Per un secondo Svetlana tacque. Poi guardò il gessetto infuocato nella propria mano. — Cosa devo fare, Anton?
— Ormai hai aperto il Libro del Destino.
— Anton! Chi ha ragione? Tu o Geser?
Scossi la testa. — Devi scoprirlo da sola.
Svetlana si incupì. — E questo è tutto, Anton? Per questo ti sei impossessato di tanta forza altrui? Per questo hai usufruito della magia di terzo grado?
— Cerca di capire. — Non sapevo quanta fede si esprimeva nella mia voce. — A volte l'importante non è agire. A volte è essenziale l'inazione. Ci sono cose che devi risolvere da sola. Senza consigli. Né da parte mia né da parte di Geser, Zavulon, della Luce o delle Tenebre. Da sola.
Scrollò la testa. — No!
— Sì. Deciderai da sola. Nessuno ti toglierà questa responsabilità. E quale che sia la tua scelta, rimpiangerai sempre e comunque ciò che hai scartato.
— Ti amo, Anton!
— Lo so. Anch'io ti amo. Perciò non ti dirò nulla.
— E questo è il tuo amore?
— Sì.
— Ho bisogno di un consiglio! — gridò. — Anton, ho bisogno del tuo consiglio!
— Ognuno costruisce il proprio destino — dissi. Era persino un po' più di ciò che potevo dirle. — Decidi.
Il gessetto nella sua mano divampò come un sottile ago di fiamma, quando Svetlana si girò verso il Libro del Destino. Uno scatto… le pagine scricchiolarono.
La Luce e le Tenebre. Solo macchie sulle pagine del caso. Uno scatto. Un tratto di penna.
La corsa impetuosa delle righe infuocate.
Svetlana aprì la mano e il gessetto del destino cadde pesantemente ai suoi piedi, come fosse un proiettile di piombo. L'uragano l'avrebbe trascinato via, ma io riuscii a piegarmi e a raccoglierlo.
Il Libro del Destino cominciò a dissolversi.
Egor barcollò, si curvò e cadde su un fianco, ripiegando le ginocchia contro il petto. Si rattrappì come un povero piccolo fagotto.
La pioggia aveva ormai cancellato il cerchio bianco tracciato intorno a loro, così potei avvicinarmi. Mi chinai e lo tenni sollevato per le spalle.
— Non hai inserito nulla! — gridò Geser. — Svetlana, hai solo cancellato!
La maga si strinse nelle spalle. Si guardò intorno. Irrompendo oltre la barriera in dissoluzione, la pioggia le aveva inzuppato il vestito, l'aveva tramutato in un velo di mussola incapace di nascondere il corpo. Fino a un attimo prima Svetlana era stata una sacerdotessa dalla veste candida, ora invece si era trasformata in una ragazza infradiciata, ferma con le braccia abbassate al centro della tempesta.
— Questo era il tuo esame — disse Geser a mezza voce. — Ti sei lasciata sfuggire la tua occasione.
— Luminoso Geser, io non voglio servire nella Guardia — rispose la ragazza. — Chiedo perdono, Luminoso Geser. Ma non è la mia strada. Non è il mio destino.
Geser scosse tristemente la testa. Aveva smesso di guardare Zavulon. In pochi passi il mago delle Tenebre ci fu accanto.
— E questo è tutto? — chiese. Guardò me, Sveta, Egor. — Non siete riusciti a fare niente?
Volse lo sguardo verso l'Inquisitore. Questi alzò la testa e annuì.
Nessun altro gli rispose più.
Un sorriso obliquo comparve sul viso di Zavulon.
— Quanti sforzi, per finire con una farsa. Solo perché una ragazzetta isterica non ha voluto lasciare il proprio innamorato smidollato. Anton, mi hai deluso. Svetlana, mi hai dato motivo di gioia. Geser — il mago delle Tenebre guardò il Capo — congratulazioni per i tuoi ottimi collaboratori…
Alle sue spalle si aprì il Portale. Ridendo sommessamente, Zavulon si immerse in una nube nera.
Dal basso si levò un profondo sospiro. Sapevo cosa stava accadendo senza bisogno di guardare. Uno dopo l'altro gli agenti delle Tenebre uscirono dal Crepuscolo. Si precipitarono verso le proprie macchine parcheggiate intorno all'edificio, affrettandosi a spostarle lontano dagli alberi. Poi, curvandosi, corsero verso le case vicine.
