— A proposito, signor ambasciatore — intervenne il capitano Arala, — lei ha idea di dove si trovino gli altri due dipendenti di questo Ghem-lord?

— Vuol dire che non avete ancora arrestato quel, uh, come si chiama. Setti? — domandò Ethan.

— Ci stiamo lavorando — disse Arata. Il suo volto inespressivo e controllatissimo non diede a Ethan alcun indizio sul significato di quella frase.

— Suppongo che farà meglio a domandarlo al colonnello Millisor. quando riprenderà i sensi. In quanto all’altro dipendente, forse potrà avere sue notizie da… mmh. quella mercenaria…

— La comandante Elli Quinn? — domandò Arata.

— Può darsi — annuì Ethan, con indifferenza.

— E dove si trova la comandante Quinn, signor ambasciatore?

Ethan sospirò. — Se ò andata via così in fretta, presumo che la sua nave stesse partendo. Era in ferie. Probabilmente farà ritorno alla flotta dei Mercenari Dendarii. dovunque sia in questo momento. — Portandosi dietro senza dubbio il suo nuovo acquisto, Cee. Quanto tempo il giovane telepate sarebbe sopravvissuto, ora che aveva perso del tutto i suoi sogni e i suoi scopi? Più di quanto era destinato a sopravvivere quando aveva Millisor alle calcagna, ammise Ethan per onestà. Che vada pure. Faccia come vuole.

Anche Arata ebbe un sospiro. — Una creatura scivolosa come un’anguilla — borbottò. — Quanto al fatto che se ne sia andata, vedremo. Mi deve ancora qualche spiegazione.

A quel punto Ethan vide che il colloquio era terminato e si alzò. La funzionaria lo accompagnò solo fino alla porta del suo ufficio. — La ringrazio per la sua gentile collaborazione, signor ambasciatore. Se c’è qualcosa che Stazione Kline potrà fare per rendere più gradevole la sua permanenza, la prego di informarci.

Non gli era stato detto altro di Helda, e poiché adesso lui era un diplomatico decise che chiedere qualcosa di più del pensionamento anticipato (la sua testa in un blocco di plastiglax, ad esempio) sarebbe stato poco diplomatico.

Nel corridoio che conduceva al portello stagno di quel settore Ethan rallentò il passo. — Ora che ci penso, capitano Arata, c’è qualcosa che potreste fare per me.

— Davvero? Mi fa piacere.

— Il colonnello Millisor è sotto sorveglianza, no? Quando si sarà svegliato, potreste concedermi di parlargli per qualche minuto?

Arata lo scrutò con aria speculativa. — Se vuole seguirmi vedrò cosa posso fare, signore.

Ethan fu condotto dal capitano della Sicurezza attraverso la sezione amministrativa e oltre due portelli stagni, di nuovo nel Reparto Quarantena. Qui incontrarono un meditec che stava uscendo giusto allora da una camera dalle pareti trasparenti. Il meditec accese un pannello INGRESSO CONSENTITO sopra la porta della camera e cominciò a togliersi la tuta isolante. All’interno una guardia armata della Sicurezza mandò fuori da uno scomparto un rotolo di indumenti, in un sacchetto che il meditec gettò in un cestone con altra roba destinata alla lavanderia.

— Quali sono le condizioni del vostro paziente? — gli domandò Arata.

Il meditec guardò i gradi del suo interlocutore. — È sveglio e ha recuperato l’orientamento. Accusa qualche tremito dovuto al trauma dello storditore, e un certo mal di capo. Le analisi rivelano che soffre inoltre di ipertensione cronica, di una gastrite dovuta presumibilmente al lavoro stressante, di un inizio di degenerazione epatica pre-cirrotica, e di una prostata ingrossata che fra qualche anno dovrà farsi operare. In breve, è in uno stato di salute normale in un uomo della sua età. Quello che non ha è la plasmosi virale Alpha S-D-2, né la 3, né la 29 o qualsiasi altro numero. Il suo apparato genitale è tatuato, come usa fra i cetagandani, ma non ammalato. Qualcuno ci ha inoltrato un falso allarme, capitano, con quel rapporto di qualche ora fa, e spero che scoprirete chi è stato. Io non ho tempo per giochetti così stupidi e costosi.

— Ci stiamo lavorando — disse il capitano Arata.

