Fantozzi aveva gli occhi sbarrati. Hermann con voce dura lo fece accomodare in salotto e gli cominciò a preparare le cambiali da firmare. Lui comperò l'Enciclopedia Britannica in pelle e con mobiletto, La storia dei Sumeri, Civiltà sepolte di Ceram e La semantica nel linguaggio biblico di G. Barr, libri che aveva dimenticato su dal tedesco. Avrebbe finito di pagare di lì a venti anni.

Quando due giorni dopo gli portarono le casse, la signora Pina gli chiese: “Ma tu l'inglese almeno lo sai?”. Lui aveva lo sguardo non a fuoco sulla Storia dei Sumeri. La signora Pina capì allora che doveva lasciarlo solo.

FANTOZZI E IL GIOCO DEL CALCIO NEI SUOI RACCONTI

Adesso la TV, un'ora dopo la partita, vi fa vedere i gol dei campioni. Si tratta di gol che quasi mai i cameramen riescono a seguire fino in fondo alla rete. Si vede partire la palla, ma non si sa mai dove vada a finire. È gol solo quando si vede la rete che si muove! Un tempo i gol venivano raccontati da Carosio e nessuno aveva il tempo di controllare la verità delle azioni descritte. Esempio: palla ad Amadei che entra in area di rigore inglese… entra con la palla, scarta un avversario, ne scarta un altro, avanza solo con la palla, gli si fa incontro il portiere inglese… Amadei lo scarta… Rete!.. Ha segnato il mezzo-sinistro inglese Broadis per l'Inghilterra. Il nostro portiere coperto nulla ha potuto contro l'improvviso tiro! Per gli “atti” dei grandi giocatori del passato esisteva una tradizione orale e di padre in figlio si tramandavano i ricordi di reti spettacolose segnate da vecchi campioni dai mitici soprannomi: il figlio di Dio, lo sfondatore di reti eccetera. Pochi testimoni oculari ormai sono reperibili: Fantozzi è uno di questi. Nei sinistri pomeriggi invernali in ufficio “manipolava” a sua volta ai colleghi più giovani i ricordi di quegli anni andati. Cevenini aveva segnato un gol di testa da quattro metri, al secondo racconto i metri diventavano 40, al terzo 140, al quarto 1.640, al punto che a quei tempi viene il sospetto che si giocasse su campi di aviazione o nel deserto del Nevada. Ronzitti, il sinistro proibito, aveva una tale potenza di tiro che segnava gol da 10, 600, 12.000 metri.

Ronzitti giocava nel Genoa, ma era di Rapallo che dista 25 chilometri da Genova. Pare che avesse fatto un accordo con la società (che così risparmiava la spesa di trasferta) di questo tipo: lui se ne stava a Rapallo a casa sua a leggere, gli telefonavano dallo stadio di Marassi e gli dicevano: “Scenda in strada ché c'è da battere un calcio piazzato!”. Lui si metteva una vestaglia, scendeva di gran volata le scala e boom!.. rete paurosa a Marassi. Dopo due ore gli arrivava un telegramma della società che si complimentava per la rete segnata. Talvolta gli arrivava un telegramma di altro tenore: “Spiacente doverle comunicare suo tiro mancato in pieno porta avversaria, ma centrato in pieno mostra del cristallo di Boemia a Varese. I danni le saranno trattenuti sullo stipendio”.

Poi c'era il mago Meazza: che chiamava il portiere fuori della porta. “Dice a me?” faceva il portiere. “Sì.” Il portiere si scusava con gli spettatori, diceva: “Scusate, vado un attimo a parlare con questo signore”. E Meazza carogna… Toc… rete!.. Poi c'era la famosa rovesciata di Parola dai molti imitatori. Sapeva di capi-servizio che hanno tentato la manovra sull'asfalto davanti a casa con una palletta di stracci, e ricaduti a nuca in giù sorridendo e poi partiti al galoppo ululando… Raccontava di un notabile invitato a dare il calcio d'inizio a un importante incontro di beneficenza. Partiva con rincorsa calciava con violenza un pallone simbolico di bronzo, stringeva la mano ai capitani, all'arbitro e si avviava sorridendo verso la tribuna d'onore dove sveniva.

