Non mi occorreva nemmeno conoscere il suo indirizzo. Sentivo la ragazza — non era il caso di non chiamarla ragazza solo per via del matrimonio, era più che altro la categoria dell'età a contare — sapevo dove andare, avevo già visto il suo appartamento, o meglio, non è che l'avessi visto, l'avevo percepito nella sua interezza.

L'unica cosa che non capivo era come togliere di mezzo quel maledetto vortice…

Mi fermai davanti alla porta, una porta normale, non blindata, il che era assai strano a pianterreno, per di più con la serratura del portone rotta. Sospirai profondamente e suonai. Erano le undici. Un po' tardi, certo.

Si udirono dei passi. Nessuna sensazione di isolamento acustico…

Capitolo 7

Aprì subito la porta.

Senza fare una domanda, senza guardare dallo spioncino, senza mettere la catenella. Eppure abitava a Mosca! Era notte! Si trovava da sola nell'appartamento! Il turbine aveva fagocitato anche gli ultimi residui di prudenza, la stessa che consente a una ragazza di resistere anche per parecchi giorni. Ecco com'è che muoiono di solito le persone sulle quali è caduta una maledizione…

Ma esteriormente Svetlana per il momento restava normale. Eccezion fatta per le borse sotto gli occhi… ma chi poteva mai dire come aveva trascorso la notte? Ed era vestita… aveva una gonna, una blusa elegante e le scarpe ai piedi, come se aspettasse qualcuno o si preparasse a uscire.

— Buonasera, Svetlana — dissi, già vedendo dal suo sguardo che dava segno di riconoscermi. Certo doveva conservare un assai vago ricordo di me dal giorno prima. E quell'istante in cui lei aveva capito che ci conoscevamo, senza ricordare come, andava sfruttato.

Mi allungai attraverso il Crepuscolo. Con cautela, perché il turbine era quasi incollato sopra la testa di lei e poteva scatenarsi una reazione in qualsiasi istante. Con cautela, perché non avevo voglia di ingannarla.

Anzi, desideravo solo il suo bene.

Può essere interessante e divertente solo la prima volta. Ma se continui a trovarlo interessante anche dopo, non c'è posto per te nella Guardia della Notte. Un conto è modificare le categorie morali, e sempre dalla parte del Bene. Un altro è interferire nella memoria. È inevitabile, bisogna farlo, è previsto dal Patto e il processo di entrata e uscita dal Crepuscolo provoca in chi sta intorno un'amnesia momentanea.

Ma se anche solo una volta provi piacere a giocare con la memoria altrui, è venuta per te l'ora di andartene.

— Buonasera, Anton. — La sua voce diventò fluida quando la costrinsi a ricordare ciò che non era mai avvenuto. — Le è successo qualcosa?

Sorrisi con malignità, battendomi lo stomaco. Nella memoria di Svetlana era in corso un uragano. Non ero così in gamba da poterla dotare di una memoria prefabbricata e falsa. Per fortuna bastava darle due o tre input e poi si sarebbe ingannata da sola. Aveva assemblato la mia immagine da quella di un suo remoto conoscente che mi somigliava fisicamente e da un altro ancora più remoto e fortuito, ma che le era simpatico, da una ventina di pazienti della mia stessa età e da qualche vicino di casa. Io avevo appena interferito nel processo, stimolando Svetlana a elaborare l'intera immagine. Una brava persona… un nevrotico… per questo è spesso malato… flirta un po', ma solo un po'… è molto insicuro… vive nella scala accanto.

— Ha dolore? — disse, concentrandosi. Era davvero un bravo medico. Un medico per vocazione.

— Un po'. Ieri sera ho bevuto. — Tutto il mio aspetto esprimeva pentimento.

— Anton, l'avevo avvertita… Entri…

Entrai e chiusi la porta, lei non si preoccupò nemmeno di questo. Quando mi fui spogliato, mi guardai intorno nel mondo ordinario e in quello del Crepuscolo.

Una tappezzeria a buon mercato, un tappetino logoro sotto i piedi, vecchi stivali, il lampadario che pende dal soffitto con una semplice lampadina di vetro, il radiotelefono sul muro, con un pessimo ricevitore cinese. Un ambiente povero, pulito, dozzinale. E non solo perché fare il medico d'ambulatorio non rende molto. Piuttosto è lei a non avere ambizioni di benessere e comfort. Male… molto male.

