Uscimmo dall'androne, ci incamminammo lungo il marciapiede. Il cortile era grande, circondato da case da tutti i lati. Percepivo anch'io l'aura del ragazzino, anche se debole e confusa: doveva passare di qui regolarmente.

— Avanti — ordinò Ol'ga. — Gira a sinistra. Diritto. A destra. Alt…

Mi arrestai davanti a una via lungo la quale avanzava lento un tram. Dal Crepuscolo non ero ancora uscito.

— In questa casa — comunicò Ol'ga. — Avanti. Lui si trova là.

Era un casermone mostruoso. Piatto, altissimo. Sembrava poggiare su delle zampe e a una prima occhiata ricordava un gigantesco monumento a una scatola di fiammiferi. Alla seconda, un'esibizione patologica di megalomania.

— In una casa così si può uccidere — dissi — o impazzire.

— Occupiamoci di tutte e due le questioni — propose Ol'ga. — Sai, ho una grande esperienza in queste cose.

Egor non voleva uscire di casa. Quando i genitori erano andati al lavoro e la porta si era richiusa di colpo, lui subito si era sentito in preda alla paura. E sapeva che oltre i confini del suo appartamento vuoto quella paura si sarebbe trasformata in autentico terrore.

Non aveva scampo. In nessun luogo e in nessun modo. Ma la casa creava almeno un'illusione di sicurezza.

Il mondo si era spezzato, il mondo era crollato la notte prima. Egor aveva sempre ammesso onestamente, sebbene non davanti a tutti ma solo con se stesso, di non essere coraggioso. Del resto non era neppure un vigliacco. Vi erano cose delle quali si poteva e si doveva avere paura: teppisti, maniaci, terroristi, catastrofi, incendi, guerre, malattie incurabili. Ma si poteva fare di tutta un'erba un fascio e soprattutto erano pericoli lontani. Esistevano, erano reali, ma fuori della vita di tutti i giorni. Bastava rispettare le regole essenziali: non girare di notte, non introdursi in quartieri che non si conoscevano, lavarsi le mani prima di mangiare, non saltare sui binari. Sì, si poteva aver timore delle disgrazie, ma si capiva anche che le possibilità di rimanere inguaiati erano scarse.

Ora tutto era cambiato.

C'erano fenomeni ai quali era impossibile sfuggire. Fenomeni che non esistono e non possono esistere al mondo.

Esistevano i vampiri.

Rammentava distintamente — il terrore non l'aveva privato della memoria — ciò su cui aveva confidato ieri mentre correva a casa e, contro le sue abitudini, aveva attraversato la strada senza guardarsi intorno. E nutriva la timida speranza che al mattino ciò che aveva veduto in sogno non si avverasse.

Era la verità. Una verità impossibile. Ma…

Era accaduto ieri. Era accaduto a lui.

Era rincasato tardi, d'accordo, ma gli succedeva di tornare anche più tardi. Persino i suoi genitori, che secondo la ferma convinzione di Egor ancora non accettavano che lui avesse quasi tredici anni, erano tranquilli su questo punto.

Quando era uscito dalla piscina con gli altri ragazzi… erano già le dieci. Tutti insieme si erano infrattati da McDonald's e si erano fermati là una ventina di minuti. Di solito dopo l'allenamento chi poteva permetterselo andava da Mac. Poi… poi avevano raggiunto tutti insieme il metrò. Non era lontano. La strada illuminata. In sette o otto.

Allora era ancora tutto normale.

Nel metrò chissà perché aveva cominciato a sentirsi inquieto. Aveva guardato l'orologio e scrutato la gente intorno. Non c'era niente di sospetto.

Ma Egor aveva udito quella musica.

E aveva avuto inizio quel qualcosa che non sarebbe dovuto esistere.

Aveva svoltato chissà perché nell'androne buio e maleodorante. Gli erano venuti incontro una ragazza e un ragazzo che erano lì ad aspettarlo. Che l'avevano stregato. E lui stesso aveva porto il collo alle labbra sottili, taglienti, non umane della ragazza.

