— Avete riscritto i messaggi perché non vi piacevano — dissi. — La storia non si era evoluta come volevate voi, così avete cercato di correggerla. Disfarla.

— No — ribatté la Ivanova.

Agopian disse: — Forse.

La Ivanova lo guardò con cipiglio, poi si rivolse a me: — Adesso che cosa succederà?

— Torneremo al campo, e tu e Agopian racconterete la vostra storia.

Lei guardò Eddie. — Credi che sia una buona idea?

— No. Ma non vedo alcun modo di far tacere Lixia, Derek e Agopian.

— Non c’è alcun modo — dichiarai. — Non intendo andare avanti con una menzogna di tale vastità.

Agopian mi guardò. Sembrava un po’ ubriaco. — Tu sei più forte di me, Lixia, e più innamorata delle astrazioni. Verità. Bellezza. Integrità. Ci annienteresti tutti per quelle parole.

— Tu non sei nella posizione di criticare — disse la Ivanova.

Mi rivolsi a Eddie. — Quando partiamo?

— Domattina. Presto. Tu e Derek dovreste andare al villaggio a congedarvi formalmente.

Derek fece il gesto del dissenso. — Angai ha detto niente uomini. Credo che parlasse sul serio.

— L’oracolo è lassù.

— Lui è santo. Io no. Sto prendendo Angai sulla parola.

— Andrò io — dissi. — Dopo pranzo e dopo aver fatto una nuotata. Qualcuno vuole venire con me?

— A nuotare? — domandò Derek.

— Al villaggio.

— Ci verrò io — disse la Ivanova. — Se Eddie è d’accordo.

— Penso che rimanderemo l’arresto di chiunque finché non saremo di ritorno al campo. Non conosco la procedura e in realtà non voglio chiamare per chiederla. Susciterebbe troppe domande. — Eddie si guardò attorno. — Voi altri siete d’accordo?

Derek e io annuimmo.

La Ivanova disse: — Penso che mi asterrò dal votare su questa questione.

Agopian annuì. — Mi astengo anch’io.

— Tanto vale che tu vada — disse Eddie alla Ivanova.

— Grazie.

Derek e io preparammo dei sandwich. Mangiammo, poi andai a fare una nuotata. L’acqua era fresca. Il fiume allentò buona parte della mia tensione. Avrei avuto voglia di farmi portare dalla corrente, lontano dal villaggio e dalle barche, lontano da tutte quelle persone e dalle loro discussioni. Naturalmente, se fossi andata abbastanza lontana, sarei finita nel bel mezzo della migrazione delle lucertole. Tornai indietro e salii a bordo, presi un asciugamano e me lo legai attorno al corpo.

Tatiana era tornata e stava seduta sul ponte di poppa con la Ivanova e Agopian. Sul tavolo pieghevole accanto a lei c’era una bacinella di frutta. Arance, banane e lucide mele verdi. Accanto alla bacinella c’era un mucchio di bucce d’arancia. L’aria era satura del profumo delle arance.

Tatiana parlava in russo, in modo rapido e impaziente.

— Che ne è stato dell’oracolo? — chiesi.

Si volse verso di me. — È rimasto al villaggio. Era insieme a qualcuno. Una persona grande dalla pelliccia rossiccia e abiti dimessi.

Nia.

Andai nella cabina e mi vestii.

Quando uscii, la Ivanova si alzò in piedi. Ci inerpicammo insieme lungo la scogliera.

C’erano bambini fuori dal villaggio. Se ne stavano fermi rivolti verso il vento, le mani all’infuori, le palme in avanti.

— Che cosa state facendo? — domandai.

— Tu ci hai detto che potevate sentire il vento. Le palme delle nostre mani non hanno pelo. Stiamo sentendo il vento e cercando di capire che effetto farebbe sentirsi così su tutto il corpo.

Tradussi per la Ivanova. Lei rise. — Loro non avranno difficoltà. Sono gli adulti che avranno paura e si opporranno ai cambiamenti.

