Il tronco era stato aperto, in una lunga linea che andava dalla base del collo fino all'inguine, passando dal centro del torace. La camicia del defunto era stata strappata — non tagliata, ma strappata, apparentemente prima che iniziasse il taglio. I bottoni erano saltati via e la camicia era aperta. I due lembi sembravano ali, ormai irrigidite, scure e confuse nella grande pozza di sangue che circondava il corpo.
Lo sterno era stato spaccato in due e le costole sparse a destra e a sinistra spuntavano da…
… Dal torso vuoto. Gli organi erano stati asportati. Elliot sapeva abbastanza di anatomia da riconoscere il cuore e i polmoni a poca distanza dal corpo. Gli altri pezzi, ormai tutti coperti di croste, erano sicuramente milza, fegato, reni e altro, ma Elliot non era in grado di distinguerli.
Nella cavità aperta del torace c'era ogni sorta di tessuto connettivo bianco-blu, e in alcuni punti si vedeva anche la colonna vertebrale.
L'ultima cosa che il Sergente Elliot esaminò fu il volto ormai privo di mascella e completamente bianco fino al labbro superiore che sembrava di cera. Elliot era soltanto al suo secondo turno con l'entourage dei Tosok; ancora non conosceva molti degli umani, ma questo gli era abbastanza familiare.
Era il tizio della televisione.
Cletus Calhoun.
Frank Nobilio stava facendo di nuovo quel sogno. Era all'università, negli anni Sessanta, con i pantaloni a zampa d'elefante e una camicia a fiori. Mentre camminava lungo un corridoio un altro studente, passando, gli augurava buona fortuna.
«Per cosa?» chiedeva Frank.
«Per l'esame, naturalmente» diceva lo studente.
«Esame?»
«Biochimica.»
Biochimica. Oh Cristo. Frank ricordava di essersi iscritto al corso all'inizio dell'anno accademico, ma chissà perché aveva dimenticato di andare alle lezioni. E quel giorno c'era l'esame finale — un esame per cui non aveva affatto studiato. Come diavolo pensavano che sarebbe…?
Frank stava riprendendo coscienza. Aveva finito l'università da decenni, ma faceva sempre quel dannato sogno. I dettagli cambiavano, a volte aveva dimenticato di frequentare Storia americana, a volte Statistica — ma la situazione continuava a ripetersi e…
Bussavano con insistenza alla porta. Un colpo precedente doveva averlo svegliato.
«Cosa c'è?» gridò Frank. La voce era roca; aveva dormito con la bocca aperta.
«Dottor Nobilio? È la polizia.»
Frank si districò dalle lenzuola, si alzò traballando in piedi e raggiunse la porta. La aprì e strizzò gli occhi per la luce nel corridoio. «Sì?»
Nel corridoio c'erano due uomini. Uno era il sergente Ellis, Elliot, o qualcosa del genere, in uniforme. L'altro non lo conosceva: un uomo compatto con la carnagione olivastra, forse sui quarantacinque. Aveva i capelli neri e mossi, gli occhi marroni e dei baffi ordinati. L'uomo mostrò il suo tesserino. «Dottor Nobilio, sono un detective, il tenente Jesus Perez, della polizia di Los Angeles. Mi spiace disturbarla, signore, ma c'è stato un omicidio.»
Frank sentì la sua mascella abbassarsi. «Quale?»
«Prego, signore?»
«Quale Tosok è stato ucciso?»
Perez scosse la testa. «Non è un Tosok, signore. È un umano.»
Frank fece uno sguardo sollevato. Perez lo guardò scioccato. «Scusate» disse Frank. «Mi… mi dispiace. È solo che, Cristo, non so che succederebbe se uno dei Tosok venisse ucciso.»
«Vorremmo che lei identificasse il corpo, signore.»
Il cuore di Frank ebbe un sussulto. Si stava ancora svegliando. «Volete dire che è qualcuno che conosco?»
«Probabilmente, signore.»
