Ma perché aspettare? E perché giocare a quel modo?

«… saremmo molto interessati a vedere il… come si chiama?, Tempio a mezz’aria?» diceva in quel momento l’arcivescovo Breque. «Un nome dal suono affascinante.»

Il reggente Tokra aveva corrugato la fronte. «Potrebbe essere difficile organizzare una visita, eccellenza» disse. «Si avvicina la stagione dei monsoni, le funivie saranno molto pericolose e perfino la via Alta è rischiosa durante le tempeste invernali.»

«Sciocchezze!» intervenne il Dalai Lama, senza badare all’occhiata di fuoco che il reggente gli lanciò. «Saremo ben lieti di dare il nostro aiuto per organizzare una simile spedizione. Dovete proprio vedere il Hsuan-k’ung Ssu. E tutto il Regno di mezzo, anche fino al T’ai Shan, il Grande Picco, dove la scala dei ventisettemila gradini porta al Tempio dell’imperatore di Giada e della principessa delle Nubi azzurre.»

«Santità» mormorò il lord camerlengo, a testa china, ma solo dopo avere scambiato col reggente un’occhiata «dovrei ricordarle che il Grande Picco del Regno di mezzo è accessibile per funivia solo nei mesi primaverili, a causa dell’alta marea di nuvole tossiche. Per i prossimi sette mesi il T’ai Shan sarà inaccessibile al resto del Regno di mezzo e del mondo.»

Il sorriso fanciullesco del Dalai Lama svanì, non, pensai, per irritazione, ma per il dispiacere di essere trattato con condiscendenza. Quando il bambino replicò, aveva nella voce un affilato tono di comando. Non avevo molta esperienza di bambini, ma avevo conosciuto parecchi ufficiali dell’esercito e se questo significava qualcosa, quel bambino sarebbe diventato un uomo formidabile, un vero comandante.

«Lord camerlengo» disse il Dalai Lama «anch’io sono al corrente della chiusura della funivia. Tutti ne sono al corrente! Ma so pure che ogni inverno alcuni intrepidi aviatori fanno il volo dal Sung Shan al Grande Picco. Altrimenti come potremmo condividere i nostri editti ufficiali con i nostri amici tra i fedeli sul T’ai Shan? E alcuni parapendii posso accogliere più di un solo aviatore; anche passeggeri, giusto?»

Il lord camerlengo si era piegato in un inchino così profondo da strisciare, pensai, la fronte sulle piastrelle. Rispose con un tremito nella voce: «Sì, sì, certo, Santità, certo. Sapevo che era informata, Santità. Intendevo solo… intendevo solo dire…».

Il reggente Tokra intervenne, brusco: «Sono sicuro che ciò che il lord camerlengo intendeva dire, Santità, è questo: per quanto alcuni aviatori compiano quel viaggio ogni anno, il numero di quelli che muoiono nel tentativo è sempre elevato. Non vogliamo di certo mettere in grave pericolo i nostri onorati ospiti».

Il Dalai Lama tornò a sorridere, ma fu un sorriso in qualche modo più maturo, più astuto, quasi beffardo, di quello da bambino, di qualche minuto prima. Si rivolse al cardinale Mustafa: «Lei non ha paura di morire, vero, eminenza? Proprio questo è lo scopo della sua visita qui, giusto? Mostrarci le meraviglie della risurrezione cristiana».

«Non l’unico scopo, Santità» mormorò il cardinale. «Siamo venuti in primo luogo per condividere, con chi vuole ascoltare, la gioiosa notizia di Cristo, ma anche per discutere possibili relazioni commerciali col vostro bellissimo pianeta.» Ricambiò il sorriso del Dalai Lama. «E poi, Santità, anche se la croce e la risurrezione sono doni che provengono direttamente da Dio, per somministrare il sacramento è purtroppo necessario che sia ricuperata almeno una piccola parte del corpo o del crucimorfo. Se non sbaglio, nessuno ritorna dal vostro mare di nuvole.»

«Nessuno» convenne il bambino, con un sorriso più aperto.

Il cardinale Mustafa allargò le braccia. «Allora forse limiteremo la nostra visita al Tempio a mezz’aria e ad altri luoghi accessibili.»

