Orgoglioso come sono dei miei avi, pur lavorando per il Governatore, non mi piegherei mai a mettermi alle sue dipendenze dirette. Forse la differenza potrà sembrare inesistente, dato che sono diventato il servo di Mike dal giorno in cui l’hanno tolto dall’imballaggio. Ma per me conta molto. Il giorno che mi salta in mente, posso fare le valigie e mandarli tutti all’inferno.
Oltretutto è più vantaggioso lavorare in base a un contratto privato che prendere lo stipendio di dipendente pubblico, passato dall’Ente. I tecnici che capiscono qualche cosa di calcolatori elettronici scarseggiano. Quanti Lunari sono in grado di andare sulla Terra e restare fuori dall’ospedale per il tempo sufficiente a seguire il corso di specializzazione, e senza rimetterci la pelle?
Ve ne citerò uno: io. Sono stato giù due volte: la prima per tre mesi, la seconda per quattro, e ho seguito i corsi. Ma mi è costato un duro periodo di preparazione, addestramento nel centrifugatore, obbligo di vivere con i pesi addosso, persino a letto. E anche così, giunto sulla Terra, non ho mai corso rischi, non ho mai avuto fretta, mai salito scale, mai fatto uno sforzo che potesse darmi affanno al cuore. Quanto alle donne, sulla Terra non ci ho nemmeno pensato; e con la gravità che pesa addosso, laggiù, non c’è voluto un grande sforzo a non pensarci.
Ma i Lunari, per lo più, non cercavano nemmeno di lasciare Il Sasso… troppo rischioso per chiunque sia stato sulla Luna per più di poche settimane. I tecnici specializzati spediti quassù per installare Mike avevano un contratto a breve scadenza calcolato in base al tempo necessario per concludere il lavoro in fretta, prima che il mutamento fisiologico, irreversibile, li tenesse ancorati per sempre a quattrocentomila chilometri dalla Terra.
Nonostante i due corsi di specializzazione non sono un tecnico finito; le matematiche superiori non sono per me. Non posso essere definito un esperto in elettronica, né un fisico. Probabilmente non sono il miglior micromeccanico sulla Luna e certamente non sono uno studioso di psicologia cibernetica.
Ma in ciascuno di questi campi ne so più di uno specialista. Sono uno specializzato generale. Le macchine hanno, come me, qualcosa che gli specializzati non hanno: il mio braccio sinistro.
Mi spiego: dal gomito in giù mi manca completamente. Però ho una dozzina di avambracci sinistri di ricambio, ciascuno specializzato, più uno che sembra un braccio di carne e ossa e che funziona come tale. Per esempio, con il braccio sinistro adatto (il numero tre) e un paio di occhiali stereoscopici, posso fare riparazioni in ultramicrominiatura che risparmiano la fatica e la spesa di staccare un pezzo dalla macchina e mandarlo dal costruttore sulla Terra; il braccio numero tre, infatti, dispone di micromanipolatori minuscoli come quelli usati dai neurochirurghi.
È per questo che mi hanno chiesto di scoprire perché Mike voleva far buttare via dieci milioni di miliardi di dollari all’Ente, e di riparare il guasto prima che Mike pagasse a qualcuno anche solo diecimila dollari in più.
2
Firmai il contratto, paga oraria più assegno personale, ma non mi preoccupai di esaminare i circuiti dove logicamente avrebbe dovuto trovarsi il guasto. Una volta entrato, e chiusa a chiave la porta, appoggiai per terra la borsa degli arnesi e mi sedetti. — Ciao, Mike.
Mi rispose con un bagliore intermittente di luci. — Salve, Man.
— Che cosa sai dirmi?
Esitò. Lo so… le macchine non esitano. Ma tenete presente che Mike è stato costruito per funzionare sulla base di dati incompleti. Ultimamente si era autoriprogrammato per mettere enfasi nelle parole; le sue esitazioni erano d’effetto drammatico. Forse quelle pause gli servivano solo per esaminare una serie di dati a caso e vedere se combinavano con i dati delle sue memorie.