Sapeva tutto sulle respinte al volo di Rava, il famoso terzino della Juventus. Fantozzi si recava allo stadio a vedere la Juve: in cima, in cima nell'ultima curva dei popolari. Calcio d'avvio, lui urlava: “forza Rav…” non finiva mai la frase. Rava colpiva la palla al volo col collo del piede centrandolo in pieno naso. I giovani colleghi lo guardavano e lui capiva che non gli credevano.

Il suo racconto più bello che faceva solo una volta l'anno era quello del calcio di punizione del famoso giocatore argentino Alfredo Pedernera. Pedernera era il centravanti che aveva il tiro più forte del mondo e di tutti i tempi anche perché aveva al posto del piede destro una specie di zoccolo equino e forse anche la coda come Belzebù.

Una volta nella terribile “Bombonnera” Avellaneda di Buenos Aires si giocavano gli ultimi drammatici secondi di una finale dei Campionati Sudamericani tra Argentina e Uruguay. L'Uruguay era in vantaggio per 1 a 0. Il pubblico della “Bombonnera” era disperato. 92' minuto della ripresa, Ellis l'arbitro inglese fischia un calcio di punizione “ai due” contro gli uruguayani all'altezza della bandierina dell'angolo dell'Argentina. “Bato mi” fece Pedernera e all'arbitro: “Arbitro escucio, es alla prima?” e l'arbitro un po' stupito e che già consultava il cronometro per fischiare la fine: “Ma cosa rompe… da quella distanza lì batta come vuole!!”. Pedernera si fa dare dal custode la chiave del campo. Apre una porticina nella rete di cinta e permesso… permesso… permesso… sale fino in cima ai popolari e si avventa con urla selvagge giù verso la palla e… si schianta contro la porticina che un solerte dirigente della squadra argentina aveva chiuso. Cazziata pubblica tremenda di Pedernera al dirigente argentino che viene mandato a casa con una nota di demerito. Questa volta Pedernera per prudenza ingoia tra gli applausi la chiave del campo e riparte. Si scaraventa giù dai popolari si avventa sulla palla e si sente un lampo ed un'esplosione. La palla parte come una folgore verso la porta uruguayana… sgranata di denti del portiere argentino Roma e riparte verso la porta avversaria… gol!!! Quando finiva questo racconto non c'era più nessuno ad ascoltarlo, ma parlava ad una scrivania!

FANTOZZI SUL TRENO DEI RICCHI

Fantozzi e Fracchia furono inviati in missione speciale a Roma per conto della loro società.

Portavano all'amministratore delegato un libro giallo che questi aveva dimenticato sulla sua scrivania. Con un tragico accelerato arrivarono a Milano e di qui dovevano raggiungere al più presto Roma. Non trovarono posto sui treni normali, ma solo sul famoso “Settebello”, il treno dei VIP. Attesero nella sala d'aspetto della stazione per quasi sei ore. Furono ore drammatiche di dormiveglia allucinante, seduti dignitosamente in mezzo a un accampamento di immigrati dal Sud con famiglie e polli.

Alle 17,45 partiva il treno: loro si prepararono sul marciapiede alle sedici. Si aspettavano il solito selvaggio assalto ai posti, e quando il treno arrivò si avventarono sul primo scompartimento, buttando sulle poltrone valigie, giornali e berretti urlando “occupato!”.

Il conducente li guardò con disprezzo e li fece scendere. Gli spiegò che dovevano aspettare con un gruppo di silenziosi gravi signori che leggevano notizie economiche, lui stesso li avrebbe accompagnati più tardi ai loro posti. Non appena il treno partì, un cameriere in giacca bianca domandò loro a che ora volevano cenare e loro risposero che s'erano portati la cena da casa. Di fronte a loro, alle 8, cominciarono a servir da mangiare a un signore gigantesco che divorava delle cose squisite mugolando. Fantozzi e Fracchia avevano già finito i panini con la frittata e cominciarono a sentirsi male dalla fame. Dopo essersi consultati decisero di ordinare una cena in due.

Uno leggeva dignitosamente il giornale mentre il cameriere serviva, poi quando il cameriere si allontanava, Fantozzi, che fingeva di leggere, spalancava la bocca e Fracchia gli passava una paurosa forchettata di spaghetti. Quando il cameriere si avvicinava, Fantozzi fermava di colpo la masticazione e sprofondava nella lettura della terza pagina e Fracchia non rifiutava mai il bis. Il cameriere si stupiva un po' per quanto riusciva a mangiare un omino così piccolo e alla fine portò il conto per una sola persona, ma avevano mangiato per tre.


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