Ethan sapeva che avrebbe dovuto rifiutare quel punto di vista e rivolgersi alle autorità, ma era troppo debole e dolorante per opporsi e (gli venne da pensare a un tratto) troppo alto nell’aria. Il brivido della vertigine gli mozzò il fiato. Se quella femmina avesse decìso di mandarlo dietro a Okita…

— Va bene — mugolò. — Uh, lei cosa… cosa vuol fare con me?

La comandante Quinn si piantò le mani sui fianchi e abbassò su di lui uno sguardo accigliato. — Ancora non ne ho idea, Non so se sei un asso o un jolly. Credo che ti terrò nella manica per un po’, finché non avrò capito come mi conviene giocarti. Col tuo permesso — aggiunse dopo un momento, come concessione.

— Uno specchietto per le allodole — mormorò Ethan.

Lei lo guardò pensosamente. — Forse. Se ti viene un’idea migliore, fammela sapere.

Ethan scosse il capo, movimento che mandò ondate di dolore a sciabordare nell’interno del suo cranio e gli fece apparire lampi gialli davanti agli occhi. Se non altro quella femmina non sembrava dalla stessa parte dei suoi recenti catturatori. La nemica dei miei nemici è… mia alleata?

La comandante Quinn lo aiutò a tirarsi in piedi e lo sostenne quando si avviarono giù per le scalette metalliche, fino al suolo. Ethan notò per la prima volta che era diversi centimetri più bassa di lui e più delicata di un uomo anche come muscolatura, cosa che peraltro in teoria avrebbe dovuto sapere, ma a cui non aveva mai pensato. In quel momento, però, non se la sentiva di mettere alla prova la sua superiorità fisica cercando di sfuggirle.

Quando la femmina lo lasciò. Ethan ebbe appena la forza di mettersi a sedere sulla consunta pavimentazione di plastica. Lei andò a chinarsi sul corpo di Okita e lo tastò per sentire le pulsazioni. — Uhu. Collo spezzato e altre brutte fratture. — Si rialzò, fece un sospiro e rimase lì, esaminando sia Ethan che il cadavere con lo stesso sguardo calcolatore.

— Potremmo lasciarlo qui, e la sua faccia apparirebbe in uno dei notiziari mattutini della stazione — disse. — Ma io preferirei dare al colonnello Millisor un pìccolo mistero da risolvere. Sono stanca di seguire le iniziative altrui, stando sempre dietro le quinte e sempre indietro di una mossa. Hai mai pensato alla difficoltà di far sparire un cadavere in una stazione spaziale? Io scommetto che Millisor sa tutto in merito. I cadaveri non ti danno fastidio, no? Voglio dire, tu sei un medico e tutto quanto, giusto?

Lo sguardo di Okita era vitreo come quello di un pesce morto, ma sulla sua faccia c’era un’espressione di rimprovero. Ethan deglutì saliva. — In realtà non mi è mai piaciuta molto quell’estremità del ciclo vitale — spiegò. — La patologia, l’anatomia e via dicendo. Suppongo che sia per questo se mi sono dedicato alla riproduzione. Era più… di buon augurio. — Fece una pausa. Il suo intelletto stava ricominciando a funzionare, a dispetto di tutto. — È davvero difficile liberarsi di un cadavere su una stazione spaziale? Non può buttarlo fuori dal portello più vicino, o giù per un pozzo antigravità poco usato, o qualcosa del genere?

Gli occhi di lei brillavano come pieni di ipotesi. — I portelli che danno all’esterno sono tutti monitorati. È possibile aprirli per certe operazioni d’emergenza, ma non senza far scattare sensori collegati ai computer che registrano tutto. Inoltre, là fuori un cadavere resterebbe a orbitare per sempre intorno alla stazione, anche se lo spingessi via con tutta la tua forza. Analoga obiezione per gli eliminatori di rifiuti; se fai a pezzi e getti nel cesso novanta chili di sostanze proteiche ancora utilizzabili, questo lascia un grosso blip nelle registrazioni. Le hanno già tentate tutte, credimi. Anni fa c’è stato un famoso caso di omicidio; una donna cercò di eliminare il cadavere del marito mangiandolo un po’ per volta, e questo sarebbe forse un buon sistema. Comunque io non me la sento di mangiare Okita. È un tipo che non stimola molto il mio appetito, se capisci quel che voglio dire.

