Quella stessa notte Fantozzi firmò una cambiale gigante e comperò la chiave della sua cella. Alle 4 e mezzo fuggì nudo attraverso i mille meandri della ex-galera. Alle 5 e I5 scavalcò un muro di cinta e sfuggì miracolosamente alle fucilate delle guardie. Lo cercarono fino alle 6 con i riflettori e i cani, ma riuscì a seminarli rimanendo immerso per più di due ore in uno stagno ghiacciato.
Alle 11 del mattino lo fermò la stradale mentre attraversava l'autostrada del Sole coprendosi con una foglia di quercia. Ora è al neurodeliri in una camicia di forza.
LA VOLTA CHE FANTOZZI ANDÒ A CAVALLO
Qualcuno di voi forse non è mai montato in sella ad un cavallo. Quel qualcuno stenterà quindi a capire tutto quello che è successo a Fantozzi. Ma, questo è un consiglio valido per tutti: se avete dei nemici, se volete ferocemente vendicarvi di qualche pericoloso rivale, consigliategli “una domenica pomeriggio a cavallo” e la sua distruzione fisica e morale sarà definitiva.
In Italia l'equitazione è uno sport per élite, e quindi Fracchia e Fantozzi ne erano del tutto esclusi per una serie di ragioni economiche.
Fracchia ha notizia che nell'entroterra c'è un tale che affitta dei cavalli ad ore. Trova l'idea così seducente che convince Fantozzi: e domenica partono tutti e due, attrezzati per una gita a cavallo.
Attrezzatura di Fracchia: stivali Ia guerra mondiale, giganteschi pantaloni alla zuava ascellari, casco coloniale, giacca blu prima comunione a doppio petto e guanti da violinista.
Attrezzatura Fantozzi: scarpe chiodate da montagna modello 1906, calze corte, calzoncini da mare scozzesi, giacca da frac a coda di rondine, elmo tedesco residuato di guerra. Guanti da violinista. (Questa attrezzatura era stata giudicata da Fracchia “un po' insufficiente”, ma non c'era di meglio al momento.)
Partirono con l'utilitaria di Fracchia e subito, su errata indicazione di un segnalatore specializzato dell'ANAS, anziché il tunnel dell'autostrada infilarono un tunnel ferroviario, facendo un frontale con l'Orient-Express che li riportò subito in centro città.
Evitarono allora prudentemente l'autostrada e arrivarono al maneggio un po' in ritardo sulla tabella di marcia, quando i cavalli erano quasi tutti fuori. Per fortuna il custode del maneggio riuscì a scovare nel fondo delle scuderie due vecchissimi esemplari equini, dei quali non ricordava l'esistenza. Vedendoli ne ricordò però subito i nomi: “Si chiamano uno Fracchia e l'altro Fantozzi!” disse l'affitta-cavalli. Ci fu un leggero smarrimento dei nostri per quel curioso caso di omonimia, ma poi faticosamente montarono in sella. Dico faticosamente perché ogni volta che infilavano il piede sinistro nelle staffe per salire i cavalli si spostavano e loro finivano a terra sullo slancio. In un momento di miracolosa immobilità dei cavalli ce la fecero: Fantozzi su Fracchia, Fracchia su Fantozzi.
Ci fu nella prima mezz'ora un po' di confusione a causa dell'omonimia, però senza gravi inconvenienti. Un po' di suspense si ebbe quando Fantozzi diede una tremenda scudisciata a Fracchia (il collega, non il cavallo). Fracchia (sempre il collega) partì al galoppo con un nitrito fra il grande stupore dei cavalli, ma poi tornò e fu molto comprensivo.
Quando i cavalli andavano al passo tutto funzionava, ma quando cominciavano a trottare era un dramma: rimbalzavano e ricadevano. rimbalzavano e ricadevano sulle selle, non riuscivano ad andare a tempo e prendevano dei contraccolpi che gli squassavano le cervella e le budella.
Nell'attraversamento di Belmonte, al semaforo si schiantò a terra senza preavviso per stanchezza il cavallo Fracchia. Fantozzi fu abilissimo nel cercare di convincerlo a continuare la gita: gli disse della sua misera situazione di impiegato, gli fece presente che il tassametro correva ugualmente. Alla fine con uno zuccherino la spuntò.
E qui nacquero le prime polemiche.
