— Il mio oppositore — aveva detto Bonforte, con voce leggermente roca — vorrebbe farvi credere che il motto del cosiddetto Partito dell’umanità: "Governo sugli esseri umani, a opera di esseri umani, a favore degli esseri umani" non sia altro che la versione aggiornata delle immortali parole di Abramo Lincoln. Ma se la voce è quella di Lincoln, la mano nascosta dietro la schiena appartiene al Ku Klux Klan. Il vero significato del suo motto, in apparenza innocente, è: "Governo su tutte le razze, ovunque, a opera esclusiva degli esseri umani, e a beneficio e profitto di pochi privilegiati".
E aveva continuato: — "Ma" afferma il mio oppositore "Dio ci ha conferito l’incarico di diffondere la luce tra le stelle, donando ai selvaggi il nostro particolarissimo tipo di civiltà." Queste affermazioni nascono direttamente dalla scuola di sociologia dello Zio Remo, quello delle favole della lepre e della tartaruga. "Noi bravi negri cantare spiritual, padrone bianco pensare lui a tutto!" È una scenetta meravigliosa, ma ve la dipinge dentro una cornice troppo piccola: non si vedono gli staffili, il mercato degli schiavi… e gli uffici amministrativi della piantagione!
Non so se a convincermi sia stata la logica stringente delle sue parole… in effetti non sono neppure sicuro che il loro credo politico facesse appello solo alla logica. Ma la mia mente era nelle condizioni più adatte ad accoglierlo. Desideravo comprendere le sue idee fino al punto di poterle ripetere con altre frasi, e di poterle pronunciare al posto suo se fosse stato necessario.
Comunque fosse, poi, davanti a me c’era un uomo che sapeva quello che voleva e (cosa molto più rara!) perché lo voleva. Non potevo fare a meno di restarne colpito, e ciò mi costringeva a fare un completo esame di coscienza. Per cosa vivevo, io?
Ma… la mia arte, chiaro! Ero nato nel teatro; il teatro mi piaceva, nutrivo la profonda anche se illogica convinzione che l’arte meritasse qualsiasi sforzo… e inoltre non conoscevo altri mezzi per sbarcare il lunario. E oltre a quello?
Le varie scuole filosofiche e i loro sistemi etici non avevano mai esercitato molto fascino su di me. Ne avevo una certa superficiale conoscenza (le biblioteche pubbliche sono una grande risorsa per gli attori a spasso) ma le avevo sempre trovate piuttosto povere di vitamine, un po’ come i baci delle matrigne. Dandogli tempo e carta, un filosofo è capace di dimostrarvi qualsiasi cosa.
Nutrivo il medesimo disprezzo per quel tipo di educazione morale che viene impartito alla maggior parte dei bambini. Buona parte di questa educazione sono chiacchiere ripetute a pappagallo, e quel poco che sembra possedere un significato concreto sono affermazioni sacre come quelle che un "bravo" bambino non disturba mamma quando è stanca, e che un "bravo" uomo è quello che si fa un ricco conto in banca senza farsi pescare. No, grazie tante, tenetevele pure!
E tuttavia anche un cane, in definitiva, ha le sue linee di condotta. Le mie, dunque, quali erano? Come mi comportavo… o almeno come m’illudevo di comportarmi?
Lo spettacolo deve continuare. L’avevo sempre creduto, e ne avevo fatto la mia norma di vita. Ma perché lo spettacolo dovrebbe continuare? Molti spettacoli non meritano neppure di esistere. Be’, perché ci si è impegnati a recitare, perché c’è il pubblico che aspetta: hanno pagato, e gli spettatori hanno il diritto di avere dall’attore il meglio che lui può dare. È un debito; è un debito con i dipendenti del teatro, con l’impresario, con il regista, con gli altri membri della troupe… e con chi vi ha insegnato l’arte drammatica, con tutti coloro che hanno calcato la scena prima di voi, andando a ritroso nella storia, fino ai teatri all’aperto con i sedili di pietra, ai bardi che ripetevano i miti della tribù, seduti in terra nelle antichissime piazze del mercato. Noblesse oblige.
