— Questo non è stato ancora stabilito — disse la Ivanova.

L’imbarcazione virò verso la sponda occidentale. Era vicina e si distinguevano facilmente le scogliere. Erano alte ed erose, coperte di foresta e incise da profonde gole.

— È davvero un bellissimo pianeta — osservò Agopian. — La Terra doveva apparire così prima che i capitalisti ne prendessero il controllo.

— Mmm — disse Eddie.

C’erano cupole sulla riva: color marrone chiaro e azzurro tenue, bianco panna sporco, verde celadon. Di fronte alle cupole c’era una banchina che si estendeva nel lago. Galleggiava, lunga e snodata, muovendosi su e giù pezzo dopo pezzo con il frangersi delle onde.

Dagli edifici uscirono persone che corsero verso la banchina. Quante erano!

— Eddie — disse Derek.

— Sì.

— Non credo che avremo l’energia per qualunque genere di festeggiamento.

— Lascia che me ne occupi io. — La barca si fermò. Eddie scese sulla banchina e corse verso le persone.

Il motore si fermò. Sentii l’acqua e il vento. Gli uccelli lanciavano grida. Voci umane parlavano. Non le capivo. Eddie gesticolava. Le persone si voltarono e tornarono verso il campo.

Scendemmo anche noi e Agopian ormeggiò l’imbarcazione. Eddie tornò. C’era una persona con lui, una donna alta e snella. La sua pelle era color bruno scuro; i capelli ondulati le arrivavano alle spalle. La sua tuta era di un rosso terracotta.

— Questa è Liberation Minh. Fa parte del team medico.

— Piacere. — Ci strinse la mano. — Dovremo fare un esame preliminare. Non ci vorrà molto. Vi analizzeremo accuratamente quando sarete sulla nave. Per il momento tutto ciò che ci occorre sono alcuni campioni. Alcuni esami. — Si voltò e fece strada. Derek e io la seguimmo.

— Abbiamo trovato dei parassiti nei vostri colleghi. Alcuni vermi o creature vermiformi. Un certo numero di microbi. Nessuno che se la cavi molto bene, ma ci provano. Se fossero più grandi, parleremmo di coraggio e intraprendenza. — Il suo accento era africano. La cosa mi sorprese. Avrei scommesso che provenisse dalle Americhe. Quel nome e quel colore. Forse i suoi genitori erano stati americani.

— Inoltre, abbiamo trovato sintomi di malnutrizione. I nostri microbi, quelli che avrebbero dovuto aiutarvi a metabolizzare la flora e la fauna locale, non hanno funzionato bene quanto avevamo sperato.

Arrivammo alla fine della banchina. Sul terreno fangoso erano passati veicoli che avevano schiacciato la vegetazione, lasciando profondi solchi. Vidi una macchina: un fuoristrada dalle ruote enormi. Era parcheggiato accanto a una delle cupole.

Liberation Minh disse: — È tutto, a parte un leggero avvelenamento da metallo. La crosta di questo pianeta è ricca.

Oh, bene, pensai. I nostri microbi erano inadeguati, nel nostro organismo si erano insediati altri microbi e venivamo avvelenati da chissà che cosa. Zinco. Rame. Manganese. Piombo.

La seguimmo in una cupola grigioazzurra. All’interno c’era un tappeto grigio tenue. Finestre esagonali guardavano sul lago della sera. C’erano stanze piene di attrezzature mediche. Entrai in una di queste e subito arrivò un tecnico, alto e con un viso da falco. — Sei pregata di svestirti, a meno che la nudità o gli uomini non ti mettano a disagio.

— No. — Indossai un camicione. Lui mi attaccò delle macchine. Facevano i consueti rumori delle macchine e lui faceva il genere di rumori umani che erano consueti durante un esame medico.

— Nessun problema lì. Né lì. Sembra che tu sia in perfetta forma… come si dice… come un bocciolo di rosa. Non so se si riferisca al colorito degli europei in buona salute. In questo caso, sarebbe un altro esempio di razzismo. Com’è difficile eliminare queste espressioni dal linguaggio!

Ci furono altri rumori, di macchinari e umani. Alla fine disse: — Non vedo alcun problema. A parte il tuo peso. È un po’ scarso, e non è mai una buona idea essere troppo magri. Cerca di mangiare un po’ di più finché il tuo peso non sarà tornato quello che dovrebbe essere.

— Okay.

