Battei le palpebre, col desiderio di scostarmi da quella faccia di luna piena, rosea e ben lavata. Ero sicuro di puzzare di sudore, di sofferenza, di paura. Da un giorno standard non mi lavavo i denti.

«Non ho nessuna voglia di fare una qualsiasi scommessa, se significa trattare con una Chiesa tanto corrotta da stabilire nell’ubbidienza e nella sottomissione il prezzo per salvare la vita di un bambino.»

Padre Clifton si scostò come se l’avessi schiaffeggiato. La sua pelle rosea divenne di un rosso intenso. Il prete si alzò e mi diede un colpetto sul braccio. «Dormi un poco. Parleremo ancora domani, prima che tu te ne vada.»

Ma non avevo a disposizione tutto quel tempo. Se in quel momento fossi stato fuori della casa e avessi guardato nel giusto quadrante di cielo del tardo pomeriggio, avrei visto una scia di fiamma nella cupola di cobalto: la navetta di Nemes si disponeva all’atterraggio nella base di Bombasino.

Appena Padre Clifton uscì, mi addormentai.

Guardai Aenea e me stesso, seduti nel vestibolo del riparo di Aenea, nella notte del deserto, continuare la conversazione.

"Ho già fatto questo sogno" dissi. Mi guardai intorno e toccai la pietra sotto la tela del riparo. Conservava un poco del calore del giorno.

"Sì" disse Aenea. Sorseggiava ancora del tè.

"Eri sul punto di rivelarmi il segreto che ti rende un messia. Il segreto che ti rende ’il legame tra due mondi’ di cui parlò l’IA Ummon."

"Sì" annuì la mia giovane amica. "Ma prima dimmi se pensi che la tua risposta a padre Clifton fosse sufficiente."

"Sufficiente?" Scrollai le spalle. "Ero arrabbiato."

Aenea sorseggiò il tè: il vapore che si alzava dalla tazza le toccò le ciglia. "In realtà non hai risposto alla sua domanda sulla scommessa di Pascal."

"Non occorreva rispondergli altro" replicai, un po’ irritato. "Il piccolo Bin Ria Dem Loa Alem sta morendo di cancro. La Chiesa usa come leva il crucimorfo. Un modo di fare inconcepibile… indegno. Non ci sto."

Aenea mi guardò da sopra la tazza fumante. "Ma se la Chiesa non fosse corrotta, Raul, se desse il crucimorfo senza pretendere un prezzo né fare riserve, accetteresti la croce?"

"No." Fui sorpreso dall’immediatezza della risposta.

Aenea sorrise. "Quindi al centro della tua protesta non c’è la corruzione della Chiesa. Tu respingi la risurrezione stessa."

Fui sul punto di replicare, esitai e riformulai la frase che avevo pensato. "Sì, respingo questo tipo di risurrezione."

Sempre sorridendo, Aenea disse: "Ne esistono altri tipi?".

"Un tempo la Chiesa lo pensava. Per quasi tremila anni ha offerto la risurrezione dell’anima, non del corpo."

"E credi in quest’altro tipo di risurrezione?"

"No" dissi di nuovo, con la stessa prontezza di prima. Scossi la testa. "La scommessa di Pascal non mi ha mai attirato. Dal punto di vista della logica, pare… superficiale."

"Forse perché pone solo due scelte" disse Aenea. Da qualche parte, nella notte del deserto, una civetta lanciò un breve stridio. "Risurrezione spirituale e immortalità, oppure morte e dannazione."

"Le ultime due non sono la stessa cosa" obiettai.

"No. Ma forse lo erano per uno come Blaise Pascal. Un uomo atterrito dal ’silenzio eterno di questi spazi infiniti’."

"Soffriva di agorafobia spirituale."

Aenea rise. La risata era così sincera e spontanea che non potevo fare a meno di amarla. Di amare lei.

"Pare che la religione ci abbia sempre dato questo falso dualismo" disse Aenea, posando la tazza di tè sopra un sasso piatto. "I silenzi dello spazio infinito oppure il comodo conforto della certezza interiore."

Sbuffai. "La Chiesa della Pax dà una certezza più pragmatica."

Aenea annuì. "Potrebbe essere la sua sola risorsa, oggi. Forse la nostra riserva di fede spirituale si è esaurita."

"Forse si sarebbe dovuta esaurire molto tempo fa" replicai, duro. "La superstizione ha preteso un terribile tributo dalla nostra specie. Guerre… pogrom… resistenza alla logica, alla scienza, alla medicina… per non parlare della concentrazione del potere nelle mani di persone come quelle che governano la Pax."