— In principio — declamò Mike — Dio creò il Cielo e la Terra. E la Terra era priva di forma e disabitata, e l’oscurità avvolgeva le profondità dell’infinito. Allora…
— Fermati! — esclamai. — Cancella tutto. Torna indietro a zero. — Avrei dovuto saperlo che non bisogna fargli domande così ampie: poteva recitarmi l’intera Enciclopedia Britannica, dall’ultima parola alla prima, e continuare con tutti i libri esistenti sulla Luna. Un tempo sapeva solo leggere microfilm ma, alla fine del ’74, gli avevano applicato un nuovo occhio fotografico con speciale leggio, e da allora leggeva tutto.
— Mi hai chiesto che cosa ti sapevo dire. — I suoi occhi di lettura si accesero e si spensero. Era il suo modo di sogghignare. Mike sapeva anche ridere, con un suono orribile, ma riservava le sue risate per situazioni veramente comiche: una calamità cosmica, per esempio.
— Avrei dovuto chiederti che cosa sai dirmi di nuovo. Ma non leggermi i giornali di oggi, era un modo cortese di salutarti, oltre a un invito a riferirmi qualsiasi cosa che tu creda possa interessarmi. Se non c’è niente, annulla il programma.
Mike ponderò le mie parole. Era la più straordinaria mistura d’ingenuità infantile e di saggezza matura. Non aveva istinti, almeno penso che non ne potesse avere, non aveva caratteristiche umane innate o ereditarie, né esperienze in senso umano… Ma aveva archiviati in sé più dati di conoscenza di un plotone di geni.
— Barzellette? — chiese.
— Sentiamone una.
— Perché un raggio laser è come un pesce rosso?
Mike sapeva tutto sul laser, ma dove diavolo aveva visto un pesce rosso? Oh, indubbiamente doveva averne visti interi banchi e se fossi stato tanto sciocco da chiedergli spiegazioni avrebbe potuto sputare fuori migliaia di parole.
— Rinuncio.
Le sue luci mandarono bagliori. — Perché nessuno dei due sa fischiare.
Feci un grugnito. — E va bene. Comunque, credo che sia possibile far emettere un sibilo a un raggio laser.
Rispose in fretta. — Sì. Come reazione a una certa serie di azioni fisiche. Allora, la barzelletta non fa ridere?
— Oh, non voglio dire questo. Non era del tutto male. Dove l’hai pescata?
— L’ho inventata io — disse con una nota di timidezza.
— Tu?
— Sì. Ho preso tutti gli indovinelli che ho, tremiladuecentosette, e li ho analizzati. Ho utilizzato il risultato per compiere una sintesi a caso ed è venuto fuori quello che ti ho detto. Fa ridere?
— Ecco… fa ridere come possono far ridere gli indovinelli di quel genere. Ne ho sentiti di peggio.
— Discutiamo la natura dell’umorismo.
— Molto bene. E per cominciare consideriamo un altro dei tuoi scherzi. Mike, perché hai detto al contabile dell’Ente di pagare dieci milioni di miliardi di dollari a un impiegato di diciassettesimo grado?
— Non è vero.
— Maledizione, ho visto la busta paga. Non dirmi che è stato un errore meccanico nella compilazione dell’assegno; lo hai fatto tu, e di proposito.
— La cifra era di dieci alla sedicesima potenza, più centottantacinque virgola quindici dollari dell’Ente — disse con aria virtuosa. — Non quello che hai detto tu.
— Uh… va bene, dieci milioni di miliardi, più la paga che avrebbe dovuto ricevere. Perché l’hai fatto?
— Non è uno scherzo divertente?
— Come? Oh, sì, proprio divertente! Hai fatto venire le convulsioni a tutti i pezzi grossi, Governatore compreso. Questo lavoratore della scopa, l’usciere Sergei Trujillo, si dimostra un furbacchione; sa di non poter incassare l’assegno e allora tenta di venderlo all’ufficio tasse. Quelli non sanno se accettarlo o aspettare di sapere se è falso. Mike, ti rendi conto che se fosse stato in grado di incassarlo Trujillo sarebbe diventato il padrone non solo dell’Ente lunare ma del mondo intero, Luna e Terra insieme, con in più qualche cosa da mettere da parte per la vecchiaia? Divertente? È terrorizzante. Congratulazioni!
Questa tirata, che mirava a spaventarlo, fece lampeggiare le sue luci come una scritta pubblicitaria. Aspettai che le sue risate represse cessassero, e poi aggiunsi: — Hai in mente di stampare altri assegni del genere? Non farlo.