– Perché no? – mormorò lui. – Alla lunga pagheremo anche per questo e del resto dubito che il barone avveleni i suoi clienti, perché è una cosa che rovina gli affari… e gli affari sono ciò che domina qui, un capitalismo permissivista portato all'estremo limite.

Scelta una tartina rosa che aveva la forma di un loto, vi abbinò una misteriosa bevanda dall'aspetto nebuloso e Thorne lo imitò. La tartina risultò essere purtroppo fatta di pesce crudo che strideva sui denti, ma Miles la ingoiò lo stesso, non potendo fare altrimenti; la bevanda si rivelò altamente alcoolica e dopo un piccolo sorso per cancellare il sapore della tartina Miles l'abbandonò con rincrescimento sulla prima superficie piana che riuscì a trovare, perché il suo corpo minuto rifiutava di assimilare a dovere l'alcool e lui non aveva nessun desiderio di incontrare il Barone Fell in stato semicomatoso oppure in preda ad un'ilarità irrefrenabile. Più fortunato da un punto di vista metabolico Thorne continuò invece a tenere in mano il bicchiere.

In quel momento una musica davvero straordinaria cominciò a scaturire da un punto imprecisato. Si trattava di un vasto assortimento di ricche e complesse armonie e Miles non riuscì ad identificare lo strumento… anzi, gli strumenti che la producevano. Lui e Thorne si scambiarono un'occhiata e di comune accordo si spostarono nella direzione da cui proveniva il suono, aggirando una scala a spirale fino a trovare, sullo sfondo della panoplia formata dalla stazione, dal pianeta e dalle stelle, il celato musicista. Nel guardarlo Miles sgranò involontariamente gli occhi, pensando che questa volta i chirurghi della Casa Ryoval si erano spinti davvero troppo oltre.

Piccole scintille colorate e decorative definivano i contorni del campo sferico di una grande bolla al cui interno la gravità era nulla e nella quale fluttuava una donna, le cui quattro braccia color avorio spiccavano sullo sfondo degli abiti di seta verde mentre lei suonava. La donna indossava un'ampia giacca simile ad un kimono fermata in vita da una cintura e abbinata ad un paio di pantaloncini corti dai quali la seconda coppia di braccia emergeva là dove ci sarebbero dovute essere le gambe; i capelli erano corti, morbidi e neri come l'ebano, gli occhi erano chiusi e il volto roseo aveva la stessa serenità di quello di un angelo, elevata, remota e terrificante.

Lo strano strumento che la donna suonava era fisso nell'aria davanti a lei, una piatta e lucida struttura di legno in cui era inserito in alto e in basso uno stupefacente assortimento di fili tesi e lucenti, con la cassa acustica nel centro; la donna colpiva quei cavi con martelletti rivestiti di feltro che muoveva con rapidità incredibile su entrambi i lati, le mani superiori che agivano in contrappunto rispetto a quelle inferiori fino a produrre una cascata di musica.

– Buon Dio, è una quaddie – esclamò Thorne.

– Una cosa?

– Una quaddie, ed è molto lontana da casa.

– Non… non è un prodotto locale?

– Assolutamente no.

– Penso di esserne sollevato. Allora da dove diavolo viene?

– Circa duecento anni fa… più o meno nell'epoca in cui sono stati inventati gli ermafroditi – spiegò Thorne, mentre sul volto gli affiorava per un istante un'espressione stranamente asciutta, – c'è stata quest'ondata di esperimenti genetici sugli umani, condotta sulla scia dello sviluppo del pratico replicatore uterino. Subito dopo è stata varata in tutta fretta una legge che poneva delle restrizioni, ma nel frattempo qualcuno aveva già pensato a creare una razza di individui che potessero vivere in assenza di gravità… poi si è scoperto come produrre la gravità artificiale e i quaddie non hanno più avuto ragione di esistere. Di conseguenza sono fuggiti… e i loro discendenti sono andati a finire in un luogo sperduto, molto al di là della Terra rispetto a noi del Nesso. Corre voce che si tengano molto isolati ed è davvero insolito vederne uno al di qua della Terra. Ora però ascoltiamo – concluse, perdendosi nella musica con le labbra socchiuse.

