Mostrarono ad Hask diversi oggetti, dicendone i nomi ad alta voce. Il Tosok pescò in una delle sue tante tasche e tirò fuori il piccolo congegno rettangolare che lo aveva aiutato con le traduzioni. Per la prima volta Frank e Clete lo videro bene. L'oggetto era fatto di un materiale che somigliava più alla ceramica che alla plastica o al metallo. Sopra c'era una pulsantiera a croce, con sei pulsanti verdi per ogni braccio e uno blu al centro, mentre sul lato c'era una fessura a tre fori che doveva servire per qualche tipo di connettore. La parte posteriore di questo computer tascabile aveva uno schermo, e sembrava che l'apparecchio fosse anche uno scanner — Hask riusciva a visualizzare la struttura interna degli oggetti che Frank e Clete gli mostravano, così come poteva ingigantirne le dimensioni per studiare i dettagli più minuti.
Gli umani fecero anche dei disegni su un blocco per illustrare una serie di concetti matematici e fisici. A un certo punto Clete — che come artista era molto più dotato di Frank — disegnò la Terra, con un oggetto in orbita polare intorno.
«Cos'è quello?» chiese Frank.
«Nave» disse Hask.
«Quanti Tosok?»
«Sei.»
«Sei più Hask?»
«Sei più Hask uguale sette.»
«Nave grande» disse Frank.
«Nave grande per grande camminata» disse Hask.
«Per un grande viaggio» lo corresse Frank.
«Per un grande viaggio» ripeté Hask.
Non avevano ancora un vocabolario sufficiente per chiedere all'alieno da dove venisse, ma…
«Quanto lungo il viaggio?» chiese Frank.
«Lungo. Grande lungo.»
Frank andò all'oblò e fece cenno ad Hask di seguirlo. Hask mise di nuovo le lenti a specchio sui suoi occhi frontali e si avvicinò a Frank. Frank indicò il Sole e poi fece un movimento circolare con il braccio, cercando di esprimere il concetto del giorno.
«No» disse Hask. Era frustrante. A volte Hask afferrava velocemente quello che Frank intendeva; altre volte ci volevano ripetuti tentativi per spiegare anche un concetto semplice. Ma Hask tornò verso il tavolo e prese il pennarello dalla mano di Clete — il primo contatto fisico diretto tra umani e Tosok. Poi prese il disegno della Terra che Clete aveva fatto, lo sollevò con la mano anteriore, e con la mano posteriore indicò l'oblò e il Sole. Poi Hask fece fare al disegno della Terra un movimento circolare.
«Sta dicendo che non è una questione di giorni, Frankie» disse Clete. «È una questione di anni.»
«Quanti?» disse Frank. «Quanti anni?»
Hask usò la mano anteriore per manipolare i pulsanti del suo computer tascabile. L'apparecchio disse qualcosa. Hask premette un altro pulsante, e questa volta il computer rispose in inglese. «Duecentoundici.»
«Avete viaggiato per duecentoundici anni?» disse Frank.
«Sì» disse Hask.
Frank guardò Clete, che era rimasto a bocca aperta per lo stupore.
Hask apprese l'inglese parlato con una velocità fenomenale. Fra le altre cose Frank aveva portato con sé l'edizione integrale del Dizionario Random House, seconda edizione, su cd rom, su cui era registrata anche la pronuncia dei vocaboli. Non c'era modo di interfacciare elettronicamente il computer tascabile di Hask con il notebook multimediale di Frank; ma mentre lui dormiva, Hask, che non sembrava avere alcun bisogno di riposo, lavorò sui duemila disegni che erano nel ed, e ascoltò la pronuncia delle parole che per lui avevano senso. Quando Frank si alzò, la mattina dopo, Hask aveva decisamente ampliato il suo vocabolario. Frank non sapeva dire quanto ciò fosse avvenuto grazie alle doti innate di Hask e quanto al computer portatile. Hask aveva spiegato che il computer poteva comunicare direttamente con lui, a quanto sembrava attraverso un ricevitore installato in uno dei quattro ben distribuiti orifizi auricolari dell'alieno (orifizi che erano resi quasi invisibili dal reticolato di squame).
