Il te con Callia, quando lei aveva creduto di essere cosi furba, quanto sei furba, Arcadia! Cominciava a odiarsi.

Quel te era una manovra, e anche Stettin era stato giocato in modo da permettere a Homir di visitare il palazzo.

Era stata Callia, la povera sciocca, che aveva preparato tutto in modo che la piccola Arcadia fornisse la scusa senza sollevare sospetto nelle menti delle vittime, senza che lei dovesse minimamente apparire.

Ma perche l'aveva liberata? Homir era ancora prigioniero…

A meno che…

A meno che avessero deciso di mandarla sulla Fondazione per fungere da trappola, nella quale sarebbero cascati tutti…

Non poteva tornare alla Fondazione.

– Siamo arrivati, signorina – Il taxi s'era fermato.

Strano! Non se ne era nemmeno accorta.

– Grazie – disse.

Gli porse il biglietto senza guardare l'uomo in faccia, spalanco la porta, e si mise a correre senza guardarsi indietro.

Luci.

Uomini e donne indifferenti.

Enormi tabelloni, su cui in continuazione apparivano e sparivano nomi di navi in arrivo e in partenza.

Dove stava andando? Non importava.

L'unica cosa che sapeva con certezza era che non sarebbe potuta tornare alla Fondazione! Qualunque altro luogo sarebbe andato bene.

Fortunatamente era riuscita a rendersi conto di cosa stava succedendo.

Era bastato quel prezioso secondo, quando aveva visto Callia mutare atteggiamento, in cui aveva visto quell'espressione divertita negli occhi della donna.

Poi Arcadia venne turbata da un altro pensiero, che aveva cercato di ricacciare nel suo subconscio fin da quando era salita sul taxi, e che aveva ucciso per sempre in lei la ragazzina di quattordici anni.

Sapeva che doveva fuggire.

Questo soprattutto.

Anche se avessero localizzato tutti i cospiratori sulla Fondazione, anche se avessero catturato suo padre, non osava, non poteva avvertirli.

Non poteva rischiare la propria vita, nemmeno per Terminus.

Ora era la persona piu importante della Galassia.

Era la sola persona importante della Galassia.

Ragionava in questo modo in piedi di fronte alla macchina che distribuiva i biglietti.

Non aveva ancora deciso dove andare.

In tutta la Galassia, lei, e lei sola, sapeva dove si nascondeva la Seconda Fondazione.

15. Attraverso la rete

Trantor…

A meta del cosiddetto Interregno, Trantor era l'ombra di un pianeta.

Tra le sue rovine colossali viveva una piccola comunita d'agricoltori…

Enciclopedia Galattica

Non c'e niente di paragonabile allo spazioporto della capitale di un popoloso pianeta.

Enormi macchine ferme alle rispettive rampe di lancio.

Gigantesche forme d'acciaio che s'abbassano dolcemente, altre che si sollevano come se avessero perso improvvisamente il proprio peso.

E tutto questo in un silenzio quasi assoluto.

La forza propulsiva e data da una sorgente di nuclei deviati in una direzione definita.

Il novantacinque per cento dell'area dello spazioporto e occupato da, questi mostri di metallo.

Migliaia di chilometri quadrati sono riservati ai calcolatori e agli uomini addetti ai servizi.

Solo il cinque per cento della superficie e adibita alla marea di umanita che dallo spazioporto si imbarca per tutte le destinazioni della Galassia.

E poco probabile che qualcuna delle migliaia di persone anonime che popolano gli spazioporti si sia mai fermata a considerare le difficolta tecniche che richiede il loro funzionamento.

Forse qualcuno avra pensato ai milioni di tonnellate d'acciaio che affondano dolcemente nelle apposite rampe e che in lontananza sembrano piccoli siluri metallici.

Uno di questi ciclopici cilindri potrebbe, in teoria, perdere il contatto con il raggio di guida, andare a sfracellarsi a mezzo miglio di distanza e sfondare il tetto di glassite di quell'immensa sala d'aspetto.

In quel caso solo una leggera nuvola di vapori organici e di polvere di fosfati indicherebbe che migliaia di persone hanno cessato di vivere.

Tuttavia, non sarebbe mai potuto succedere, dati i mille dispositivi di sicurezza in funzione, e solo un nevrotico avrebbe potuto considerare una cosa del genere per piu di un istante.

La folla si muoveva, ondeggiava, si allineava ordinatamente.

Ognuno aveva una meta precisa.

In questa massa di facce anonime, Arcadia si sentiva perduta.

Non aveva una meta, era piena di terrore.

Tra le migliaia di persone che la urtavano o la sfioravano forse c'era qualcuno della Seconda Fondazione.

Qualcuno che in un attimo avrebbe potuto annientarla perche lei sapeva qualcosa che non era dato a nessuno di conoscere: il nascondiglio della Seconda Fondazione.

Poi una voce la fece sussultare mentre il cuore le balzava in petto.

– Sentite, signorina – disse qualcuno irritato, – se non usate la macchina, toglietevi di mezzo.

Solo allora si rese conto di essere in piedi di fronte alla macchina che distribuiva i biglietti.

Bisognava mettere un biglietto di banca di grosso taglio nella fessura apposita, premere il bottone che indicava la destinazione voluta e un biglietto sarebbe uscito insieme al resto che un dispositivo elettronico calcolava rapidamente senza mai commettere un errore.

Era un procedimento molto semplice e l'operazione non richiedeva piu di due minuti.

Arcadia mise un foglio da duecento crediti nella fessura, e cerco il bottone sul quale era scritto Trantor.

