— Faresti meglio a parlare in inglese.

— Non lo è?

— No. Per prima cosa, non ha capezzoli. Non riesco a trovare alcuna prova che allatti. Gli animali sul continente grande lo fanno. Altra cosa, ha squame rudimentali. Sono nascoste fra le verruche e le setole.

— Davvero? — Diedi un’altra occhiata all’animale. Era difficile capire a che cosa assomigliasse. Un bradipo? Non proprio. Un formichiere coperto di aculei? No. E una lucertola pelosa? Forse. E che cosa dire di un incrocio fra un tasso e un rospo?

Niente di appropriato. Era una creatura di una specie a sé.

— Pensi che deponga uova?

— Può darsi. Non lo saprò finché non l’avrò aperto.

Decisi di non pensare a quello. — Da dove credi che provenga?

— Non ne ho la minima idea. Forse si è evoluto qui. Forse è arrivato da una delle isole. Forse è originario del continente grande. Potrebbe essere mutato dopo essere arrivato qui, aver trovato una nicchia ecologica vuota ed essersi evoluto in modo da riempirla.

"È stato un vero inferno sulla nave. Avevamo troppi interrogativi e troppo poche informazioni. Ce ne stavamo seduti lassù a tessere folli teorie, come un mucchio di ragni ai quali è stato dato un allucinogeno." Marina si alzò in piedi. "Be’, ho finito. Vado fuori a controllare le mie trappole." Sorrise. "È semplicemente sorprendente. Non ho la minima idea di quello che troverò."

Rimasi lì e osservai gli animali. Avevano tutti l’aspetto vagamente miserabile delle creature in gabbia. Forse ero io a volerlo vedere. Non mi sarebbe piaciuto essere al loro posto, ma forse a loro non importava.

Il brutto-cattivo mi guardò, poi fece qualche altro passo. Si stava innervosendo? Decisi di andarmene.

Adesso c’erano due imbarcazioni ormeggiate alla banchina, e alcune persone stavano scaricando casse. Andai ad aiutare.

Finimmo all’incirca all’ora in cui il sole tramontava. Le scogliere del fiume gettavano lunghe ombre sul campo. Il lago luccicava ancora, riflettendo il cielo verdeazzurro. Le persone che avevo aiutato mi ringraziarono. Tornai alla mia cupola e trovai Derek nel corridoio fuori dalla mia stanza. Portava un paio di pantaloni di denim bianco. Erano inzuppati. Non aveva nient’altro addosso. — Ho appena iniziato l’oracolo all’acqua corrente calda e fredda. È meglio che torni da lui. Potrebbe annegare. Va’ alla cupola degli approvvigionamenti. Procurati dei pantaloni corti taglia media e una camicia. Non può più indossare quello straccio.

— Okay. — Mi voltai e tornai da dove ero venuta.

Quando feci ritorno, l’oracolo era già uscito dal bagno e gironzolava per il corridoio con indosso un asciugamano stampato a fiori. Una delle nostre compagne di cupola, una donna asiatica, lo osservava con aria perplessa.

— Dov’è Derek? — chiesi.

— Nella stanza dell’acqua. Mi hai portato qualcosa da indossare?

— Sì. Andiamo qui dentro. — Gli feci strada verso la mia stanza. La donna scosse il capo e tornò alle sue faccende.

Lo aiutai a infilarsi i pantaloncini corti. Erano blu terrestre con un sacco di tasche. La camicia era di cotone a maniche corte, del tipo che s’infilava dalla testa, gialla con il nome della spedizione in caratteri cinesi di un rosso acceso. Dovetti aiutarlo anche con quella.

Terminato tutto quell’affannarsi, feci un passo indietro e l’osservai. La pattina era chiusa, la pelliccia solo un po’ arruffata.

Entrò Derek.

— Come sto? — s’informò l’oracolo. — Sono solenne? È così che un uomo dovrebbe vestirsi fra la vostra gente?

— Sì — rispose Derek.

— Guarda dietro di te — dissi.

L’oracolo si girò e si trovò di fronte a uno specchio. — Aiya! Se è grande! Neppure mia madre la sciamana aveva qualcosa di così grosso. — Osservò con attenzione la propria immagine riflessa, aggrottando la fronte, poi scoprendo i denti. Si tolse un granello di qualcosa fra gli incisivi superiori. — Spero che Nia ritorni presto. Sono affamato. È una fatica fare un bagno nel modo che usate voi.

— Ripetilo ancora — fece Derek.