Insolito quanto trovare un ermafrodita betano in una flotta mercenaria, pensò Miles, ma la musica della donna meritava veramente un'attenzione assoluta, anche se ben pochi in quell'accolita di paranoici sembravano rendersene conto, il che era una vergogna. Miles non era un musicista ma perfino lui poteva avvertire l'intensità della passione di quell'esecuzione che andava al di là del talento e sfiorava la genialità, quella di un genio evanescente che intesseva i suoi suoni di tempo e, come il tempo, li faceva recedere al di fuori della vana stretta dell'ascoltatore fino ad affidarli soltanto alla memoria.

Il fluire della musica cedette il posto ad un'eco tormentosa e poi al silenzio, ed allora la musicista aprì gli occhi azzurri mentre il suo viso perdeva la propria espressione eterea e tornava ad essere semplicemente umano, teso e triste.

– Ah – sussurrò Thorne, infilandosi il bicchiere vuoto sotto il braccio e sollevando le mani come per applaudire… ma all'ultimo momento si fermò, esitando a dare nell'occhio in quella camera piena di gente indifferente.

Miles, dal canto suo, era deciso a non farsi notare.

– Forse le puoi parlare – suggerì, come alternativa.

– Tu credi? – chiese Thorne, illuminandosi in viso, poi si mosse in avanti con un certo imbarazzo, chinandosi per posare il bicchiere sul pavimento in modo da poter sollevare e appoggiare le mani alla bolla scintillante – Uh… – cominciò, esibendo un sorriso al tempo stesso affascinato e propiziatorio, ma la voce gli si spense in gola.

Buon Dio, Bel a corto di parole? Non pensavo che avrei mai visto una cosa del genere, pensò Miles.

– Domandale come chiama quello strumento che suona – suggerì ad alta voce, per aiutare il compagno.

La donna a quattro braccia piegò il capo da un lato con espressione incuriosita e fluttuò con grazia oltre lo strumento per librarsi cortesemente davanti a Thorne, dall'altro lato della barriera lucente.

– Sì? – fece.

– Come chiami quello straordinario strumento? – domandò Thorne.

– È un salterio doppio a martelletto, signora… signore… – Nel timore di aver arrecato un'offesa, la donna perse per un momento il suo tono di un servitore che si rivolgeva ad un ospite. – Ufficiale.

– Sono il Capitano Bel Thorne – le venne subito in aiuto Bel, che stava cominciando a ritrovare il consueto disinvolto equilibrio, – al comando dell'incrociatore veloce dendarii Ariel, al tuo servizio. Come hai fatto ad arrivare fin qui?

– Mi sono pagata lavorando il viaggio fino alla Terra. Ero alla ricerca di un impiego e il Barone Fell mi ha assunta – spiegò la donna, scuotendo il capo come per respingere qualsiasi critica sottintesa, anche se Bel non ne aveva avanzate.

– Sei una vera quaddie?

– Hai sentito parlare del mio popolo? – chiese lei, inarcando le sopracciglia scure in un'espressione sorpresa. – La maggior parte delle persone che incontro qui pensa che io sia una stranezza artefatta - aggiunse, con una sfumatura di amarezza sardonica nella voce.

– Essendo un Betano – spiegò Thorne, schiarendosi la gola, – ho studiato la storia dell'iniziale esplosione della genetica con un interesse alquanto personale. Vedi, io sono un ermafrodita betano – aggiunse, schiarendosi nuovamente la gola e attendendo con ansia una reazione.

Dannazione, Bel non aspettava mai le reazioni altrui, si limitava a continuare per la sua strada e a lasciare che accadesse quel che doveva accadere.

Non interferirei in questo per tutto l'oro del mondo, si disse Miles, ritraendosi leggermente e sfregandosi le labbra per nascondere un sorriso che minacciava di affiorarvi alla vista di tutti gli atteggiamenti più mascolini di Thorne che tornavano ad asserirsi interiormente ed esteriormente.

La donna piegò il capo con fare interessato e sollevò una delle mani superiori per poggiarla contro la barriera scintillante, non lontano da quella di Bel.


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