La camera fu aperta ed Ethan seguì il suo accompagnatore fino all’ingresso di quella successiva. Qui Arata accennò alla guardia di restare fuori dalla porta ma invece di fare lo stesso entrò con Ethan, fermandosi un passo oltre la soglia in educato ma risoluto atteggiamento d’attesa. Lui rifletté che chiedergli di uscire sarebbe stato inutile; la stanza era sicuramente monitorata.

Avvicinandosi al letto su cui giaceva Millisor, sveglio e vestito con un semplice camice verde sotto cui doveva essere nudo, Ethan notò con sollievo che aveva cinghie di sicurezza chiuse intorno ai polsi e alle caviglie. Il cetagandano s’era limitato a voltare la testa verso di loro. Teneva le mani incrociate sul petto, rilassato come se avesse già completamente accettato il fatto d’essere legato e in arresto, ma scrutava Ethan con un sardonico distacco. Questo ebbe l’effetto di farlo sentire un codardo, come un goffo turista che osasse avvicinare un predatore feroce ormai messo ai ceppi da cacciatori ben più esperti e coraggiosi di lui.

— Uh, buon pomeriggio, colonnello Millisor — lo salutò Ethan, piuttosto incongruamente.

— Buon pomeriggio, dottor Urquhart. — Il cetagandano gli rivolse un ironico cenno del capo a mo’ di inchino. Appariva esente da qualsiasi animosità personale: un professionista, come Quinn. Del resto non aveva mostrato alcuna animosità personale verso di lui neppure quando aveva ordinato la sua esecuzione.

— Io, uh… volevo essere completamente e definitivamente sicuro, prima della sua deportazione, che lei abbia capito che Athos non ha mai ricevuto, e non riceverà mai, materiale genetico proveniente dal Gruppo Jackson — disse Ethan.

— Le probabilità sembrano far propendere per questa ipotesi — gli concesse Millisor. — Nonostante ciò io dubito di tutto. È una questione di logica.

Ethan soppesò quella dichiarazione. — Incontrare la verità così all’improvviso deve sembrarle insopportabile, allora. Specialmente una verità dove c’è molta follia umana e assai poca logica.

Millisor lo guardò con aria di compatimento. — Lei ha una filosofia difettosa, Urquhart. Io non ho mai conosciuto nessuno disposto a regalarmi la verità; al massimo la sua versione della verità. — Strinse le palpebre, — Dunque, cosa ne pensa di Terrence Cee, ora che lo ha conosciuto?

Ethan s’irrigidì, allarmato. — Di chi sta parlando?

— Andiamo, Urquhart, so benissimo che si trova qui. Posso sentire l’odore della sua presenza, nella situazione tattica. Lo ha trovato attraente, lei, da autentico athosiano? Ma non c’è bisogno d’essere athosiani per apprezzarlo… e per essere apprezzati da lui. Sa, in passato ho avuto modo di notare che il suo, uh, dono, funziona in due direzioni per quel che riguarda certe emozioni… come se lui fosse contagiato da quelle altrui.

Era un pensiero sgradevole, al momento, soprattutto perché Ethan non poteva negare di aver trovato Cee molto attraente. Si volse a mezzo. Millisor stava ora guardando con interesse Arata, forse in attesa delle reazioni dell’ufficiale della Sicurezza alla piega che aveva preso la conversazione. Ethan cercò subito di tagliare ogni accenno di Millisor alla lista di fatti e nomi che lui aveva tenuto segreti: — Non mi è ancora accaduto di parlare del signor Cee con… con loro. E non ho alcuna voglia di farlo. Questo, nel caso che lei se lo stia domandando.

Millisor inarcò le sopracciglia, stupito. — Come favore a me?

— Come favore a loro — lo corresse lui.

Il cetagandano accettò quella dichiarazione col beneficio del dubbio, almeno a giudicare dal suo cenno del capo. — Ma Cee è su Stazione Kline. Dove, esattamente, Urquhart?

Ethan scosse il capo. — Non lo so, mi creda. Se lei preferisce pensare che questa è una bugia, è un problema suo.

— Allora lo sa la sua amichetta, la mercenaria. Perciò la domanda resta la stessa: dov’è quella donna?

— Non è la mia amichetta! — esclamò Ethan, inorridito. — Io non ho niente a che fare con la comandante Quinn. Quella femmina lavora da sola. Se lei ha dei problemi con la comandante Quinn, se la prenda con lei, non con me!


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