Creature viventi salivano dall’abisso e giravano intorno a me.

All’inizio vidi soltanto una creatura e non avevo termine di paragone per giudicare quali fossero le sue dimensioni. Poteva essere lunga pochi centimetri e trovarsi a qualche metro dal kayak oppure molti chilometri e a distanza abissale. Poi nuotò fra una lontana colonna di nuvole e una torre di cumuli ancora più distante; capii allora che era più attendibile giudicarla in termini di chilometri. Mentre la creatura si avvicinava, scorsi la miriade di esseri più piccoli che l’accompagnava per il cielo mattutino.

Prima di tentare la descrizione di quelle creature, devo dire che ben poco, nella storia dell’espansione dell’uomo in questo braccio della spirale galattica, ci ha preparati a descrivere grandi organismi alieni. Nelle centinaia di pianeti esplorati e colonizzati durante e dopo l’Egira, le nuove forme di vita erano per la maggior parte costituite da piante e da alcuni organismi molto semplici, come i ragnatelidi radianti di Hyperion. Le poche forme di vita animale evoluta e di grandi dimensioni, per esempio i bocca a lampada di Mare Infinitum o gli zeplin di Whirl, diventavano preda dei cacciatori fin quasi all’estinzione. Il risultato più comune era un pianeta con poche forme di vita indigene e una miriade di specie umane adattate. L’uomo aveva terraformato tutti quei pianeti, portando i propri batteri e lombrichi e pesci e uccelli e animali terrestri sotto forma di DNA greggio, scongelando embrioni nelle prime navi seminatrici, costruendo stabilimenti incubatrice nelle colonie più recenti. Il risultato era stato molto simile a quello ottenuto su Hyperion: piante indigene vitali, come gli alberi tesla e chalma e weir, e alcuni insetti locali, che sopravvivevano in coesistenza con fiorenti trapianti dalla Vecchia Terra e bioadattamenti su misura come tripioppi tremuli, semprazzurri, mezzequerce, anatre, squali, colibrì e cervidi. Non eravamo abituati ad animali alieni.

E quelli che salivano incontro a me erano decisamente animali alieni.

Il più grosso mi ricordò le seppie — un adattamento di un mollusco marino della Vecchia Terra, per l’appunto — che prosperavano nelle tiepide secche del gran mar Meridionale di Hyperion. Questa creatura era simile a un calamaro, ma quasi trasparente, con gli organi interni visibili, anche se, lo ammetto, era difficile determinare l’esterno e l’interno, dal momento che pulsava e palpitava e cambiava forma di secondo in secondo, quasi come una nave che si morfizzasse per la battaglia. La creatura non aveva una testa vera e propria, neppure un’estensione appiattita che potesse considerarsi testa, come nei calamari; ma distinguevo una quantità di tentacoli, per quanto potrebbero essere meglio definiti fronde o filamenti, visto che quelle appendici ondeggiavano, si ritraevano, si estendevano e tremolavano di continuo. Ma quei filamenti erano all’interno del corpo pallido e trasparente, oltre che all’esterno, e non ero certo che il movimento di quella creatura nell’aria fosse il risultato del moto natatorio dei filamenti o dell’espulsione di gas quando si espandeva e si contraeva.

Per quanto ricordavo dai libri e dalle spiegazioni di nonna, gli zeplin di Whirl erano molto meno complessi all’apparenza: sacche di gas a forma di dirigibile floscio, semplici cellule tipo medusa per trattenere la mistura di idrogeno e di metano, che immagazzinavano e metabolizzavano elio nei loro rozzi sacchi ascensionali, gigantesche meduse galleggianti nell’atmosfera di idrogeno, ammoniaca e metano. Se ricordavo bene, gli zeplin si nutrivano di una sorta di fitoplancton che galleggiava come manna aerea nella velenosa atmosfera. Su Whirl non c’erano predatori, finché non erano giunti gli uomini nei loro batiscafi aerei a raccogliere i gas più rari.

Mentre il calamaro si avvicinava, vidi la complessità delle sue parti interne: lividi, pulsanti profili di organi e spire simili a intestino e quelli che potevano essere filamenti nutritivi e tubi adibiti forse alla riproduzione o all’evacuazione e altre appendici che potevano essere organi sessuali o forse occhi. Intanto la creatura si ripiegava su se stessa, ritraeva i filamenti arricciati, poi pulsava in avanti, con i tentacoli completamente estesi, come un calamaro che nuoti nell’acqua. Era lunga cinque o seicento metri.