I nomi concreti erano i più facili da imparare per lui — Frank aveva iniziato a indicarlo come lui, anche se non ne avevano ancora capito il sesso. I sinonimi però confondevano Hask — l'idea di avere più parole per esprimere esattamente lo stesso concetto gli era completamente estranea. Clete, che stava tentando di intuire tutto ciò che poteva sul mondo di Hask, aveva suggerito a Frank che questo significava che la cultura Tosok era sempre stata monolitica, con un'unica lingua — molti dei sinonimi inglesi erano stati adottati da altre lingue. Frank usò questo come un ulteriore argomento per continuare a insegnare ad Hask soltanto l'inglese, nonostante le continue lamentele dei russi.
La Kitty Hawk era ancora a due giorni da New York. Hask sarebbe potuto arrivare lì da solo con la sua navetta da sbarco, oppure essere portato da uno degli aerei che erano sulla nave. Ma era sembrato meglio dare un po' di tempo all'umanità in generale e alle Nazioni Unite in particolare per prepararsi all'arrivo dell'alieno.
«C'è una gerarchia tra i sette Tosok?» chiese Frank. 'Gerarchia' poteva sembrare una parola grossa, ma era un concetto semplice che avevano già usato diverse volte discutendo di principi scientifici, come il rapporto tra pianeti, stelle e galassie.
«Sì.»
«Sei tu al vertice?»
«No. Kelkad è al vertice.»
«È il capitano della nave?»
«Qualcosa di simile.»
Frank bevve un sorso d'acqua. Iniziò a tossire e Clete si avvicinò per dargli un colpo sulle spalle, ma Frank alzò una mano e tossì ancora. «Scusate» disse con gli occhi arrossati. «Mi è andata di traverso.» Clete aspettò un attimo per assicurarsi che Frank stesse bene, poi tornò a sedersi al suo posto.
«Chi dovrebbe parlare con le Nazioni Unite?» chiese Frank riprendendosi.
Il ciuffo di Hask si muoveva in modo strano; era chiaro che non sapeva come gestire l'attacco di tosse. Ma alla fine rispose. «Kelkad.»
«Scenderà dalla nave?»
«Andrò a prendere lui e gli altri.»
«Sulla vostra navetta da sbarco?»
«Sì.»
Dall'altra parte della stanza Clete saltò su. «Posso venire con te?»
Hask non aveva bisogno di girarsi; aveva gli occhi anche sul retro della testa. Non c'era modo di dire se avesse trovato la domanda impertinente. «Sì.»
Frank lanciò un'occhiata furente a Clete. Se qualcuno doveva andare, quello era Frank. Ma erano d'accordo che avrebbero minimizzato qualsiasi segnale di conflitto umano — Hask non aveva capito il diverbio tra Sergei e Frank sul ponte, ma sicuramente lo aveva registrato e riascoltato ora che conosceva l'inglese. Ancora non sapevano perché i Tosok fossero venuti sulla Terra, ma se era come Frank sperava — per invitare la Terra a entrare a far parte della comunità delle razze intelligenti di questa parte della galassia — allora l'ultima cosa da fare era enfatizzare l'incapacità umana di andare d'accordo. Era già sufficientemente negativo che si fossero presentati a incontrare gli alieni con una portaerei militare e un sottomarino nucleare.
Però…
«Posso venire anch'io?» chiese Frank.
«Non c'è spazio» disse Hask. «La capsula è per otto; c'è spazio solo per uno.»
«Se la vostra nave ha un equipaggio di sette, perché la capsula è per otto?» chiese Frank
«Era di otto. Uno via.»
«Uno morto?» chiese Frank.
«Uno morto.»
«Mi dispiace.»
Hask non disse niente.