Trantor, la capitale morta di un Impero che non esisteva piu, il pianeta sul quale era nata.

Il biglietto non usci, si accese invece un quadrante luminoso sul quale a luce intermittente appariva la cifra 172,18,-172,18-172,18.

Era l'importo mancante.

Introdusse un altro biglietto da duecento crediti.

Spunto immediatamente il biglietto, mentre dall'apposita fessura usciva il resto.

Afferro il biglietto e il resto e fuggi di corsa.

Senti l'uomo dietro di lei che borbottava qualcosa mentre a sua volta infilava i soldi nella macchina.

Continuo a correre senza voltarsi indietro.

Non sapeva dove fuggire.

Tutti le sembravano dei nemici.

Senza rendersene conto guardava un'insegna gigantesca che indicava le piattaforme di partenza: Steffani, Anacreon, Fermus…

Indicava persino Terminus, voleva correre in quella direzione ma non osava…

Per pochi crediti avrebbe potuto acquistare un avviso automatico che, regolato per la destinazione voluta, l'avrebbe avvertita quindici minuti prima della partenza.

Dispositivi del genere servono a persone che sappiano dove andare e che non siano in pericolo.

Arcadia, nel tentativo di guardare simultaneamente in due direzioni, piombo addosso a un viaggiatore.

Senti che l'altro rimaneva senza fiato e l'afferrava per un braccio.

Si dibatte disperatamente cercando di protestare ma la voce non le usciva dalla gola.

L'uomo che la teneva per il braccio la tiro su e aspetto.

Lentamente lei sollevo la testa e guardo l'estraneo in faccia.

L'uomo era basso e grassoccio.

Aveva i capelli folti e bianchi, spazzolati all'indietro con cura che sembravano in contrasto con la faccia rotonda e rossa che tradiva le sue origini contadine.

– Che succede? – le chiese con curiosita sincera. – Sembri spaventata.

– Scusatemi – balbetto Arcadia. – Devo andare.

Scusatemi.

Ma lui non l'ascolto: – Attenta, ragazzina.

Hai perso il biglietto. – Lo raccolse e lo esamino sorridendo compiaciuto.

– Lo immaginavo – disse.

Una donna, anche lei rotonda e rubizza, s'avvicino ai due.

Si passo un dito sulla fronte nel tentativo di mettere in ordine un ciuffo di capelli grigi che spuntavano dal suo cappuccio fuori moda.

– Papa – lo rimprovero – perche urli a questo modo? La gente ti guarda come se fossi impazzito.

Pensi di stare ancora alla fattoria? Poi sorrise ad Arcadia e aggiunse: – Ha dei modi da orso. – Poi alzando di nuovo il tono della voce: – Papa, lascia stare il braccio della ragazzina.

Che cosa stai facendo? Ma lui le mostro il biglietto. – Guarda – disse – anche lei va su Trantor.

La faccia dell'anziana signora si illumino di contentezza. – Sei di Trantor? Papa, lasciale il braccio. – Poso la valigia stracarica e con un gesto gentile ma fermo vi fece sedere sopra Arcadia. – Siediti – le disse – e riposati un poco.

L'astronave non parte che fra un'ora e le panchine sono piene di gente addormentata.

Vieni da Trantor? Arcadia tiro un sospiro e cedette. – Sono nata laggiu.

La signora batte le mani contenta. – E' un mese che siamo qui e finora non abbiamo incontrato nessuno di Trantor.

Sono contenta.

E i tuoi genitori… – si guardo in giro.

– Non sono con i miei genitori – disse Arcadia prudentemente.

– Tutta sola? Una ragazzina come te? – La signora era indecisa tra l'indignazione e la simpatia. – E come puo essere? – Mamma – disse Papa tirandola per la manica – fammi parlare.

C'e qualcosa che non va.

Pare che sia spaventata. – Voleva parlare sottovoce ma Arcadia senti ugualmente. – Stava scappando, l'ho osservata, e non guardava dove andava.

Prima che mi potessi spostare, mi e piombata addosso.

E sai che ti dico? Penso che sia nei guai.

– Chiudi il becco, Papa.

E difficile non andare ad urtare contro uno stomaco come il tuo. – Si sedette accanto ad Arcadia sulla valigia che gemette sotto il peso.

Poi le mise un braccio intorno alle spalle. – Carina, c'e qualcuno che t'insegue? Non aver paura a dirmelo, ti aiutero.

Arcadia guardo i capelli grigi della donna e le sue labbra tremarono.

Una parte del suo cervello le suggeriva che questa era gente di Trantor con i quali avrebbe potuto fare il viaggio e che l'avrebbero aiutata e tenuta con loro fino a quando non fosse riuscita a trovare una soluzione.

Un'altra parte del suo cervello, in modo incoerente, le diceva che non ricordava sua madre che aveva una paura tremenda di combattere l'universo da sola, che voleva solamente rifugiarsi fra due braccia amorose, che se sua madre fosse stata ancora in vita, forse… forse…

E per la prima volta, scoppio in un pianto dirotto: piangeva come una bambina, e ne era contenta; si abbracciava stretta al vestito della donna bagnandolo di lacrime, mentre una mano gentile le accarezzava i capelli.

Papa guardava le due donne perplesso, cercando disperatamente un fazzoletto.

Mamma gli prese il fazzoletto di tasca e con un dito sulle labbra gli impose il silenzio.

La folla passava accanto alla bambina piangente con l'indifferenza propria delle folle anonime.


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