Cominciai a notare le altre creature. Intorno al calamaro sciamavano centinaia o migliaia di dorate creature discoidali che per dimensioni andavano da quelle grosse forse come la mia mano a quelle più grandi delle pesanti mante fluviali adibite al traino delle chiatte nei fiumi di Hyperion. Anche queste creature erano quasi trasparenti, ma il loro interno era offuscato da una sorta di lucore verdastro che forse era un gas inerte eccitato fino alla luminescenza dal campo bioelettrico della creatura stessa. Quelle creature sciamavano intorno al calamaro, a volte parevano inghiottite o inglobate da questo o quell’orifizio, ma presto ricomparivano all’esterno. Non potrei giurare d’avere visto il calamaro mangiare nessuna delle creature discoidali, ma a un certo punto mi parve di scorgere un nugolo di creature luminescenti muoversi nel ventre della creatura maggiore come spettrali piastrine in una vena trasparente.

L’essere mostruoso, circondato dalla nube di compagni discoidali, si avvicinò, risalendo finché la luce del sole non ne attraversò il corpo, prima di illuminare il kayak e la paravela. Spostai verso l’alto la stima delle dimensioni: la creatura era lunga almeno un chilometro e larga più di trecento metri nel momento di massima espansione. Ora le creature discoidali fluttuavano ai lati del kayak. Vedevo benissimo che ruotavano, oltre ad arricciarsi come mante.

Estrassi la pistola a fléchettes avuta da Alem e tolsi la sicura. Se il mostro mi avesse assalito, gli avrei scaricato nel fianco metà caricatore, augurandomi che la sua pelle fosse tanto sottile quanto trasparente. Forse c’era la possibilità di provocare la fuoruscita dei gas leggeri che gli consentivano di galleggiare in quella fascia di atmosfera d’ossigeno.

In quel momento i filamenti da idra scattarono all’esterno in tutte le direzioni e alcuni mancarono solo di qualche metro la paravela; mi resi conto che non sarei mai riuscito a uccidere o a far precipitare quel mostro prima che con la sferzata di un solo tentacolo distruggesse la vela. Rimasi in attesa, quasi convinto che da un momento all’altro il calamaro mi avrebbe tirato nelle sue fauci, se fauci aveva.

Non accadde niente. Il kayak continuò a muoversi nella direzione che ritenevo l’ovest, con la paravela che Saliva sulle termali e scendeva sulle correnti fredde, mentre le nuvole torreggiavano intorno a me e il calamaro e i suoi compagni (senza ragione precisa, li ritenni parassiti) se ne stavano a qualche centinaio di metri da me verso "nord" e un centinaio di metri più in alto. Mi domandai se la creatura mi seguisse per curiosità o per fame. Mi domandai se da un momento all’altro le piastrine verdastre che vagavano intorno al kayak mi avrebbero assalito.

Non potendo fare altro, mi posai in grembo l’inutile pistola a fléchettes, mangiucchiai gli ultimi panini presi dallo zaino e bevvi un po’ d’acqua dalla bottiglia. Ne avevo a malapena per un giorno ancora. Imprecai contro di me, perché non avevo pensato di raccogliere la pioggia durante la terribile tempesta notturna… però non sapevo se l’acqua di quel pianeta era potabile.

Il lungo mattino diventò un lungo pomeriggio. Varie volte la paravela mi portò dentro una torre di nuvole; alzai il viso verso l’umida foschia e leccai le goccioline di condensa sulle labbra e sul mento. L’acqua pareva proprio acqua. Ogni volta che emergevo dalla foschia, mi aspettavo che il calamaro se ne fosse andato, ma ogni volta lo ritrovavo nella sua posizione, alla mia destra e un po’ più in alto. Una volta, proprio dopo che l’alone luminoso del sole aveva passato lo zenit, il kayak fu spinto in una zona particolarmente tempestosa e la paravela rischiò di piegarsi nella violenta corrente ascensionale. Ma presto si stabilizzò e quando emersi dalla nuvola, mi trovai qualche chilometro più in alto. L’aria era più rarefatta e più fredda. Il calamaro mi aveva seguito.


Перейти на страницу:
Изменить размер шрифта: