Lanciai un'occhiata agli amici e al mago delle Tenebre, che sembrava caduto in letargo, e uscii dalla stanza.

Mi accompagnarono in silenzio, senza parole superflue, né consigli o incoraggiamenti. Del resto non è che facessi niente di speciale. Andavo solo a morire.

Regnava il silenzio.

Un silenzio sospetto anche in un quartiere dormitorio come quello, a quell'ora della sera. Come se si fossero rintanati tutti in casa, avessero spento la luce e ficcato la testa sotto le coperte e tacessero. Tacessero senza nemmeno dormire. Solo ombre purpuree e azzurrine balenavano sulle finestre: dovunque erano accesi i televisori. Era ormai un'abitudine inveterata, terribile e penosa, accendere il televisore e guardare tutto quel che capitava, dalle televendite alle notizie. Gli uomini non vedevano il mondo del Crepuscolo, ma erano in grado di avvertire la sua presenza.

— Ol'ga, che ne pensi di questo vortice? — chiesi.

— È invincibile — disse.

Stavo lì a guardare il vertice flessibile del turbine simile alla proboscide di un elefante.

— Quanto… a che altezza potresti intervenire per estinguerlo?

Ol'ga ci pensò su: — Circa cinque metri. C'è ancora una possibilità. A tre metri di sicuro.

— E in questo modo la ragazza si salverebbe?

— È probabile.

C'era qualcosa che mi inquietava. In questo silenzio anormale, ora che persino le auto cercavano di aggirare il quartiere condannato, si udivano comunque dei suoni…

Poi capii. Erano i cani che guaivano. In tutti gli appartamenti delle case circostanti dei poveri cani indifesi si lamentavano penosamente con i loro padroni. Vedevano approssimarsi l'inferno.

— Ol'ga. Forniscimi tutti i dati sulla ragazza.

— Svetlana Nazarova. Venticinque anni. Medico, lavora al Policlinico 17. Fuori del controllo della Guardia della Notte. Fuori del controllo della Guardia del Giorno. Non ha rivelato poteri magici. I genitori e il fratello minore vivono a Brateevo; con loro ha contatti sporadici, soprattutto telefonici. Quattro amici sorvegliano che sia tutto "pulito". Rapporti con le persone sereni, non è stato rilevato nessun forte conflitto.

— Fa il medico — dissi io, assorto. — Forse questo è un indizio, Ol'ga. Magari un vecchio o una vecchia… insoddisfatti della cura. Negli ultimi anni di vita a volte possono verificarsi esplosioni di poteri magici latenti…

— Occorre controllare… — replicò Ol'ga. — Per ora non abbiamo dati in tal senso.

Eh, già. Era sciocco buttarsi a indovinare. Per mezza giornata sulla ragazza avevano operato persone decisamente più intelligenti di me.

— Cosa abbiamo ancora?

— Gruppo sanguigno: 0. Non risultano patologie gravi, sporadici e lievi dolori cardiaci. Il suo primo rapporto sessuale l'ha avuto a diciassette anni con un coetaneo, per curiosità. È stata sposata per quattro mesi ed è divorziata da due anni, con l'ex marito è in rapporti amichevoli. Niente figli.

— Poteri del marito?

— Zero. Ha una nuova moglie, anche lei zero poteri. Immediatamente eseguiti i controlli.

— Nemici?

— Due colleghe maligne al lavoro. Due spasimanti respinti, sempre sul luogo di lavoro. Un compagno di scuola che sei mesi fa ha cercato di ottenere un certificato ospedaliero falso.

— E…

— Lei si è rifiutata.

— Però! E come sono messi a poteri magici?

— Praticamente zero. Il livello di malvagità è quello ordinario. Tutti quanti hanno poteri magici deboli. Non sarebbero mai capaci di scatenare un turbine come questo.

— Si sono verificate morti di pazienti negli ultimi tempi?

— No.

— E allora da dove viene la maledizione? — dissi, facendo una domanda retorica. Ora era chiaro come mai i Guardiani si fossero arenati. Svetlana era proprio una brava bambina. Cinque nemici in venticinque anni, c'era da esserne fieri.

Ol'ga tacque.

— Dobbiamo andare — dissi. Mi voltai verso la finestra dove si scorgevano i profili dei ragazzi. Uno della sorveglianza mi fece un cenno di saluto. — Ol'ga, come ha lavorato Ignat?

— Mediamente bene. Incontro per strada, secondo la variante "intellettuale imbranato". Un caffè al bar. Conversazione. Il livello di attrazione nell'oggetto si è subito accresciuto, Ignat ha optato per un atteggiamento di maggiore intimità. Ha comprato una bottiglia di spumante e una di liquore e sono venuti qui.

— E poi?

— Il turbine ha cominciato ad aumentare.

— Motivo?

— Nessuno. Ignat le era piaciuto, anzi, lei cominciava a sentire una forte infatuazione per lui. Ma in quel momento la dimensione del vortice è aumentata in modo catastroficamente rapido. Ignat ha sperimentato tre stili di comportamento, giungendo persino all'inequivocabile richiesta di fermarsi la notte e il vortice è arrivato a uno stadio esplosivo. È stato richiamato e il vortice si è stabilizzato.

— E come hanno fatto a richiamarlo?

Ero già congelato e avvertivo uno sgradevole senso di bagnato negli scarponi. Non ero ancora pronto a intervenire.

— «La mamma sta male.» Telefonata al cellulare, la conversazione, le scuse, la promessa di richiamare l'indomani. Tutto "pulito", l'oggetto era al di sopra di ogni sospetto.

— E il vortice si è stabilizzato?

Ol'ga tacque. Evidentemente doveva essersi messa in contatto con gli analisti.

Eppure c'era qualcosa che non andava. Solo che non potevo formulare in nessun modo i miei vaghi sospetti.

— Dov'è il suo ambulatorio, Ol'ga?

— Qui, da queste parti. Nella casa. Da lei vanno abbastanza spesso dei pazienti… Dicono che si è persino ridotto di tre centimetri. Ma potrebbe essere un normale assestamento dopo l'aumento di dimensioni.

— Magnifico. Allora andrò da lei in veste di paziente.

— Hai bisogno di essere dotato di una finta memoria?

— Me la caverò.

— Il Capo approva — rispose Ol'ga dopo una pausa. — Agisci. Il tuo travestimento è quello di Anton Gorodeckij, programmatore, scapolo, in cura da tre anni per ulcera gastrica, vive nello stesso stabile; in caso di necessità forniremo servizi logistici.

— Tre anni sono troppi — dichiarai io. — Facciamo uno. Massimo uno.

— Va bene.

Fissai Ol'ga e lei fissò me, col suo sguardo immobile da uccello da cui però ancora s'intuiva una traccia della donna aristocratica e coperta di sudiciume che aveva bevuto il cognac in cucina da me.

— Buona fortuna! — mi augurò. — Cerca di ridurre il vortice. Almeno di una decina di metri… poi sarò io a rischiare.

L'uccello volò via e sparì nel Crepuscolo, chissà dove, nei suoi strati più profondi.

Sospirando, raggiunsi l'edificio. La proboscide del turbine ondeggiava, cercando di sfiorarmi. Io tesi le palme, incrociandole, in segno di allontanamento.

Il turbine sussultò e rotolò via. Senza timore, piuttosto accettando le regole del gioco. Con simili dimensioni e pronto a esplodere in modo infernale, doveva comportarsi con raziocinio e non diventare un missile telecomandato, ma un feroce ed esperto kamikaze. Suonava buffo: "un esperto kamikaze", anche se, riferita alle Tenebre, questa definizione era appropriata. Irrompendo nel mondo degli uomini, il turbine infernale era destinato a perire, ma non era molto di più che la morte di una vespa in un immenso sciame.

— La tua ora non è ancora venuta — dissi. Il turbine infernale non poteva rispondere, ma io avevo comunque voglia di dirlo.

Passai accanto al vertice che sembrava fatto di vetro nero che avesse acquisito l'elasticità della gomma. La sua superficie esterna era quasi immobile, ma in profondità, dove il blu scuro era buio insondabile, s'intuiva un mulinare furioso.

Forse avevo torto. O forse l'ora era venuta…

Nella casa non c'era neppure un codice per entrare. C'era una serratura, ma era stata rotta, scardinata. Era normale. Un piccolo benvenuto dalle Forze delle Tenebre. Mi ero già disabituato a prestare attenzione ai loro impercettibili aloni, alle scritte e alle tracce delle loro suole sudicie sui muri, alle lampadine fulminate e agli ascensori fuori uso. Ma ora ero su di giri.


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