Subito dopo furono gli agenti della Luce a lasciare l'accerchiamento. Solo alcuni, e per gli stessi semplici motivi, comprensibili e umani. Ma la maggior parte, intuii, rimase al suo posto, con lo sguardo rivolto verso l'alto, al tetto dell'edificio. Tigrotto, con un'espressione colpevole. Semën, con il sorriso cupo di chi ha visto ben altro che tempeste del genere. Ignat, con la sua immancabile, sincera compassione.
— Non ci sono riuscita — disse Svetlana. — Geser, chiedo perdono. Non ce l'ho fatta.
— Non avresti comunque potuto — risposi. — E nemmeno dovevi…
Aprii la mano e guardai il gessetto, che nel mio palmo si era ridotto a un semplice pezzettino di gesso, zuppo e appiccicoso. Appuntito a una delle due estremità. Spezzato all'altra.
— Avevi capito tutto da molto tempo? — mi chiese Geser. Si avvicinò e mi si sedette accanto. Il suo scudo si allargò sopra di noi e l'urlo dell'uragano cessò.
— No. Solo poco fa.
— Cosa sta succedendo? — esclamò Svetlana. — Anton, cosa sta succedendo?
Fu Geser a risponderle: — A ciascuno il proprio destino. A uno è dato di governare le vite altrui o di abbattere imperi. A un altro è dato semplicemente di vivere.
— Mentre la Guardia della Notte attendeva che tu agissi — chiarii — Ol'ga ha preso l'altra metà del gessetto e ha riscritto il destino di qualcuno. Così come voleva la Luce.
Geser sospirò. Allungò la mano e toccò Egor. Il ragazzino cominciò a muoversi e cercò di alzarsi.
— Piano, piano — disse il Capo in tono affettuoso. — È tutto finito.
Circondai con il braccio le spalle di Egor e gli feci posare la testa sulle mie ginocchia. Il ragazzino sì calmò di nuovo.
— Dimmi, perché? — domandai. — Se sapevi già tutto in anticipo?
— Persino a me non è dato di sapere ogni cosa.
— Perché?
— Perché tutto doveva avvenire naturalmente — rispose Geser con una lieve irritazione. — Solo così Zavulon avrebbe creduto a ciò che vedeva. Ai nostri piani e alla nostra disfatta.
— Questo non è tutto, Geser. — Lo guardai negli occhi. — Non è tutto!
— Va bene. Sì, avrei potuto farlo anche in un altro modo. Svetlana sarebbe diventata una Grande Maga. Contro il suo stesso desiderio. Egor, malgrado il debito della Guardia nei suoi confronti, si sarebbe tramutato in un nostro strumento.
Aspettai. Avevo una gran voglia di vedere se Geser avrebbe detto tutta la verità. Almeno per una volta.
— Sì, avrei potuto farlo anche così. — Il Capo sospirò. — Solo che, ragazzo mio… Tutto ciò che ho fatto nel corso del XX secolo, oltre che alla grande lotta tra la Luce e le Tenebre, era subordinato a un'altra causa… di nessun danno alla prima, beninteso…
All'improvviso provai pena per lui. Una pena insopportabile. Forse per la prima volta, nell'arco di un millennio, il Grande Mago, il Luminoso Geser, sterminatore di mostri e guardiano delle dominazioni, era costretto a dire la verità fino in fondo. Non bella e nobile come quella che era solito raccontare.
— Non è necessario, ho capito! — gridai.
Ma il Grande Mago scosse la testa.
— Tutto ciò che ho fatto… era subordinato anche a un altro fine. Costringere la direzione a revocare il castigo inflitto a Ol'ga. Restituirle tutte le sue forze e darle di nuovo la possibilità di prendere in mano il gesso del destino… Doveva diventare pari a me. Altrimenti il nostro amore sarebbe stato condannato a morire. E io la amo, Anton.
Svetlana si mise a ridere. Piano piano. Pensai che avrebbe dato uno schiaffo al Capo, ma evidentemente fino a quel momento non avevo capito proprio niente di lei. Si inginocchiò davanti a Geser e gli baciò la mano sinistra.
Il mago trasalì. Fu come se avesse perso le sue forze infinite: la cupola di difesa cominciò a tremolare e si sciolse. Di nuovo ci colpì l'urlo dell'uragano.
— E tenteremo di nuovo di cambiare il destino del mondo? — gli domandai. — Oltre alle nostre piccole faccende personali?
Il Capo annuì. E mi chiese: — La cosa non ti rallegra?