Seguì un momento di silenzio; guardai di nuovo Aenea, pensando che eravamo sul punto di essere congedati; mi domandai quale sarebbe stato il segnale, immaginai che il lord camerlengo ci avrebbe guidato fuori, mi sentii venire nelle braccia la pelle d’oca per l’intensità dello sguardo famelico di quella mostruosa creatura sempre puntato su Aenea.

A un tratto l’arcivescovo Jean Daniel Breque prese la parola. «Reggente Tokra, ho discusso con Sua Santità» disse a noi tutti, come se potessimo definire la controversia «quanto sia simile il nostro miracolo della risurrezione al millenario convincimento buddhista nella reincarnazione.»

«Ah!» disse il bambino sul trono d’oro, illuminandosi come se fosse stato affrontato un argomento di grande interesse per lui. «Ma non tutti i buddhisti credono nella reincarnazione. Anche prima che emigrassimo su T’ien Shan e che si verificassero i grandi cambiamenti nella filosofia che qui si sono sviluppati, non tutte le sette buddhiste accettavano il concetto di rinascita. Sappiamo per certo che il Buddha si rifiutava di speculare con i propri discepoli sull’esistenza della vita dopo la morte. "Simili questioni" disse "non sono importanti per la pratica del Sentiero e non possono trovare risposta, finché si è legati dalle restrizioni dell’umana esistenza." Gran parte del buddhismo, vedete, signori, può essere esplorata, apprezzata e utilizzata come strumento per raggiungere l’illuminazione, senza scendere nel soprannaturale.»

L’arcivescovo Breque parve sconcertato, ma il cardinale Mustafa replicò subito: «Tuttavia il vostro Buddha non ha forse detto — e credo che una delle vostre scritture le ritenga parole sue, Santità, ma mi corregga se sbaglio -: "C’è un non nato, un non originato, un non creato, un non composto; se non ci fosse, non ci sarebbe uscita dal mondo del nato, dell’originato, del creato, del composto"?».

Il bambino non perdette il sorriso. «Disse davvero così, eminenza. Molto bene. Ma nel nostro universo fisico non ci sono forse elementi, ancora non del tutto capiti, che potrebbero essere descritti come non nati, non originati, non creati, non composti?»

«Nessuno che sia a mia conoscenza, Santità» disse il cardinale Mustafa, in tono abbastanza affabile. «Però non sono uno scienziato. Solo un povero prete.»

Malgrado la cortesia diplomatica, il bambino sul trono parve intento a perseguire l’argomento. «Da quando siamo atterrati su questo mondo di montagne, cardinale Mustafa, la nostra forma di buddhismo si è evoluta. Ora è piena dello spirito zen. E uno dei grandi maestri zen della Vecchia Terra, il poeta William Blake, disse una volta: "L’eternità è in amore con i prodotti del tempo".»

Il sorriso fisso del cardinale Mustafa era un chiaro segno della perplessità di chi non ha capito.

Ora il Dalai Lama non sorrideva. Aveva un’espressione piacevole, ma seria. «Lei forse ritiene che il signor Blake intendesse che un tempo senza fine è un tempo privo di valore, cardinale Mustafa? Che ogni essere liberato dalla mortalità, perfino Dio, possa invidiare i figli del tempo lento?»

Il cardinale annuì, ma non perché fosse d’accordo. «Santità» disse «non riesco a capire come Dio potrebbe invidiare il povero uomo mortale. Di sicuro Dio non è capace d’invidia.»

Il bambino inarcò le quasi invisibili sopracciglia. «Eppure il vostro Dio cristiano non è, per definizione, onnipotente? Di sicuro lui/lei/esso è capace d’invidia.»

«Ah, un paradosso per bambini, Santità. Confesso di non essere esperto né nell’apologetica logica né nella metafisica. Ma in quanto principe della Chiesa di Cristo, so dal catechismo e nel mio animo che Dio non è capace d’invidia, soprattutto invidia per le sue imperfette creature.»

«Imperfette?» disse il bambino.

Il cardinale Mustafa sorrise con condiscendenza e replicò col tono di un colto prete che parli a un bambino: «L’uomo è imperfetto per la sua propensione al peccato. Nostro Signore non potrebbe essere invidioso di un essere capace di peccare».

Il Dalai Lama annuì lentamente. «Uno dei nostri maestri zen, un uomo di nome Ikkyu, una volta scrisse una poesia a questo scopo…


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