— No — disse l’oracolo. — Una volta è sufficiente. Adesso voglio uscire. Le vostre case sono troppo piccole. Ho la sensazione che le pareti mi schiaccino. — Serrò fra loro le mani come esempio.

— Accompagnalo tu — mi disse Derek. — Io voglio cambiarmi i vestiti e fare un sonnellino.

— Okay.

Le luci del campo si erano accese. Brillavano sopra le porte e dalla sommità di pali metallici. Un fuoristrada ci passò accanto sobbalzando sul terreno pieno di solchi. Qualcuno mi chiamò. Sorrisi e agitai la mano, non riconoscendo la voce.

Arrivammo sulla banchina. C’erano luci anche qui: piccole luci gialle che illuminavano i nostri piedi e la superficie della banchina. Non ero del tutto certa di che cosa fosse fatta. Cermet? Fibra di vetro? Qualcosa di grigio e di ruvido. Dondolava sotto il nostro peso. I segmenti andavano su e giù ogni volta che arrivava un’onda.

C’era un brulicare di insetti attorno alle luci. Erano tutti della stessa specie: sottili corpi verdi e grandi ali trasparenti. Le ali luccicavano.

— Sono quasi disposto a mangiare quelli — dichiarò l’oracolo.

Guardai lungo la spiaggia. Una persona emerse dall’oscurità portando una filza di pesci. La chiamai: — Nia?

— Li-sa! Mi serve un coltello.

Cercai nella mia tasca. — Ne ho uno.

— Ho trovato un posto per accamparci. Una grotta. — Si voltò e fece un cenno della mano in direzione della scogliera, visibile solo come una zona buia fra le luci del campo e le stelle. — Ci sono acqua e legna secca.

— Potete benissimo restare con noi — dissi.

Lei fece il gesto che significava "grazie, ma no grazie".

— Allora posso venire io con voi?

— Perché?

Esitai. Come spiegarlo? La giornata era stata troppo intensa. Avevo ricevuto troppe informazioni e avevo bisogno di pace e di silenzio. Di un ambiente che fosse familiare.

— Vieni pure con noi — disse l’oracolo. — Non è necessario che sappiamo il perché.

Attraversammo il campo, tenendoci nell’ombra, e ci inerpicammo su per la scogliera. Doveva esserci un sentiero, ma non riuscivo a vederlo. Seguii il rumore che faceva Nia, sfiorando rami nel passare e arrampicandosi fra le rocce. Dietro di me l’oracolo boccheggiava. Ansimavo anch’io.

Nia disse: — È questo il posto.

Mi fermai.

— Resta dove sei, Li-sa. Lo so che i tuoi occhi sono quasi inutili nel buio.

Ubbidii.

— Aiya! - esclamò l’oracolo. — Che salita! Non mi piace il modo in cui calzano questi indumenti. Sono troppo stretti.

Comparve una fiamma. Scorsi Nia, che soffiava stando accoccolata. La fiamma si ravvivò. Nia si dondolò all’indietro sui calcagni e allungò la mano per prendere una manciata di ramoscelli. Con cura, uno dopo l’altro, li mise nel fuoco che ardeva al centro della radura. Su un lato c’era la scogliera del fiume, che s’innalzava perpendicolare e quasi priva di vegetazione. Scorsi la grotta. Era assai poco profonda, solo una sporgenza rocciosa in realtà.

Il resto della radura era fiancheggiato da alberelli stentati. Sui tronchi e sui rami crescevano rampicanti. Interi alberi ne erano avvolti o ammantati. Le foglie dei rampicanti erano color rosso porpora.

Nia disse: — Dammi il tuo coltello.

L’aprii e glielo porsi. Lei pulì i pesci e li avvolse nelle foglie, appoggiandoli fra la brace ai margini del fuoco.

— C’è dell’acqua qui vicino. Ho dimenticati di chiederti qualcosa in cui metterla.

— Non ho sete — dissi, e mi sedetti.

— Che cosa succederà adesso, Li-sa? La tua gente se ne andrà e ti porterà con sé?

— Non ancora. — Mi cinsi le ginocchia con le braccia. Guardai il fuoco e pensai che doveva essere riuscita a salvare la sua attrezzatura per accendere il fuoco dopo che la canoa si è capovolta. Oppure era riuscita a trovare delle pietre che funzionassero altrettanto bene quanto il suo acciarino e la sua pietra focaia? — Loro vogliono scambiare doni. Dicono che c’è un villaggio a nord-ovest di qui, su un piccolo fiume che sfocia nel grande fiume. Hanno intenzione di andarci e di chiedere alle abitanti se possono rimanere in questo territorio, almeno per un po’ di tempo.


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