Anna guardò davanti a sé. Alla fine della stanza c’erano tre persone con abiti rossi e gialli. Aspettavano con la consueta calma hwarhath. Persone massicce, larghe, solide.

Nicholas proseguì con la sua voce morbida. — Ci vuole parecchio per indurre delle matrone hwarhath a lasciare il loro pianeta natio. Ma il generale è furbo. Gli avevano chiesto di farmi portare a Ettin ma lui aveva trovato scuse dopo scuse per non farlo. E così erano venute loro. Sono di una stirpe molto ambiziosa e il generale è il maschio Ettin più importante della sua generazione. Le zie non volevano che accadesse nulla al loro massimo rappresentante nel mondo degli uomini.

Raggiunsero le tre persone. Le loro vesti erano formate da lunghi e stretti pannelli cuciti insieme alle spalle. In fondo, i pannelli erano separati e legati qui e là da finissime catenelle d’oro. Quando le persone si muovevano, i pannelli si spostavano e forse fluttuavano perfino, ma i varchi tra di loro non aumentavano mai.

Il materiale di cui erano fatti ricordava ad Anna il broccato di seta. Ogni capo aveva un disegno diverso. Su uno sembravano esserci dei fiori; su un altro delle linee geometriche; l’ultimo raffigurava degli animali, ma Anna non avrebbe potuto dirlo con certezza.

Nicholas si fermò, tirando fuori le mani dalle tasche e lasciandole ricadere lungo i fianchi. La sua abituale irrequietezza era cessata. Se ne stava lì quieto, lo sguardo basso. Perfino così, con la testa bassa, era più alto degli alieni di dieci centimetri buoni, ma le dimensioni di quei corpi lo facevano apparire fragile.

Dovevano essere quasi certamente delle donne, sebbene i visi… larghi, smussati e coperti di pelo… non apparissero femminili, né lo erano i dorsi, o le braccia, nude, pesanti e pelose. Portavano tutte dei braccialetti: ampi, pesanti, semplici. Anna fu quasi certa che fossero d’oro.

— Non guardi direttamente — mormorò Nicholas.

Anna abbassò lo sguardo.

Una delle aliene parlò con una voce profonda… molto profonda.

— Vi presento — disse Nicholas. — La donna a destra è Ettin Per. Accanto a lei, c’è Ettin Aptsi. E quella a sinistra è Ettin Sai. Sono sorelle e leader correnti della stirpe Ettin. Ettin Gwarha è il loro nipote.

La terza donna… Sai… parlò con una voce che era meno profonda, più da baritono che da basso.

— Comprende l’inglese sebbene non lo parli correntemente. Mi ha chiesto di dirle che capisce che non voleva essere scortese quando le ha fissate. I costumi umani sono diversi.

La prima donna… Ettin Per, quella con la voce molto profonda… parlò di nuovo.

Nicholas disse: — Le dà il benvenuto negli alloggi delle donne. Sono ansiose di poter parlare con lei. Sono interessate al genere umano e alle donne umane in particolare.

— Dica loro che sono felice di essere qui — disse Anna. — E anch’io sono ansiosa di parlare con loro. È per questo che il generale mi ha fatta venire?

— Sì — rispose Ettin Sai.

Parlò la terza donna… Aptsi. Altro baritono.

Nicholas sollevò la testa e la guardò direttamente, rispondendo nella lingua aliena. Aptsi allungò una mano grigia e pelosa e lo toccò leggermente su una spalla.

— Siamo stati congedati — disse Nicholas. — Andiamo.

Lasciarono le tre donne, ferme come statue delle tre Parche. Nicholas condusse Anna in un’altra stanza, un po’ più stretta della prima ma dello stesso materiale. Qui non c’erano arazzi. Raggiunsero una porta fatta di un materiale argenteo. Una piastra quadrata… sempre di metallo ma più scuro e anonimo …era incassata nel muro accanto alla porta.

Nicholas la indicò. — Metta il palmo della mano qui e prema con decisione. Bene. Adesso si aprirà per lasciare entrare due sole persone: lei e io.

Al di là della porta, c’era una stanza quadrata. Il pavimento era di legno grigio pallido, la parte inferiore della pareti era coperta da pannelli dello stesso legno. Aveva una strana iridescenza. Come cosa? Scaglie di pesce? Madreperla?

