Geser sospirò.

Svetlana si accucciò e cominciò a tracciare un cerchio intorno a sé e al ragazzino.

Non avevo nulla da dire, nulla da fare.

Avevo raccolto talmente tanta forza, che adesso traboccavo.

Avevo il diritto di compiere il Bene.

Non bastava la semplice comprensione.

Cominciò a soffiare il vento. Timidamente, quasi con prudenza. Si placò.

Guardai in alto e sobbalzai. Stava succedendo qualcosa. Lì, nel mondo degli uomini, le nubi avevano coperto il cielo. Non mi ero nemmeno reso conto che fossero spuntate.

Svetlana terminò di disegnare il cerchio. Si rialzò.

Tentai di guardarla attraverso il Crepuscolo e subito distolsi gli occhi. Nella sua mano ardeva come un tizzone arroventato. Chissà se provava dolore.

— Si avvicina una tempesta — disse Zavulon da lontano. — Una vera tempesta, come non si vedeva da tempo.

Fece una risata.

Nessuno prestò attenzione alle sue parole. Tranne forse il vento, che si mise a soffiare con più convinzione e prese a intensificarsi sempre di più. Guardai in giù: per il momento, tutto era ancora tranquillo. Svetlana agitò il pezzo di gesso nell'aria, come abbozzando qualcosa di visibile solo a lei. Una sagoma rettangolare, con un disegno al suo interno.

Egor cominciò a gemere debolmente e rovesciò la testa all'indietro. Cercai di fare un passo e subito mi fermai. Una barriera invalicabile mi bloccava. Ma non sarebbe comunque servito a nulla.

Non era questo.

Quando non si sa come agire, non si deve prestare fede a nulla. Non alla mente fredda, non al cuore puro, non alle mani ardenti.

— Anton!

Mi voltai verso Geser. Il Capo sembrava preoccupato. — Non è una semplice tempesta, Anton. È un uragano. Ci saranno delle vittime.

— Le Forze delle Tenebre? — domandai semplicemente.

— No. Le forze elementari.

— Forse hanno alzato un po' troppo il gomito con il punto centrale della forza? — chiesi.

Il Capo non reagì alla mia presa in giro.

— Anton, che grado di magia ti è stato concesso?

Naturalmente sapeva della mia transazione con Zavulon.

— Terzo.

— Puoi fermare l'uragano — disse Geser. Era una semplice constatazione. — Tutto si risolverà in una pioggia torrenziale. Hai raccolto forza sufficiente.

Il vento riacquistò impeto. Ormai non si sarebbe più placato. Ci investiva e ci strattonava, quasi avesse deciso di strapparci dal tetto. Cominciarono a cadere le prime gocce di pioggia.

— Forse questa è l'ultima possibilità — aggiunse il Capo. — Ma spetta a te decidere.

Con un suono cristallino, intorno a lui spuntò uno scudo magnetico: era come se Geser fosse stato coperto con un sacco di cellofan. Non avevo ancora mai visto prendere simili misure di difesa contro una furia degli elementi tutto sommato ordinaria.

Svetlana continuava a disegnare il Libro del Destino. Il suo vestito ondeggiava al vento. Egor non si muoveva, se ne stava in piedi come inchiodato a un'invisibile croce. Forse non era già più in sé. Cosa accade a una persona, quando perde il suo vecchio destino e non ne ha ancora trovato uno nuovo?

— Geser, tu ti stai preparando a scatenare un tifone al cui confronto questa tempesta non è nulla! — gridai.

Il vento copriva le parole.

— È inevitabile — rispose lui. Aveva parlato in una specie di sussurro, ma ogni parola era risuonata in modo perfettamente chiaro. — Si sta già levando.

Il Libro del Destino divenne visibile anche nel mondo di qua. Ovviamente Svetlana non l'aveva disegnato in senso letterale, ma l'aveva estratto dagli strati più profondi del Crepuscolo. Ne aveva fatto una copia. Qualunque sua modifica si sarebbe riflessa sull'originale. Il Libro del Destino aveva l'aspetto di un modello, un plastico composto di linee infuocate, ardenti, sospese nell'aria. Toccandolo, le gocce di pioggia sfrigolavano.

Ora Svetlana avrebbe cominciato a cambiare il destino di Egor.

Poi, di lì a dieci anni, Egor avrebbe cambiato il destino del mondo.

Come sempre, per il Bene.

Come sempre, senza successo.

Barcollai. In un istante, in modo del tutto inaspettato, il vento si era tramutato in uragano. Tutt'intorno stava succedendo qualcosa di inimmaginabile. Vedevo le macchine fermarsi lungo il viale e stringersi contro il ciglio della strada, lontano dagli alberi.

Senza emettere alcun suono — l'urlo del vento copriva ogni altro fragore — un enorme cartellone pubblicitario si abbatté in mezzo all'incrocio. Alcune figure, che si erano attardate all'aperto, correvano verso le abitazioni, nella speranza di trovarvi riparo.

Svetlana si fermò. Il puntolino ardente bruciava nella sua mano.

— Anton!

Percepii appena la sua voce. — Anton, cosa devo fare? Dimmelo! Anton, devo compiere tutto questo?

Il cerchio di gesso la proteggeva — anche se non del tutto, perché per poco la veste non le si strappava di dosso — permettendole di tenersi in piedi.

Tutto sembrò scomparire. La guardavo, vedevo il gessetto ardente, pronto ormai a cambiare il destino. Svetlana attendeva una risposta, solo che io non avevo nulla da dirle. Nulla, perché io stesso non conoscevo la risposta.

Alzai le braccia verso il cielo infuriato e vidi comparire sulle mie mani i colori della forza.

— Credi di potercela fare? — domandò Zavulon. — La tempesta si è intensificata.

La sua voce spiccava sul fragore dell'uragano altrettanto nitida di quella del Capo.

Geser fece un sospiro.

Aprii le mani e le volsi verso il cielo. Lassù le stelle erano scomparse e solo le nubi si rincorrevano, tra i fulmini e gli scrosci di pioggia.

Si trattava di uno dei sortilegi più semplici. Uno dei primi che ci venivano insegnati.

La rimoralizzazione.

Senza alcuna precisazione.

— Non farlo! — gridò Geser. — Non osare!

Si spostò con uno scatto, coprendomi la vista di Egor e di Svetlana. Come se potesse così impedire il sortilegio. No, a quel punto non poteva più fermarlo.

Un raggio di luce invisibile agli umani sgorgò dalle mie mani. Tutti i granelli di forza che vi avevo spietatamente raccolto. La fiamma purpurea delle rose, il giallo delle erbe selvatiche, il rosa pallido delle peonie, il bianco della camomilla…

Zavulon rideva piano alle mie spalle.

Svetlana se ne stava ferma con il gesso stretto nella mano sopra il Libro del Destino.

Egor era immobile di fronte a lei, con le braccia distese.

Figure scolpite. La forza era nelle mie mani. Non ne avevo mai posseduto una quantità tale. Incontrollabile, traboccante, pronta a rovesciarsi su chiunque.

Sorrisi a Svetlana. E piano piano diressi verso il suo viso le mie palme, zampillanti di luce multicolore.

— No! — L'urlo di Zavulon non squarciò semplicemente il fragore dell'uragano: lo coprì. La vampa di un fulmine attraversò il cielo. Il capo degli agenti delle Tenebre si lanciò verso di me, ma Geser gli si mosse incontro. Non vidi la scena, la percepii. Il fulgore mi inondava il volto. Mi girava la testa. Non sentivo più il vento.

Era rimasto soltanto quell'arcobaleno infinito, in cui naufragavo.

Il vento imperversava tutt'intorno senza toccarmi. Guardai Svetlana: la parete invisibile che si era sempre frapposta tra noi stava crollando. Crollava, ma per chiuderci entrambi dentro una barriera. I capelli di Sveta si sparsero morbidamente tutt'intorno al suo viso.

— Hai consumato tutto per te?

— Sì — dissi.

— Tutto ciò che avevi accumulato?

Non ci credeva, non riusciva ancora a crederci. Sapeva qual è il prezzo per la forza presa in prestito.

— Fino all'ultima goccia! — risposi. Mi sentivo sollevato, incredibilmente leggero.

— Perché? — La maga allungò una mano. — Perché, Anton? Potevi fermare questa tempesta. Potevi rendere felici centinaia di persone. Come hai potuto… Tutto per te?

— Per non sbagliarmi — le spiegai. Era persino imbarazzante che una futura Grande Maga non afferrasse una simile piccolezza.


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