«Chi?»
«Pensiamo che si tratti di Cletus Calhoun, signore.» Frank si sentì come se gli avessero dato un pugno nello stomaco.
La commozione generale aveva svegliato anche altri umani. Quando Perez arrivò con Frank nella stanza di Clete, Packwood Smathers e Tamara Slynova erano già lì, sulla soglia, oltre la pozza di sangue. I capelli bianchi di Smathers erano scompigliati, e Frank non aveva mai visto Slynova struccata. Frank era in pigiama; Smathers aveva un accappatoio sul pigiama, e Slynova sembrava indossare soltanto un accappatoio.
Frank si avvicinò alla porta e guardò dentro. Due uomini della scientifica di L.A. erano già al lavoro. Il corpo di Clete era stato coperto con un lenzuolo, ormai macchiato di sangue, e rialzato nel punto in cui le costole spuntavano dal tronco. Frank guardò il viso del suo amico, senza la parte inferiore e bianco come il marmo. Si trattenne a mala pena dal vomitare.
«Allora?» disse Perez.
«È lui.»
Perez annuì. «Era quello che pensavamo. Gli abbiamo trovato addosso il portafogli. Lei sa chi è il parente più vicino?»
«Non è sposato. Ma ha una sorella — Daisy, credo — nel Tennessee.»
«Ha idea di chi potesse volerlo morto?»
Frank guardò Packwood Smathers, poi di nuovo il corpo. «No.»
Si recò al secondo, al quarto e al sesto piano — quelli abitati dai Tosok — accompagnato da uno scienziato tedesco, Kohl. Andarono per i corridoi fermandosi a ogni stanza occupata e chiedendo al Tosok che era dentro di seguirli. Gli alieni uscirono e si diressero tutti verso il salone che era al centro del sesto piano. Erano le 4:30 del mattino.
I Tosok aspettarono pazientemente. Frank fece un rapido conteggio — ce ne erano solo sei. Dunque: il capitano Kelkad, e poi Rendo, Torbat e…
«Scusate se vi ho fatto aspettare» disse una voce. «Che succede?»
Si voltò ed ebbe un shock quasi paragonabile a quando aveva visto il corpo scempiato di Clete. Dal corridoio stava arrivando, con passi di due metri, un Tosok che non aveva mai visto prima, con la pelle argentata.»
«Chi… chi sei?» disse Frank.
«Hask.»
«Ma… ma Hask ha la pelle bluastra.»
«Aveva» disse il Tosok. «Oggi ho fatto la muta.»
Frank lo guardò. In effetti aveva l'occhio frontale sinistro arancione e il destro verde. «Oh,» disse Frank «perdonami.»
Hask si andò a sedere. Frank guardò i sette alieni. Avevano visto molto della Terra. Anche se era stato fatto uno sforzo per mostrare loro il lato migliore dell'umanità, di sicuro avevano avuto modo di osservare anche i lati peggiori. I Tosok avevano conosciuto la povertà e l'inquinamento, e sapevano che la sicurezza era lì per proteggerli nel caso che un essere umano volesse far loro del male.
Però fino ad allora la violenza di cui l'umanità era capace era rimasta un concetto astratto. Ma adesso dovevano sapere.
«Amici miei,» disse Frank a quel mare di occhi rotondi «ho delle tristi notizie.» Fece una pausa. Dannazione, avrebbe voluto che i Tosok facessero delle espressioni; non era ancora bravo a decifrare il movimento dei loro ciuffi. «Clete è morto.»
Ci fu un lungo silenzio.
«Gli umani muoiono senza preavviso?» chiese Kelkad. «Sembrava in buona salute.»
«Non è morto per cause naturali» disse Frank. «È stato assassinato.»
Sette computer tascabili suonarono, leggermente fuori sincronia.
«Assassinato» ripeté Frank. «Significa ucciso da un altro essere umano.»
Kelkad emise un piccolo suono. Il suo computer lo tradusse come «Oh».