Fracchia sosteneva che gli animali andavano trattati col pugno di ferro a frustate, Fantozzi era per un metodo montessoriano tutto a base di zollette di zucchero, non senza qualche appello alla coscienza professionale dei cavalli.
Si fermarono ad una trattoria rustica e legarono i cavalli ad un olivo. Dalla finestra videro l'olivo senza i cavalli, che si erano immediatamente slegati. “Vado fuori a dargli una lezione” disse Fracchia che era il sostenitore del sistema della violenza. “No, la prego,” fece Fantozzi il montessoriano “li convincerò io con gli zuccherini, lasci fare a me.” Uscì, parlò amorosamente ai cavalli e gli offrì il solito zuccherino. Forse schifati per il troppo zucchero (ma soprattutto, penso, esasperati per tutti quei discorsi noiosissimi), i cavalli adottarono loro il sistema della violenza e Fantozzi (il cavallo) “partì” con una terrificante doppietta in natica al suo omonimo. Questo rientrò a bomba dalla finestra e planò davanti al bar dove si ordinò al volo un cognac. “Funziona?!” gli domandò Fracchia. “A meraviglia!” rispose Fantozzi, bianchissimo, pur senza riuscire a nascondere i segni dei ferri.
Rimontarono in sella e i cavalli ripresero un infernale e squassante trotto polemico. I nostri non osavano parlare, anche perché in un tentativo di: “Che bella idea questa dei cav…”, Fracchia subì un contraccolpo e si amputò la lingua.
Ballavano muti un ritmo infernale, senza poter governare le bestie. I due cavalli decisero a questo punto di organizzarsi la giornata: vollero far colazione in un posticino tranquillo, che loro solo conoscevano a un centinaio di km. di distanza. Dopo pranzo dormirono due ore, quindi via al trotto più diabolico. Essendo amanti delle cose belle vollero visitare il museo di Storia patria di Torino e imposero ai cavalieri un bagno gelato nella Beresina. Riattraversarono trottando a notte fonda, con i tassametri fumanti, Belmonte. I cavalieri urlavano invano: “Passo, andate al passo, figli di puttana!..”.
Al maneggio i due dovettero pagare la corsa e furono scaricati brutalmente. Senza salutarsi andarono a dormire.
Da terra Fantozzi, che aveva subìto uno spostamento generale degli organi interni, si tolse un rene dall'orecchio e domandò furtivamente: “È stata sua, Fracchia, l'idea della passeggiatina a cavallo?”. Non attese risposta, gli balzò sulle spalle e urlò: “Al galoppo ora!”. E lo frustò selvaggiamente, ormai convertito lui pure al sistema della violenza.
IL GIORNO CHE FANTOZZI VISITÒ LA FIERA DI MILANO
Nel mese di maggio ha luogo la famosissima Fiera Campionaria di Milano.
Giunse notizia alla società che c'era la possibilità di visitarla, a condizioni economiche favorevolissime. Decisero allora di organizzare una spedizione di impiegati.
Partenza in pullman alle cinque del mattino, quattro gradi sotto zero! Sotto una pioggia torrenziale e con qualche nevicata isolata. Si erano attrezzati tutti contro quel tempaccio: fiaschi di vino. Tutti si ripetevano: “Beva, che fa sangue!” Si levarono subito i primi tristissimi canti della montagna, e al casello dell'autostrada il pullman fu anche investito da alcune valanghe. I canti erano così belli che per il vino e per il grande impegno interpretativo e per il freddo molti avevano le lacrime agli occhi. Gli italiani quando sono in due si confidano segreti, tre fanno considerazioni filosofiche, quattro giocano a scopa, cinque a poker, sei parlano di calcio, sette fondano un partito del quale aspirano tutti segretamente alla presidenza, otto formano un coro di montagna.
Si esaurì subito il repertorio dell'arco alpino e dopo una breve carrellata di canti abruzzesi si passò a canti armeni. All'autogrill scese a prendere un caffé un branco di avvinazzati. E qui il dottor Lucidi dell'ufficio personale, che era stato assunto per una sua bellissima tesi di laurea dal titolo “L'orientamento professionale dei giovani”, perse completamente l'orientamento, causa vino, sbagliò scala e salì su di un pullman sulla corsia di ritorno: alle nove del mattino di quella domenica era già di ritorno a casa completamente distrutto e in uno stato di ubriachezza molesta, guardato con diffidenza dai vicini che cominciarono a pensarlo un debosciato perdinotte.