Il pullman venne posteggiato ai parcheggi più vicini, e cioè a trenta chilometri dal recinto della fiera. In quattro ore di marcia arrivarono ai cancelli, ed ecco l'ordine di arrivo: I° Filini 4 ore e 16', 2° Semenzi a 6', 3° Fantozzi a 12', che era stato in testa per tutta la gara ed era poi crollato clamorosamente nel finale. Furono classificati a pari merito tutti gli altri, tranne Leone e Mughini dell'ufficio sinistri, arrivati fuori tempo massimo (quando avevano già tolto il traguardo).
All'ingresso Fantozzi radunò il gruppo e disse: “Stiamo sempre uniti!”. Ed entrarono… Persero immediatamente i contatti. Fantozzi, che era entrato in testa, fu subito travolto da una nuvola di giapponesi (saranno stati un centinaio, erano tutti raggruppati in un metro quadrato. In quell'occasione Fantozzi capì che Tokio non è la città più grande del mondo, ma sono i giapponesi che sono piccoli) e portato al padiglione della scienza e della tecnica che aveva giurato che non avrebbe mai visitato.
Filini, che aveva affidato il portafoglio alla moglie, intorno a mezzogiorno fu costretto all'accattonaggio più umiliante per un tozzo di pane.
Molti approfittarono di quell'occasione per lasciare definitivamente la famiglia e fuggirono nella lontana Erzegovina.
Ogni tanto c'erano dei commoventi incontri con le famiglie, con abbracci e scene di entusiasmo, ma in due o tre minuti quei poveracci avevano nuovamente perso i contatti. Le visite ai padiglioni si facevano più che altro nella disperata ricerca della famiglia e del proprio gruppo.
Fantozzi entrò con un gruppo di agenti segreti valacchi nel padiglione dei vini. La cosa gli fu fatale, uscì dopo due ore con un gruppo aziendale di Sesto S. Giovanni: erano tutti in mutande e cantavano a pieni polmoni canti di protesta del 1848. I protestatari entrarono nell'attiguo padiglione spagnolo dove tutti comperarono delle gigantesche sciabole di Toledo. Ed è qui che il gruppo di Fantozzi si scontrò all'arma bianca con un gruppo di Pescara: fu uno scontro brevissimo e fortunatamente incruento, ma una scena terrificante.
All'uscita del padiglione dei vini c'era una mostra di scavatori grandi come dinosauri e Fantozzi, che era in uno stato di grande euforia, fu qui ritrovato dalla moglie mentre trattava l'acquisto di una gru da trecento milioni.
L'altoparlante incominciava a pregare i visitatori di andare a ritrovare nel padiglione rumeno i bambini perduti, credo fossero cinquemila, e all'interno si sentivano già i rumori degli spari delle molte esecuzioni sommarie.
Il ragionier Filini entrò in un grande padiglione in vetro dove si teneva una tavola rotonda. Certamente equivocando cercò di ordinare ai severi signori in riunione una pizza. Ci vollero due ore per spiegare a Filini la differenza che corre fra una tavola rotonda e una tavola calda. Quando Filini trovò finalmente un self-service fu subito catturato dai solerti inservienti portato nelle cucine e fatto alla livornese: Filini assomiglia tragicamente a una triglia. Fu servito quasi subito in un piatto di cellofan a un gruppo di esterrefatti colleghi. Aveva due ciuffi di prezzemolo sotto le ascelle, un limone in bocca, e gli avevano pietosamente risparmiato la carota. Alla prima forchettata alle natiche fece dei curiosi gridolini.
Fantozzi ubriaco come una bestia, entrò nella rotativa del padiglione del giornalismo e venne stampato e letto con curiosità dalla moglie.
Alla sera nessuno ritrovò il proprio pullman. Solo il venticinque per cento dei partiti fece ritorno in città a piedi sotto una pioggia battente inseguiti anche da branchi di lupi che da 150 anni non facevano la loro comparsa in quelle zone.
L'indomani tutti in ufficio: era ricomparso il sole. I megapresidenti partirono allora per la Costa Smeralda.
FANTOZZI SI OCCUPA DI RELAZIONI PUBBLICHE
Da molto tempo la società di Fantozzi versava in gravi condizioni. Ma ultimamente una fioca speranza: forse arrivava un investimento da una potentissima società tedesca.