"Allora ogni religione è superstizione, Raul? Ogni fede è follia?"

La guardai a occhi socchiusi. La fioca luce dentro il riparo e l’ancora più fioco luccichio delle stelle giocavano sui suoi zigomi sporgenti e sulla morbida curva del mento. "Cosa intendi?" Mi aspettavo, a ragione, una trappola.

"Se tu avessi fede in me, sarebbe follia?"

"Fede in te… come?" replicai. Sentii nella mia voce un tono sospettoso, quasi imbronciato. "Come amice? O come messia?"

"Qual è la differenza?" domandò Aenea. Sorrise di nuovo in quel modo che di solito anticipava una sfida.

"Fede in un’amica è… amicizia. Lealtà." Esitai. "Amore."

"E fede in un messia?" disse Aenea, con un luccichio negli occhi.

Scrollai le spalle. "Quella è religione."

"E se la tua amica è il messia?" Ora sorrideva apertamente.

"Vuoi dire: ’E se la tua amica pensa di essere il messia?’" replicai. Scrollai di nuovo le spalle. "Be’, le resti leale e cerchi di tenerla fuori del manicomio."

Il suo sorriso svanì lentamente, ma intuii che non era colpa del mio aspro commento. Aenea aveva lo sguardo perduto nel vuoto. "Vorrei che fosse così semplice, mio caro amico."

Commosso, travolto da un’ondata d’ansia così reale come un attacco di nausea, dissi: "Stavi per dirmi perché sei stata scelta come messia, ragazzina. Che cosa ti rende il legame fra due mondi".

La ragazzina, giovane donna mi resi conto, annuì solennemente. "Sono stata scelta per il semplice motivo che ero il primo figlio del Nucleo e della specie umana."

L’aveva già detto in precedenza. Stavolta annuii. "Allora sono questi i due mondi che unisci, il Nucleo e noi?"

"Due dei mondi, sì" disse Aenea, tornando a guardarmi. "Non gli unici due. Questo è proprio ciò che fanno i messia, Raul, stendono un ponte fra mondi diversi. Epoche diverse. Forniscono il legame fra due concetti inconciliabili."

"E il tuo collegamento a tutt’e due questi mondi ti rende un messia?"

Aenea scosse subito la testa, quasi spazientita: negli occhi le balenò un lampo che pareva collera. "No" disse, brusca. "Sono il messia per ciò che posso fare!"

Rimasi stupito per la sua veemenza. "Cosa puoi fare, ragazzina?"

Aenea mi toccò con gentilezza. "Ricordi quando ho detto che la Chiesa e la Pax avevano ragione su di me, Raul? Sostenendo che ero un virus?"

"Sì, certo."

Mi strinse il polso. "Posso trasmettere quel virus, Raul. Posso infettare altri. Progressione geometrica. Un’epidemia di portatori."

"Portatori di cosa? Di messianicità?"

Aenea scosse la testa. Aveva un’espressione così triste che mi venne voglia di consolarla, di circondarle le spalle. Non allentò la salda stretta sul mio polso. "No" disse. "Solo il passo seguente in ciò che siamo. Ciò che possiamo essere."

Trassi un respiro. "Parlavi d’insegnare la fisica dell’amore. Di capire l’amore come forza basilare dell’universo. È questo, il virus?"

Sempre tenendomi il polso, mi fissò a lungo. "Quella è la fonte del virus" disse piano. "Io insegno come usare quella energia."

"Come?" mormorai.

Aenea batté lentamente le palpebre, come se fosse lei a sognare e sul punto di svegliarsi. "Diciamo che ci sono quattro passi. Quattro gradi. Quattro livelli."

Aspettai. Le sue dita formavano un cerchio intorno al mio polso.

"Il primo è apprendere il linguaggio dei morti" disse Aenea.

"Cosa c’entra…"

"Sst!" Portò alle labbra l’indice della mano libera, indicandomi di tacere.

"Il secondo è apprendere il linguaggio dei viventi" riprese.

Annuii, anche se non capivo né l’uno né l’altro.

"Il terzo è udire la musica delle sfere" mormorò Aenea.

Nelle mie letture a Taliesin West mi ero imbattuto in quell’antica espressione, "musica delle sfere": un miscuglio di astrologia, epoca prescientifica della Vecchia Terra, modellini lignei di un sistema solare secondo Keplero basato su forme perfette, stelle e pianeti mossi da angeli, volumi di ambigue acrobazie verbali. Non capivo di che cosa parlasse la mia amica né come si potesse applicare a un’epoca dove l’uomo si muoveva a velocità superiore a quella della luce lungo il braccio della spirale galattica.


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