— Quanto al problema delle mestruazioni, è molto interessante. Lo riferirò al comitato competente, insieme ai risultati delle tue analisi. Il bagno è alla porta accanto. Sei pregata di leggere le istruzioni sul monitor e di seguirle alla lettera. Grazie per la tua pazienza. — Mi rivolse un sorriso smagliante. — E bentornata. Dio è grande!

Se ne andò. Trovai il bagno, seguii le istruzioni, mi vestii e m’incamminai lungo il corridoio. Ormai era notte. Quando guardai fuori dalle finestre vidi solo la mia immagine riflessa e il luccichio delle luci del corridoio. Arrivai in una stanza dove c’erano delle poltroncine. Derek ed Eddie se ne stavano lì seduti. Apparivano entrambi stanchi.

— E tu come stai? — chiesi a Derek.

— Qualche graffio e qualche livido. Una brutta morsicatura. Ma per il resto benissimo.

— Una brutta morsicatura?

— Te ne parlerò più tardi.

Lanciai un’occhiata a Eddie. — E adesso?

— Siete stati assegnati alla cupola numero cinque. Vi accompagno. La cupola numero tre, quella grande, comprende i locali comuni e la sala da pranzo.

— Non questa sera. Voglio soltanto dormire.

— Sì — disse Derek.

— Okay. — Derek si alzò.

Uscimmo. Il cielo si era rasserenato. Brillavano le stelle. A est vidi un pianeta. Era giallo e così luminoso che gettava un riflesso sull’acqua: una linea gialla che ondeggiava appena. L’acqua doveva essere calma. Non c’era un alito di vento. Passammo accanto a costruzioni e macchinari. Il metallo luccicava debolmente alla luce che usciva dalle finestre.

Eddie si fermò e aprì una porta. Lo seguimmo in un corridoio fatto di lucidi pannelli gialli. Alle pareti erano appese lampade a forma di fiore. I loro gambi erano di ceramica, i petali di vetro smerigliato. Un tappeto azzurro chiaro copriva il pavimento. Ne sentii il tessuto sotto le pantofole. Soffice. I nostri piedi non facevano alcun rumore mentre seguivamo Eddie.

— Eccoci qui. — Aprì un’altra porta. Si acese una luce. Vidi una camera da letto: pareti azzurre e un tappeto beige. C’era una finestra esagonale sopra il letto. Era ad angolo, posta in una parete che si curvava.

— Questa è la tua, Lixia.

Feci il gesto della gratitudine.

— Derek sarà nella camera accanto. Il bagno è in fondo al corridoio. Posso portarvi qualcosa da mangiare, se avete fame.

— No. — Il letto aveva una coperta: un disegno floreale in bianco, blu scuro e beige. Sembrava confortante. Era la parola giusta? Confortevole. Come a casa.

— Buonanotte — disse Eddie.

Mi lasciarono. Abbassai la luce, mi svestii e mi coricai. Il letto era soffice, la coperta fresca e liscia. Pensai di infilarmici sotto, ma era uno sforzo troppo grande per me. Chiusi gli occhi.

Mi svegliai nel buio. Sopra di me c’era la finestra. Fuori brillavano le stelle. C’era qualcuno nella stanza. Non sapevo come fossi in grado di stabilirlo, ma ne ero certa. Dov’era la luce? Non ricordavo di averla spenta. Allungai il braccio con cautela, tastando la parete. Senza dubbio doveva esserci un interruttore.

— Rilassati — disse Derek. — Sono soltanto io. — La sua voce veniva dal pavimento.

— Che cosa diavolo…?

— Il letto era troppo soffice e mi sentivo solo. Volevo qualcosa di familiare.

— Oh.

— Hanno un odore buffo, Lixia. Credo che dipenda dalla dieta diversa. E dalla mancanza di pelliccia.

— È possibile.

— E c’è qualcosa nell’aria di queste costruzioni. Non sembra giusta. Si muove appena.

— Se vuoi dormire sul pavimento, per me va bene.

— Grazie.

— Che cosa ti è successo, Derek? Dopo che sei finito su quel banco di sabbia.

Lui rise. — Non molto. La terra più vicina era una palude. Ci andai a nuoto. Pensavo che forse avrei potuto trovare una pista. Sono stato morsicato.

— È quello di cui stavi parlando?

— Più o meno. È stata una specie di lucertola. Era meno lunga del mio avambraccio, ma dai vivaci colori e senza paura. Ho pensato che quei colori dovevano significare qualcosa, e doveva esserci una ragione per cui quell’animale non aveva paura. O terrorizzava gli altri animali, o sapeva di merda.


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