I bambini rimasero ai margini del villaggio, continuando il loro gioco di far finta di essere senza pelo. Io e la Ivanova ci dirigemmo verso la piazza principale. Angai era lì, seduta sotto il suo riparo. Con lei c’erano Nia e l’oracolo.

Feci il gesto del saluto.

Angai fece il gesto che significava "sedetevi e restate per un po’".

Ci sedemmo all’ombra del riparo. Il vento sollevava polvere per la piazza.

— Partiamo domani mattina — dissi.

— Bene — ribatté Angai. — Quando ve ne sarete andati, le persone smetteranno di preoccuparsi. Dopo un po’ questa visita sembrerà solo un sogno per loro, o una storia raccontata da una vecchia su qualcosa successo molto tempo addietro. Allora potrete ritornare. Saranno meno terrorizzate la seconda volta. Ma ricordate. Quando venite, portate solo le donne e assicuratevi che siano intelligenti e sagge.

Tradussi per la Ivanova.

Lei disse: — Porgi ad Angai i nostri ringraziamenti. Spiegale che quando torneremo porteremo molti doni e molte storie, ma nessun uomo.

Lo riferii ad Angai.

Lei fece il gesto dell’intesa. — Credo che le cose si metteranno bene, anche se non mi sarei dovuta infuriare ieri sera. Adesso dovrò trovare un modo per fare contenta Anhar.

"Ora andate e portate con voi l’oracolo. Chiederò agli spiriti di prendersi cura di voi."

Feci il gesto della gratitudine. — È tutto — dissi alla Ivanova. — Vuole che lasciamo il villaggio.

Ci alzammo e altrettanto fece l’oracolo. Aveva una grossa sacca di cuoio bozzoluta: il suo cibo.

Guardai Nia. — E tu?

— Resterò qui ancora per un giorno o due. Poi ho intenzione di andare a nord a far visita a Tanajin.

— E dopo? — le chiesi.

Fece il gesto del dubbio, si alzò e mi abbracciò. Un abbraccio forte e stretto che mi lasciò senza fiato.

— Vieni al nostro villaggio — dissi.

Lei fece il gesto che significava "può darsi".

— Andate — disse Angai.

L’oracolo si incamminò. Io e la Ivanova lo seguimmo.

Quando arrivammo di nuovo dai bambini, stavano giocando con una palla. Addio al gioco dell’essere senza pelo.

Dissi loro: — Partiremo domattina. Quasi all’alba, credo. Venite giù allora se volete vedere le nostre barche.

— Lo faremo — rispose uno dei bambini.

Arrivammo sull’orlo della scogliera. La Ivanova si fermò e si voltò a guardare il villaggio e la pianura.

— Muovetevi — disse l’oracolo.

— L’oracolo è impaziente — osservai.

— Voglio ricordare tutto questo.

Restò lì ferma ancora un minuto e due. L’oracolo era irrequieto. Gli feci cenno di proseguire. Infine la Ivanova si volse verso di me. — Non sono stata particolarmente intelligente durante quest’ultimo anno. Ma non sono una stupida. Ho un’idea ben fondata di quello che succederà a Mesrop e a me.

Si avviò giù per la scogliera, seguendo l’oracolo.

Sarebbero stati processati per crimini contro la democrazia e per aver messo in pericolo la vita delle persone che avevano ibernato. Forse per omicidio. Non avevamo provvedimenti per la riabilitazione e neppure un luogo dove mandare le persone che avevano commesso gravi crimini. La sola cosa che potevamo fare era ibernarli finché non fossimo tornati sulla Terra o finché la nostra colonia non si fosse sviluppata abbastanza da avere una prigione o un’attrezzatura psicoterapeutica veramente avanzata.

Questa era probabilmente l’ultima volta che la Ivanova vedeva un villaggio indigeno o un paesaggio come quello. Diedi un’altra occhiata alla pianura battuta dal vento e ai bambini che inseguivano la loro palla. Poi seguii la Ivanova giù per la scogliera.


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