La femmina si mise a sedere accanto a lui, con le ginocchia sollevate e le braccia strette intorno alle gambe, non tanto per riposarsi quanto per trattenere l’energia nervosa e l’impulso di muoversi. — In quanto a nasconderlo da qualche parte nell’interno della stazione… be’, la polizia non è niente a paragone dei controlli maniacali della squadra ecologica. Non esiste un centimetro cubo di Stazione Kline che non compaia su un programma di analisi biologica, e il governo usa a turno tutti i cittadini al di sopra dei dodici anni come personale volontario addetto a ogni tipo di controllo. Potresti continuare a spostare il cadavere qua e là, in qualche contenitore, ma…

Ethan la ascoltava distrattamente, immerso in pensieri spiacevoli quanto le sue sensazioni fisiche.

— Però credo di avere un’idea — continuò lei. — Sì… perché no? Visto che ho commesso un delitto, mi conviene tentare di farne un delitto perfetto. Ogni cosa fatta merita d’essere fatta bene, direbbe l’ammiraglio Naismith.

La comandante Quinn si alzò e prese ad aggirarsi per il molo deserto, cercando e scegliendo attrezzi con l’aria distratta di una casalinga che prelevasse oggetti dai banconi di un supermercato.

Seduto miseramente sulla pavimentazione umida Ethan invidiava Okita, le cui disgrazie terrene erano se non altro terminate. Lui si trovava su Stazione Kline da circa ventiquattr’ore standard, e non aveva ancora mangiato il suo primo pasto né fatto un’ora di sonno. Picchiato, rapito, drogato, quasi-assassinato, e ora divenuto a tutti gli effetti complice di un omicidio che se non era stato esattamente un delitto era comunque la cosa più vicina. La vita in quelle zone incivili della galassia era molto peggiore di quel che aveva immaginato. E adesso era anche caduto nelle mani di una femmina, come se non bastasse. I Padri Fondatori avevano avuto buoni motivi per lasciarsi alle spalle quella società… — Voglio tornare a casa mia — mugolò.

— Via, via — lo blandì la comandante Quinn, arrivando accanto al cadavere di Okita a bordo di un forklift. La bruna femmina saltò giù e trascinò al suolo un contenitore cilindrico lungo un paio di metri, del tipo usato per le spedizioni di merci sfuse. Aveva con sé anche quella che risultò essere una barella antigravità. — Non è questo il modo di abbattersi, proprio quando il mio incarico mostra finalmente qualche apertura. Tu hai soltanto bisogno di un buon pasto caldo… — si voltò a guardarlo. — e forse di una settimana in un letto di ospedale. Questo penso però di dovertelo sconsigliare, dato che ti costerebbe un occhio della testa, ma appena ho finito di sistemare questa faccenda ti porterò in un posto dove potrai riposare un po’, intanto che io mi occupo della prossima fase. D’accordo?

La femmina aprì il coperchio del contenitore e, non senza qualche difficoltà, sistemò il corpo di Okita dentro di esso. Poi usò il forklift per sollevare il contenitore sopra la barella. — Ecco fatto. Non ha neppure troppo l’aspetto di una bara, no? — Tirò giù dal forklift un aspira-rifiuti elettrostatico, diede una rapida ma scrupolosa ripulita alla zona dell’impatto fatale, gettò insieme al cadavere il sacchetto di plastica tolto dall’aspira-rifiuti, quindi risalì sul veicolo e lo portò via, rimettendo poi ogni cosa dove l’aveva trovata. Da ultimo, e con espressione molto più luttuosa di quando s’era occupata di Okita, andò a raccogliere i pezzi del suo storditole.

— Siamo a posto. Questo dà al progetto la sua prima scadenza. La barella e il contenitore dovranno essere riportati qui entro otto ore. prima che le squadre dei moli vengano qui a fare qualche lavoro, altrimenti qualcuno potrebbe accorgersi della loro mancanza.

— Chi sono quegli uomini? — le domandò Ethan mentre lei lo aiutava a salire a cavalcioni del contenitore, sulla barella antigravità spenta e poggiata al suolo. — Sono dei pazzoidi. Voglio dire, tutti quelli che ho incontrato qui sono pazzi, ma quelli… quelli parlavano di assalire e distruggere i Centri di Riproduzione su Athos! Uccidere i bambini e… forse uccidere tutti!


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