Mort il Carceriere, come lo chiamavamo noi Lunari.

Passai ancora qualche tempo a calmare Mike e a cercare di renderlo felice. Avevo scoperto ciò che lo turbava. Era la stessa cosa che fa guaire i cagnolini e spinge gli esseri umani al suicidio: la solitudine. Non so quanto sia lungo un anno per una macchina che pensa un milione di volte più rapidamente di me. Ma deve essere enormemente lungo.

— Mike — dissi, prima di andarmene — ti piacerebbe avere qualcuno con cui parlare, oltre a me?

La sua voce divenne di nuovo acuta. — Sono tutti stupidi!

— I tuoi dati sono insufficienti, Mike. Riporta a zero e ricomincia dall’inizio. Non tutti gli uomini sono stupidi.

Rispose con voce calma: — Correzione eseguita. Mi piacerebbe parlare con un non-stupido.

— Dammi tempo per pensarci. Devo inventare una scusa, dato che questo locale è vietato al personale non autorizzato.

— Potrei parlare a un non-stupido per telefono, Man.

— Accidenti, è vero, potresti farlo. Sulle linee per la programmazione telefonica.

Ma Mike intendeva dire proprio quello che aveva detto: per telefono, non come avevo capito io. Lui non era un abbonato al telefono, anche se sovrintendeva a tutta la rete telefonica. Non sarebbe stato saggio permettere al primo Lunare con un telefono a portata di mano di collegarsi con il calcolatore principale e programmarlo a suo piacimento.

Ma niente impediva che Mike avesse un numero telefonico segreto che gli desse la possibilità di parlare con gli amici: cioè con me e con qualsiasi non-stupido per il quale garantissi io. Bastava scegliere un numero non utilizzato e fare un collegamento telefonico al suo apparato vocale; si sarebbe occupato lui di aprire e chiudere i circuiti.

Sulla Luna, nel 2075, i numeri dovevano venire composti e non si formavano automaticamente, su impulso vocale, come sulla Terra. Erano costituiti da lettere dell’alfabeto. Bastava pagare il canone e si poteva avere il proprio nome come numero telefonico fino a un massimo di dieci lettere: per una ditta era una buona pubblicità. Con una cifra minore si otteneva per numero una parola, facile da ricordare. Pagando il canone minimo si otteneva una serie di lettere a caso. Alcune sequenze però erano inutilizzate. Chiesi a Mike uno di questi numeri inutili. — Peccato che non ti possiamo dare la sigla Mike.

— Numeri in servizio — elencò: — Mikesgrill, Novy Leningrad; Mikeandlil, Luna City; Mikesuit, Tycho Under; Mikes…

— Fermati! I numeri nulli, per favore.

— Sono numeri nulli quelli con consonanti seguite da ics, ipsilon o zeta, con vocali seguite da se stesse tranne E e O; con…

— Mi basta. Il tuo numero è Mycroft. - Dieci minuti dopo, due dei quali trascorsi per infilarmi il braccio numero tre, Mike era collegato alla rete telefonica; in pochi millisecondi Mike fece gli adattamenti necessari per aprire e chiudere il circuito, per presentarsi in linea come Mycroft-più-xxx… e per bloccare il circuito, in modo che nessun tecnico curioso potesse strappargli il segreto.

Ricambiai il braccio, raccolsi i miei arnesi e mi ricordai di portare con me quelle cento barzellette che Mike aveva stampato. — Buona notte, Mike.

— Buona notte, Man. Grazie!

3

Presi la metropolitana Trans-Crisi per Luna City, ma non andai a casa; Mike voleva sapere di un raduno che si teneva quella sera, alle 21, al Teatro degli Stilyagi, luogo di raduno, normalmente, dei nostri capelloni. Mike era solito ascoltare e registrare concerti, conferenze eccetera; ma qualcuno, quella sera, aveva staccato il suo collegamento con il Teatro degli Stilyagi. Credo che se ne sentisse offeso.

Potevo immaginare il perché era stato tolto il collegamento. Si trattava di politica, un raduno di protesta. Che ragione ci fosse di impedire a Mike di seguire il dibattito, non riuscivo a capire; era facile scommettere che fedelissimi del Governatore si sarebbero mescolati alla folla. Non che ci si aspettasse un tentativo da parte dell’Ente di sciogliere il raduno o di arrestare gli esiliati non ancora naturalizzati, se avessero aperto bocca. Non era necessario.