Anna toccò il legno. Sembrava davvero legno ma un legno che fosse stato sott’acqua. Colori pallidi fluttuavano sulla lucida superficie.

— Le dispiace se mi siedo? — domandò Nicholas.

— Vada avanti. — Anna depose la borsa e guardò la porta. Si era chiusa.

Nicholas prese posto in una larga sedia bassa e allungò le gambe. — Conosco le zie da più di dieci anni, ormai. Non mi sento ancora pienamente a mio agio con loro. Aptsi è la più facile con cui andare d’accordo. Mi ha chiesto come stavo e ha detto che le faceva piacere rivedermi. — Nicholas la guardò, sorridendo. — Furono loro ad approvarmi dopo quel colloquio di dieci anni fa. Aptsi e Per. Decisero che Gwarha poteva tenermi. Mi sentivo come una specie di cagnolino non molto attraente. Sa, il bastardino che i bambini portano a casa. "Solo ricorda, Gwarha, di averne cura, e se mai ci fosse qualche problema…"

— Sono molto grosse — disse Anna.

— Sì. Forse in seguito le parlerò del dimorfismo sessuale del Popolo ma non adesso. Ha una cucina e un bagno. Ho potuto controllare. Gli impianti potranno sembrarle strani ma le assicuro che funzionano e che possono essere usati dagli umani. In cucina c’è del cibo, parte del bottino del generale alla fine dei negoziati precedenti. Ci sono trasformatori elettrici e tutti i punti di accesso necessari. Se ha qualcosa che funziona a elettricità, può tranquillamente infilare la spina. C’è un sistema interno di comunicazione. Ho scritto qualche istruzione su come adoperarlo e su come mettersi in contatto con me, come pure con il suo gruppo. E ho tradotto le istruzioni su cosa fare in caso di emergenza: mancanza di energia, di gravità, di pressione atmosferica.

— Accade spesso?

— Mai, secondo la mia esperienza. Ma legga le istruzioni e le memorizzi.

— Se dovesse accadere qualcosa, questo è il luogo più sicuro. I hwarhath hanno fatto in modo che questa parte della stazione sia molto solida. Tutti i sistemi prevedono molte vie d’uscita e sarà qui che le squadre di soccorso arriveranno per prime. I hwarhath proteggono molto seriamente le loro donne. E a proposito della stazione, le darò qualche informazione. È stata costruita per questa serie di negoziati. Non è vicina a nulla che interessi i hwarhath e i hwarhath non la usano normalmente come punto di trasferimento. C’è molto poco da sapere, qui. Se i suoi colleghi decidessero di giocare allo spionaggio, perderebbero soltanto tempo e irriterebbero i hwarhath.

— La stazione è immensa — disse Anna. — L’hanno costruita per una sola serie di negoziati?

Lui si strinse nelle spalle. — In questo momento è in gran parte vuota. Se i negoziati avranno successo, il Popolo avrà quasi certamente bisogno di altro spazio. Se le cose non andranno bene… be’, immagino che le cariche esplosive siano già piazzate.

Anna non voleva pensare a una cultura che costruisse delle cose tanto grandi in meno di due anni, e con la consapevolezza di dover anche essere costretti a distruggerle. Cambiò argomento.

— Non ci saranno giochi di spie. È stato detto chiaramente a quelli della Mi di tenere a posto le loro sporche mani.

— Si giri — disse Nicholas.

Lei lo fece. C’era un rettangolo fatto di luci nella parete sopra i pannelli di legno: tre luci verticali e cinque orizzontali. Erano tutte accese e incolori tranne due nella fila orizzontale che avevano una colorazione ambrata.

— È il suo monitor di sicurezza. Se tutte le luci sono senza colore, allora significa che le porte sono tutte chiuse a chiave e il suo sistema di comunicazione è disattivato, e nessuno è in ascolto o in osservazione. Se qualcuna delle luci è ambrata, allora non è al sicuro.

— Mi sta dicendo la verità? — domandò Anna.

— La mia reputazione di bugiardo è esagerata. Lei ha dei microfoni, Anna, e non sono alieni. La sicurezza del generale è venuta qui, stamattina, ne sono quasi certo, e ha fatto un controllo. Al primo ikun. Queste stanze erano sicure prima che lei ci mettesse piede.


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