da perdere. In linea di massima gli uomini erano per le riforme graduali, le donne pronte per la rivoluzione. In quanto Wereliana e ignara della situazione politica di Yeowe, ascoltai senza parlare. Era difficile per me non parlare. Parlare mi piace, e sentivo di aver molto da dire. Ma frenai la lingua e stetti a sentire. Erano persone che valeva la pena di ascoltare.
L'ignoranza difende strenuamente se stessa, e l'analfabetismo, come ben sapevo, può esprimere sagacia. Anche se il Capo, il Presidente della Regione di Yotebber, eletto con elezioni truccate, poteva non capire le nostre contromanovre sui programmi scolastici, non sprecava molta energia nel controllo delle scuole e mandava i suoi ispettori a interferire sui nostri programmi e a censurare i nostri libri. Ma quello a cui dava importanza era il fatto di avere il controllo delle reti, come lo avevano già avuto le Corporazioni. I notiziari, i programmi informativi, i fantocci della rete neosensoriale, tutto e tutti erano attaccati ai suoi fili. Contro un tale apparato che danno avrebbe potuto recare un gruppo di insegnanti? Genitori privi di istruzione avevano figli che si inserivano in rete per ascoltare, vedere, provare quello che il Capo voleva che si imprimessero nel cervello: che la libertà è obbedienza ai Capi, che la giustizia è violenza, che la virilità è dominazione. Contro l'imposizione di tali verità nella vita quotidiana attraverso l'iperreale esperienza della rete sensoriale, a cosa potevano servire le parole?
«L'alfabetizzazione è irrilevante,» asserì tristemente una del nostro gruppo. «I Capi hanno effettuato direttamente sulle nostre teste un balzo a una tecnologia post-letteraria.»
Ci pensai su, infastidita dal preziosismo di vocaboli quali "irrilevante" e "post-letterario", perché temevo che avesse ragione.
All'incontro seguente del nostro gruppo, con mia grande sorpresa, intervenne un Alieno: il Vice-Nunzio dell'Ekumene. Si riteneva che fosse il fiore all'occhiello del nostro Capo, inviato dalla Vecchia Capitale con l'apparente missione di sostenere la presa di posizione del Capo contro il Partito Mondiale, che era ancora forte quaggiù, e ancora in fermento perché Yeowe tenesse alla larga tutti gli stranieri. Avevo sentito dire vagamente che questo personaggio era da quelle parti, ma non mi sarei mai aspettata di incontrarlo a una riunione di insegnanti sovversivi.
Era un uomo piccolino, di carnagione rosso-bruna, con del bianco agli angoli degli occhi, bello, comunque, se si riusciva a ignorare questo dettaglio. Era seduto di fronte a me, perfettamente immobile, come uno che ha l'abitudine di sedere immobile, e ascoltava senza parlare, come uno che ha l'abitudine di ascoltare. Al termine della riunione si guardò attorno e i suoi strani occhi si soffermarono su di me.
«Radosse Rakam?» chiese.
Annuii, stordita.
«Sono Yehedarhed Havzhiva,» si presentò. «Ho dei libri per lei da parte di Vecchia Musica.» Lo guardai fisso. «Libri?»
«Di Vecchia Musica,» precisò, «cioè Esdardon Aya, di Werel.»
«I miei libri?» domandai.
Sorrise. Aveva un sorriso aperto e pronto.
«Oh! Dove?» esclamai.
«Sono a casa mia. Li possiamo prendere stasera, se vuole. Ho una macchina.» C'era qualcosa di ironico e leggero nel modo in cui lo disse, come se fosse uno a cui sembrava indebito, anche se comodo, avere a disposizione una macchina.
Arrivò la dottoressa Yeron. «L'hai trovata, dunque!» disse al Vice-Nunzio. Lui la guardò con un viso così radioso che pensai: questi due sono amanti. Nonostante che lei fosse molto più vecchia di lui, non avrei trovato niente di strano all'idea. La dottoressa Yeron era una donna dal fascino magnetico. Era strano per me, comunque, pensare a una cosa del genere, perché non faceva parte della mia mentalità pormi domande sulle relazioni sessuali fra le persone. Non m'interessava proprio.
Lui posò la mano sul braccio di lei mentre parlavano, e osservai con inconsueto acume come il suo tocco fosse delicato, quasi esitante, eppure fiducioso. Questo è amore, pensai. Però si lasciarono, notai, senza quello sguardo d'intima intesa che in genere si scambiano gli amanti.
Viaggiammo insieme sulla sua macchina elettrica fornita dal governo, con le sue silenziose guardie del corpo sedute sui sedili anteriori. Parlammo di Esdardon Aya, il cui nome, come mi spiegò, significa Vecchia Musica. Gli narrai di come Esdardon Aya mi avesse salvato la vita facendomi arrivare qui. Ascoltava in maniera tale da mettere a proprio agio l'interlocutore. Gli confidai, «Ero angosciata all'idea di essere stata costretta ad abbandonare i miei libri, ci ho pensato spesso, mi sono mancati, come se fossero una famiglia per me. Forse sono un po' matta a provare un sentimento del genere».
«Perché matta?» chiese. Aveva un accento straniero, ma con la cadenza tipica di Yeowe, e la sua voce era bella, profonda e calda.
Cercai di spiegargli tutto in una volta. «Ecco, erano così importanti per me perché ero analfabeta quando sono arrivata nella Città, e sono stati i libri che mi hanno messo in mano la libertà, che mi hanno messo in mano il mondo, e gli altri mondi. Ma adesso, qui, mi sto rendendo conto di quanto le trasmissioni delle reti multi-dimensionali e sensoriali siano più significative per la gente, perché gli fanno vivere gli eventi del presente. Forse essere attaccati ai libri significa essere attaccati al passato. Gli Yeowiani devono guardare verso il futuro. E non cambieremo mai la mentalità delle persone con delle semplici parole.»