Le delicatissime trattative erano state portate avanti dallo stesso Direttore Generale. Era stata un'operazione lentissima durata quasi un anno, ma alla fine della quale, se le cose fossero andate a buon fine, sarebbero arrivati i soldi e con questi si salvava il pane a tutti i millecinquecento dipendenti.
Tutti gli impiegati avevano seguito atterriti la manovra. A livello Fantozzi arrivavano notizie ora confortanti, ora terribili, ma per tutti a dir il vero, anche a livello direzionale, gli ultimi tre mesi erano stati pieni di paure e di incubi notturni.
Venerdì finalmente la grande notizia: arrivava da Dusseldorf il prof. Otto Kraus-Kollman con i fondi! La vita di tutti era salva! In società si festeggiò l'evento con molti brindisi e molti avevano deciso di andare in pellegrinaggio a piedi fino alla Madonna del Monte.
Il prof. Kraus-Kollman arrivava all'aeroporto domenica mattina, c'era quindi il problema di fargli passare delle ore liete fino a lunedì mattina. Il Direttore Generale fece domandare dai suoi segretari chi poteva essere l'uomo ad hoc e che soprattutto sapesse parlare in tedesco.
L'indagine aveva dato esito negativo: nessuno o quasi. Quei pochi che parlavano altre lingue non avevano osato avanzare la loro candidatura: i rischi erano troppi. Il Direttore Generale era disperato e non sapeva più dove battere la testa, quando Fantozzi disse a Fracchia (erano le 6 di quel drammatico venerdì pomeriggio): “Ma veramente io un po' di tedesco alle commerciali l'ho studiato!”. Fracchia sobbalzò sulla sedia: “la sua grande occasione, tutti gliene saranno grati, le aumenteranno lo stipendio, lo faccia per i nostri figli…”. Fantozzi era irremovibile: non se la sentiva, anzi si fece giurare da Fracchia che non avrebbe fatto trapelare la notizia. Ma Fracchia lo tradì e lo disse al caposervizio Montorsoli. Come una folgore la notizia rimbalzò di tavolo in tavolo, di telefono in telefono fino al Direttore Generale. Questi chiamò Fantozzi e gli disse semplicemente: “Siamo nelle sue mani… vada all'aeroporto domenica mattina e ce lo porti qui sano e salvo lunedì per il consiglio”.
Fantozzi fu mandato con la macchina della società a casa a riposare e si mise in salotto con una grammatica tedesca in mano. Era terrificato, aveva freddo e ogni tanto gli girava la testa. Passò una notte tremenda. La giornata di sabato mangiò solo un brodo tiepido, ma vomitò subito. Il Direttore Generale gli telefonò a casa e lo rincuorò. Domenica mattina alle 4 era già all'aeroporto, completamente distrutto. L'aereo da Dusseldorf arrivò a mezzogiorno. La direzione gli aveva dato un foglietto con una descrizione sommaria del professore. “Nome: Otto. Tipo da tedesco” ed era tutto! Scesero dall'aereo 40 “tipi da tedeschi”. Fantozzi aspettava dietro le transenne del pubblico. Vide il gruppo minaccioso che si avvicinava. Tentò il tutto per tutto: “Otto!” gridò (era il nome più diffuso in Germania!). Su 40 venti alzarono la testa. Si affidò alla fortuna, si diresse verso l'“Otto” più vicino e gli baciò la mano e gli chiese in dialetto armeno: “Venga… professore, ho qui la macchina”. Salirono in macchina. Lo portò a casa sua, e “Otto” mangiò tre piatti di spaghetti, una bistecca, bevve mezza bottiglia di Chianti e si addormentò. Gli calarono lentamente le serrande e lo lasciarono dormire due ore. Si svegliò con una fame tremenda, e Fantozzi scese di volata dal portinaio e si fece prestare sei uova. Alle 7 di sera, Otto in perfetto italiano disse: “Beh! Me ne vado a casa… abito qui vicino, vi ringrazio tanto, mi chiamo Ottonelli”. Fantozzi non cercò neppure di ucciderlo e si scaraventò all'aeroporto. Qui c'era un “tipo da tedesco” di nome Otto che stava cercando di accoltellare i funzionari dell'Alitalia. Fantozzi vomitò alla toilette e carponi gli si avvicinò. Lo pregò di salire in macchina. Otto diede una tremenda coltellata a un barista e docilmente si avviò verso l'auto. Salirono in macchina, fecero cento metri e Fantozzi si accorse che aveva una gomma a terra. Si scusò in dialetto romagnolo e fece un tragico cambio di ruota.