Mio nonno Stone sosteneva che la Luna era la sola prigione aperta della storia. Niente sbarre, niente secondini, niente regole e nessun bisogno di istituirle. Nei primi anni, diceva, prima che diventasse evidente che l’esilio sulla Luna era una condanna all’ergastolo, qualcuno tentò di scappare. In astronave, naturalmente; e dato che il peso di una nave è calcolato fino all’ultimo grammo, questo implicava la corruzione di un uomo dell’equipaggio.

Dicono che alcuni si lasciarono corrompere. Ma non ci furono fughe ugualmente. Non è detto che ci si possa sempre fidare fino in fondo dell’uomo che abbiamo tentato di corrompere.

Ricordo di aver visto un uomo subito dopo l’eliminazione attraverso la Porta Stagna Est. Non crediate che un cadavere abbia un aspetto più simpatico solo perché galleggia in orbita.

Il Governatore non si agitava per niente, quando avvenivano raduni di protesta. Lasciateli chiacchierare, era la sua politica. Quelle chiacchiere avevano lo stesso significato dei miagolii di gattini rinchiusi in una scatola. Alcuni Governatori si limitavano ad ascoltare, mentre altri, a dire il vero, cercavano di mettere a tacere le proteste; ma in entrambi i casi le conseguenze erano identiche: nessuna conseguenza.

Quando Mort divenne governatore, nel 2068, ci fece una predica su come le cose sarebbero cambiate sulla Luna durante la sua amministrazione (roba tipo un paradiso terrestre realizzato con le nostre forti mani, spingere insieme la ruota, in uno spirito di fratellanza e dimentichiamo gli errori del passato per puntare i nostri occhi avanti, verso la nuova alba luminosa). Udii quel discorso nell’Osteria di Mamma Boor, trangugiando un litro di grappa australiana su un piatto di stufato irlandese. Mi ricordo il commento di Mamma Boor: "Parla fiorito, non ti pare?".

Quel commento fu l’unico risultato della predica. Furono inoltrate alcune petizioni, e le guardie del corpo del Governatore cominciarono a portare armi di nuovo tipo: non ci furono altri mutamenti. Dopo qualche tempo, Mort smise di farsi vedere pubblicamente, anche al video.

Andai al raduno, quella sera, solo perché Mike era curioso. Quando passai dalla stazione della metropolitana alla Porta Stagna Ovest, presi un registratore in miniatura e lo nascosi nella borsa appesa alla cintura, in modo che Mike potesse ricevere un resoconto completo anche nel caso che mi fossi addormentato.

Poco mancò che non riuscissi nemmeno a entrare. Risalii dal livello 7-A e mi infilai in una porta laterale del teatro. Fui fermato da uno dei giovani stilyagi: indossava una salopette aderente, di pelle, imbottita, aveva la schiena nuda luccicante e spruzzata con polvere di stelle. Non che a me interessi come si veste la gente; io stesso portavo una salopette aderente, non imbottita però, e a volte mi ungo la parte superiore del corpo, quando vado ai ricevimenti.

Ma non uso cosmetici, e i miei capelli sono troppo radi per acconciature di fantasia. Quel ragazzo aveva il cranio rasato ai lati e una ciocca centrale che saliva come una cresta di gallo. In cima al tutto portava un berretto rosso, con una specie di visiera sul davanti.

Era un Berretto della Libertà… il primo che avessi mai visto. Feci per passare, ma il ragazzo mi sbarrò la strada con un braccio e piazzò la faccia a pochi centimetri dalla mia. — Biglietto!

— Mi dispiace — dissi. — Non lo sapevo. Dove si compera?

— Non si compera.

— Ripeti, per favore — dissi. — Non ho sentito bene.

— Nessuno può entrare senza un invito che garantisca per lui. Chi sei?

— Sono Manuel Garcia O’Kelly — risposi, con cautela — e tutti i vecchi mi conoscono. Chi sei tu?

— Non ti riguarda. O tiri fuori il biglietto con regolare contromarca, o te ne vai fuori di qui.


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