Persino ora che era a casa, da solo, Egor avvertiva un brivido gelido, dolce, seducente corrergli lungo la pelle e solleticarlo. Ne provava desiderio! Aveva paura, ma desiderava accostarsi a quei canini risplendenti, a quel dolore momentaneo, dopo il quale, dopo il quale… dopo il quale qualcosa sarebbe probabilmente avvenuto…

E nessuno in tutto il mondo poteva aiutarlo. Egor non aveva dimenticato lo sguardo di quella donna che portava a passeggio il cane. Quello sguardo che l'aveva trapassato, sospettoso ma nient'affatto indifferente. Non si era spaventata, solo non aveva visto ciò che stava avvenendo… A salvare Egor era stata solo l'apparizione del terzo vampiro. Quel ragazzo pallido col walkman che non l'aveva mollato fin dal metrò. Si erano buttati su di lui come lupi affamati su un cervo catturato ma non ancora ucciso.

E a quel punto tutto si confondeva: era accaduto troppo in fretta. Le urla su una certa Guardia e su un certo Crepuscolo. Un lampo di luce blu e un vampiro aveva cominciato a dissolversi sotto i suoi occhi, come al cinema. Il combattimento della vampira cui avevano schizzato qualcosa sul volto.

E la corsa in preda al panico…

La comprensione graduale, terribile, sempre più terribile di ciò che era accaduto: non poteva raccontare nulla a nessuno. Nessuno l'avrebbe creduto. Capito.

I vampiri non esistono!

Non si può attraversare con lo sguardo le persone senza vederle!

Nessuno brucia nel vortice di un fuoco blu, trasformandosi in mummia, in scheletro, in un pugno di cenere!

"Non è vero" pensò Egor. — Sì che si può. Succede!

Quasi non riusciva a credere a se stesso…

Non era andato a scuola, ma in compenso aveva rassettato l'appartamento. Aveva voglia di fare qualcosa. Parecchie volte si era avvicinato alla finestra e aveva scrutato nel cortile.

Nulla di sospetto.

Ma sarebbe stato in grado di vederli?

Sarebbero venuti. Egor non ne aveva dubitato neppure un secondo. Lo sapevano che lui non li aveva dimenticati. L'avrebbero ucciso come testimone.

E non si sarebbero limitati a ucciderlo! Avrebbero bevuto il suo sangue e l'avrebbero trasformato in un vampiro.

Il ragazzo si avvicinò alla libreria dove metà dei ripiani era occupata dalle videocassette. Forse poteva trovare consiglio. Dracula, morto e contento… No, è una commedia. Amore all'ultimo morso. Tutte sciocchezze… La notte dei morti viventi. Egor trasalì. Questo film se lo ricordava. E ormai non rischiava più nulla a rivederlo. Com'è che dicevano nel film? «La croce ti aiuta se hai fede…»

Ma come poteva aiutarlo la croce se lui non era neppure battezzato? E se non credeva neppure in Dio? Non ci aveva mai creduto.

Ora, forse, avrebbe dovuto…

Se esistono i vampiri, allora vuol dire che esiste anche il diavolo; se esiste il diavolo, allora esiste anche Dio?

Se esistono i vampiri, allora esiste anche Dio?

Se esiste il Male, allora esiste anche il Bene?

— Non esiste nulla — disse Egor. Ficcò le mani nelle tasche dei jeans e andò in corridoio. Si guardò allo specchio. Forse aveva l'aria un po' troppo cupa, ma era esattamente un ragazzo come tanti altri. Voleva dire che per ora era tutto normale. Non avevano fatto in tempo a morderlo.

A ogni modo girò su se stesso, cercando di esaminarsi la nuca. No, non c'era nulla. Nessuna traccia. Il collo era inagrissimo e non proprio pulito…

L'idea gli era venuta all'improvviso. Egor si fiondò in cucina, spaventando il gatto che si era acciambellato sulla lavatrice. Prese a rovistare tra i sacchetti con le patate, le cipolle e le carote.

Eccolo. L'aglio.

Dopo averne pulito in fretta una testa, Egor si mise a masticarla. L'aglio era cattivo, e lui aveva la bocca in fiamme. Si versò un bicchiere di tè. Non lo aiutò più di tanto: la lingua bruciava, le gengive gli pizzicavano. Eppure avrebbe dovuto aiutarlo, no?

Il gatto lanciò un'occhiata in cucina. Fissò perplesso il ragazzo, miagolò deluso e si allontanò. Non capiva come si potesse mangiare una simile porcheria. Egor sputò nel palmo della mano e prese a spalmarsi la saliva sul collo. Anche a lui sembrava ridicolo, ma ormai non poteva più fermarsi.


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