Quando si rialzò tutto sporco di segatura entrarono i clowns. Uno di questi gli fece odorare un fiore e gli schizzò dell'acqua in un occhio. Lui tentò di reagire e lo inseguì, ma incrociò lo sguardo del dottor Fonelli e si limitò a inchinarsi al pubblico che questa volta applaudì tiepidamente. Si voltò verso l'uscita e si trovò di fronte a tre giganteschi lottatori armeni a torso nudo che praticavano un tipo di lotta selvaggia e assai singolare. Prendevano una rincorsa di 25 metri circa e si scontravano con le fronti. Quello dei due che rimaneva in piedi vinceva l'incontro. Mancava il quarto, e il capo del circo, da dietro una tenda, gli fece un gesto imperioso obbligandolo a fare il sostituto. Lui si mise a torso nudo e partì da molto lontano, tra il pubblico, per avere un po' di vantaggio: era disperato. Venne giù a testa bassa ululando, mancò in pieno l'avversario e si incraniò, facendo un tragico rumore di gong, sulla balaustra di legno ai piedi della signora Pina. Quando rinvenne e si alzò, la faccia tutta piena di segatura, vide che sua moglie aveva cominciato a piangere silenziosamente.
Scappò verso l'uscita e piombò nella più fitta oscurità. Ansimava. Inciampò in una cassetta di legno e cadde carponi. Strisciò lentamente cercando un varco. Lo trovò. Cominciò a percorrere un cunicolo sempre nel buio più completo. Dopo dieci metri fu accecato da una luce abbagliante: il cunicolo era finito, si alzò in piedi e si trovò nella gabbia delle tigri del Bengala. Il pubblico lo riconobbe e scattò tutto ancora in piedi per un fragoroso applauso.
La tigre più anziana con una occhiata significativa gli fece capire che voleva divertirsi e gli indicò con una zampa un tutù bianco alla Carla Fracci. Fu costretto a ballare nell'ordine: un saltarello napoletano, una ciarda e sulle punte tutto il Lago dei cigni. Senza musica. Il pubblico era ammutolito perché cominciava a capire che c'era forse qualcosa che non andava. Lui aveva anche cominciato a vomitare. Un inserviente allora gli aprì di colpo una porticina e lui, sempre sulle punte, uscì lentamente ballando Giselle.
Quando la gabbia si chiuse alle sue spalle si nascose disperato in un buco: era il cannone dell'uomo proiettile, e in quel preciso istante l'artificiere fece fuoco.
Lo trovarono il giorno dopo delle mondine in una risaia in preda a una gravissima crisi mistica: diceva di essere santa Teresa del Bambino Gesù. Dopo una settimana tornò in ufficio. Salì in ascensore col capo del personale dottor Fonelli, che gli disse: “Vada al Circo di Mosca, è uno spettacolo veramente interessante”. “La ringrazio,” rispose Fantozzi “lei è molto gentile” e gli avrebbe sputato in faccia.
FANTOZZI COMPERA L'ENCICLOPEDIA BRITANNICA
Fu il nobiluomo Menegòn a portare indirettamente Fantozzi nel grosso giro dei sostenitori dell'Enciclopedia Britannica.
Il nobiluomo Menegòn, di origine indubitabilmente veneta, era da tempo un potente amico di Fantozzi. In realtà era solo proprietario di una piccola libreria-cartoleria rionale, ma ogni Natale gli aveva mandato un biglietto d'auguri con la scritta a rilievo “N. H. Menegòn” e questa cosa aveva sempre impressionato Fantozzi. Non aveva però mai osato domandargli cosa diavolo volesse dire quel “N. H. Menegòn”.
Convinto che NH significasse “figlio di NH o di ignoti” non aveva mai osato domandargli notizie sulla madre.
Il nobiluomo Menegòn una sera convocò Fantozzi alla libreria dopo l'orario d'ufficio e a bruciapelo gli domandò: “Vuole arrotondare lo stipendio guadagnando un… diciamo cento, centoventi mila al mese… lavorando al massimo due ore alla settimana?”. A Fantozzi si umidirono gli occhi e rispose: “Sì… Ma come?”. “Basterà che le affidi un settore di vendita… Lei sarà il mio primo venditore esterno!”
Fantozzi deglutì e andò via che gli tremavano le ginocchia. Era nel pallone e dimenticò in negozio un ombrello da tremila lire che il Menegon nascose subito astutamente in un ripostiglio segreto. Uscì pallidissimo e contegnoso, ma svoltato l'angolo lanciò un urlo lacerante e dopo due o tre balzi in altezza, di cui uno di circa tre metri, partì al galoppo tra due ali di curiosi e un venditore di caldarroste allibiti. Urlava: “Sarò ricco… sarò ricco… sarò ricco… ” e scomparve nell'ombra della sera.