Pensandoci, vedevo come questa considerazione potesse venir generalizzata fino a comprendere ogni forma di lavoro umano. Valore per valore. Costruire con squadra e livella. Giuramento ippocratico. Non tradire i compagni di squadra. Un lavoro onesto per un onesto compenso. Sono cose che non hanno bisogno di venire dimostrate; costituiscono una parte essenziale della vita… sono vere per tutta l’eternità, vere fino agli estremi confini della Galassia.
D’improvviso mi parve di capire dove volesse arrivare Bonforte. Se c’erano dei fondamenti etici che trascendevano il tempo e il luogo, allora essi erano ugualmente validi per gli uomini e per i marziani. Erano validi per qualsiasi pianeta di qualsiasi stella, e se la razza umana non si fosse comportata in modo da rispettarli, essa non avrebbe mai toccato le stelle, perché sarebbe giunta qualche altra razza migliore che l’avrebbe ricacciata indietro per la sua doppiezza.
Il costo dell’espansione si doveva pagare con la virtù. L’altra: "Approfitta sempre degli ingenui", era una filosofia morale troppo meschina, di fronte alle sterminate distese dello spazio.
Tuttavia Bonforte non predicava la dolcezza e la spensieratezza. — Io non sono affatto un pacifista. Il pacifismo è una dottrina troppo comoda e sfuggente, in nome della quale un uomo accetta i benefici del gruppo sociale senza volerli pagare, e in più esige che gli venga detto "Bravo!" per la sua disonestà. Signor Presidente, la vita appartiene a coloro che non temono di perderla! La legge deve venire approvata! — E con queste parole si era alzato ed era passato dall’altra parte dell’Assemblea, per sostenere uno stanziamento militare rifiutato dal suo partito in una riunione ristretta.
E ancora: — Prendete posizione! Prendete sempre posizione! Talvolta sbaglierete, ma chi si rifiuta di prender posizione sbaglia sempre! Il Cielo ci salvi da quei codardi che hanno paura di fare la loro scelta! Alziamoci e facciamoci vedere bene! — (Quest’ultima citazione proveniva da una riunione ristretta degli alti esponenti della Coalizione; Penny l’aveva registrata con il suo apparecchio miniaturizzato e Bonforte l’aveva voluta conservare. Bonforte aveva il senso della Storia; gli piaceva conservare i documenti. Se non l’avesse fatto, avrei avuto ben poco su cui lavorare.)
Decisi che Bonforte era il mio tipo. O almeno era il tipo d’uomo che avrei voluto essere. Ero fiero di doverlo impersonare.
Per quanto posso ricordare, non dormii affatto in quel viaggio, dopo aver promesso a Penny che mi sarei presentato all’udienza reale se Bonforte non avesse potuto farlo. Avevo intenzione di dormire (non vale la pena di affacciarsi sulla ribalta con le borse penzoloni sotto gli occhi), ma l’oggetto dei miei studi aveva catturato il mio interesse, e inoltre c’erano le compresse stimolanti nel cassetto della scrivania di Bonforte… È sorprendente quante cose si possono imparare lavorando ventiquattr’ore al giorno, senza interruzione e con tutto l’aiuto che vi serve.
Poco prima di giungere a New Batavia, venne però da me il professor Capek e mi disse: — Si rimbocchi la manica sinistra.
— Perché? — domandai.
— Perché, quando dovrà parlare con l’imperatore, non vogliamo che lei gli caschi ai piedi morto di stanchezza. Questa iniezione la farà dormire fino al momento dell’arrivo, poi le darò un antidoto,
— Eh? Allora non pensa che lui possa essere a posto?
Capek non rispose, ma si limitò a iniettarmi il liquido. Cercai di finire d’ascoltare il discorso che avevo inserito nel proiettore, ma mi addormentai nel giro di pochi secondi. La successiva cosa che ricordo era la voce di Dak, chino su di me, che mi diceva in tono deferente: — Si svegli, onorevole. Per favore, si svegli. Siamo arrivati al Campo Lippershey.