Nel mondo crepuscolare l'appartamento faceva un'impressione quasi migliore. Nessun vegetale ripugnante, nessuna traccia delle Forze delle Tenebre. Se si esclude il vortice malefico, certo. Che imperava… Lo vedevo tutto intero, dal vertice che si avvitava sopra la testa della ragazza fino all'infiorescenza che si dilatava per un'altezza di trenta metri.

Seguendo Svetlana, entrai nell'unica stanza. Qui era più accogliente. Il divano brillava di un caldo color arancione e nell'angolo c'era una vecchia lampada a stelo. Due pareti erano coperte da scaffali stipati di libri: sette, posti l'uno sopra l'altro in altezza… Era tutto chiaro.

Cominciavo a capirla. Non come oggetto di lavoro, né come ipotetica vittima di un mago delle Tenebre che aveva agito di sua iniziativa, e nemmeno come causa involontaria di disastro, ma come persona. Una ragazzina che viveva solo di libri, introversa e piena di complessi, con in testa un mucchio di ridicoli ideali e il sogno infantile del principe azzurro che era in cerca di lei e che un giorno l'avrebbe senz'altro trovata. La professione di medico, qualche amica, qualche amico e molta, moltissima solitudine. Lavoro coscienzioso, come nel codice del costruttore del comunismo, rare uscite al caffè e rari innamoramenti. E le sere, tutte identiche l'una all'altra, sul divano con un libro, il telefono accanto e il ronzio rassicurante e narcotizzante del televisore in sottofondo.

Non è possibile.

Ogni azione del Bene è accettazione dell'esistenza dell'attività del Male. Il Patto! La Guardia! L'equilibrio del mondo!

Sopporta o impazzisci, viola la legge o vai tra la folla, distribuisci alla gente regali non richiesti, contravvenendo al destino e aspettandoti a ogni svolta di imbatterti in ex amici o eterni amici pronti a spedirti nel Crepuscolo. Per sempre…

— Anton, come sta sua madre?

Ah, già. Io, il paziente Anton Gorodeckij, ho una vecchia madre che soffre di osteoporosi e di tutte le malattie tipiche degli anziani. Anche lei è una paziente di Svetlana.

— Bene, bene. Sono io che…

— Si sdrai.

Mi tolsi il maglione e la camicia, e mi sdraiai sul divano. Svetlana mi sedette accanto. Passava le sue calde dita sul mio stomaco, palpando per qualche ragione il fegato.

— Le fa male?

— No… ora no.

— Quanto ha bevuto?

Rispondevo alle domande, scovando le risposte nella memoria della ragazza. Non conveniva affatto far la parte di quello che stava per morire. Sì… dolori sordi, non forti… Dopo mangiato… Ecco, adesso si fa un pochino sentire…

— Per ora è solo una gastrite, Anton… — Svetlana aveva finito di visitarmi. — Non c'è da essere contenti, lo capisce anche lei. Adesso le scrivo la ricetta…

Si alzò, andò verso la porta, tolse dall'attaccapanni la borsetta. Per tutto il tempo io avevo controllato il vortice: non era accaduto niente, il mio arrivo non aveva provocato nessuna intensificazione infernale, ma non ero riuscito neppure a indebolirlo…

— Anton… - Dal Crepuscolo trapelò una voce, e io riconobbi Ol'ga. — Anton, il vortice si è ridotto di tre centimetri. Forse hai fatto la mossa giusta. Pensaci, Anton.

La mossa giusta? Quando? Eppure non avevo fatto nulla, avevo solo trovato il pretesto per la visita!

— Anton, ha ancora del Maalox in casa? — Svetlana mi guardò. Mi aggiustai la camicia e risposi: — Sì, ne ho ancora qualche compressa.

— Quando arriva a casa, ne prenda una. E domani ne comprerà dell'altro. Lo prenda per due settimane, la sera prima di andare a dormire.

Svetlana era evidentemente uno di quei dottori che credevano nelle medicine. Non mi turbava, anch'io ci credevo. Noi, gli Altri, proviamo di solito un entusiasmo irrazionale per la medicina, e persino nei casi in cui sono sufficienti degli elementari rimedi magici propendiamo per la Tachipirina e gli antibiotici.


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