Arrivò a casa che respirava a fatica. La signora Pina non capì un accidente, anzi sulle prime credeva che fosse stato accoltellato in un duello rusticano. Poi lui si riprese con la respirazione artificiale e spiegò tutto e nella notte fecero programmi sulle grandi spese future.
Nella settimana successiva si comperò un bestseller Il venditore meraviglioso di un certo americano Betger, nel quale si davano consigli su l'arte di vendere e convincere la gente. Lo trovò un'opera colossale. Il sabato era la sua prima giornata libera. In mattinata il nobiluomo Menegòn gli aveva fornito alcuni volumi mastodontici: La storia dei Sumeri, Civiltà sepolte di Ceram e La semantica nel linguaggio biblico di G. Barr. Uscì dalla cartolibreria con una borsata umiliante. Camminava curvo verso l'utilitaria con la mano straziata dal dolore, ma verso il successo. Scelse il primo cliente con molta cura sull'elenco telefonico: un tedesco! “I tedeschi sono gente seria, sarà più agevole la trattativa” concluse con la signora Pina. Era un certo Wilhelm Hermann via del Castello, 2.
Era una zona della sua città su in collina, che non conosceva, poco illuminata. “Herr Wilhelm Hermann” c'era scritto su di una targhetta all'ottavo piano di una casa senza ascensore e quando suonò il campanello e per l'emozione e per la tremenda rampa rantolava.
“Si accomodi… signor?… ” “Fantozzi” rispose lui rendendosi conto per la prima volta di avere un cognome plebeo e insignificante. Hermann lo fece sedere su di un dondolo in salotto a due posti. Gli accese un sigaro micidiale e gli fece cominciare un tremendo rollio. Sarà stato il sigaro o perché lui soffriva maledettamente ogni mezzo semovente, compreso il tram che si sbiancò subito. Gli aumentò la salivazione, gli si imperlò di sudore gelido la fronte e qui il signor Hermann gli fece la prima vera domanda: “Di che cosa si occupa lei signor Fantozzi?”. “Mi interesso di libri” rispose flebilmente.
“Si interessa di libri? Bene lei è un uomo fortunato io sono uno dei più tenaci, sono tedesco di Jena, venditori dell'Enciclopedia Britannica. Vuole che cominci ad illustrarle i pregi della nostra opera?”
Fantozzi si alzò traballando e disse: “No… Ora non posso”. “Verrò a casa sua!” disse pronto Hermann. “Va bene l'aspetto.”
“Quando?” incalzò Hermann. “Oggi stesso?… vuole che l'accompagni?… Ora?” “No.” Ansimò Fantozzi e liberò con uno strattone il braccio che lui gli aveva imprigionato in una morsa dolorosa. “… Domani… venga domani.”
“Verrò domani mattina da lei alle sette! Si ricordi alle sette!”
Andando via gli girava intorno vorticosamente la rampa di scala e si sentiva malissimo. Solo a casa si rese conto di aver dimenticato in casa di Hermann la borsa dei libri. La signora Pina lo attendeva a casa con ansia. “Allora?”- “Non fare domande… abbiamo provviste per quanti giorni? bisogna barricarsi… Ho paura.” E cominciò a spostare i mobili.
Mentre formava una gran catasta di armadi, letti e materassi in ingresso, “la sua signora” lo guardava preoccupata. “Non rispondere al telefono… per nessun motivo!!” E si chiuse in un cupo mutismo.
Era pervaso da un tremito convulso. Dopo due ore la signora Pina azzardò: “Dimmi la verità hai fatto qualche sciocchezza… alle volte lo so, questi supermarket sono una brutta tentazione!..”.
“Zitta, stupida! Non parlare” rispose lui “Siamo in grande pericolo” e le raccontò di Hermann.
Vegliarono tutta la notte seduti per terra in ingresso. Dalle sette in poi di domenica ogni scricchiolio li faceva sussultare. Poi verso le undici si addormentarono. Alle due di notte, dopo un sonno pieno di incubi, li svegliò il campanello. “È il latte, signora” disse una voce amica… “glielo lascio qua fuori?… ” e si sentì il rumore dei passi che si allontanavano. Lui voleva un po' di latte caldo e con molta circospezione aprì la porta e fulmineo afferrò il cartoccio a piramide e lo buttò in ingresso. Era Hermann nel suo più riuscito travestimento!