Che fortuna che simili decisioni siano impossibili per noi quanto l'assassinio richiesto da un mago delle Tenebre.
— A cosa pensi, Anton?
— Sveta, che ti è successo?
— Anton, troppo brutale! Continua a conversare, Anton!
— Possibile che si noti tanto?
— Sì.
Svetlana abbassò gli occhi. Mi aspettavo di sentir gridare Ol'ga che il vortice malefico aveva cominciato a estendersi catastroficamente, ineluttabilmente, che avevo rovinato, distrutto tutto e che d'ora in poi avrei avuto sulla mia coscienza migliaia di vite umane… Ol'ga taceva.
— Ho tradito…
— Cosa?
— Ho tradito mia madre.
Mi fissava seria, senza l'odiosa posa di chi ha compiuto una bassezza e gigioneggia per questo.
— Non capisco, Sveta.
— Mia madre è malata, Anton. Ai reni. Ha bisogno di emodialisi… che però è solo un palliativo. Insomma… mi hanno proposto… un trapianto.
— Perché a te? — Ancora non capivo.
— Mi hanno proposto di donare un rene. A mia madre. È quasi certo che vivrebbe e ho superato anche tutti i test… Poi ho rifiutato. Ho… ho paura.
Tacevo. Ormai era tutto chiaro. Qualcosa aveva funzionato, qualcosa aveva agito in me, inducendo Svetlana a confidarsi apertamente. Sua madre.
Sua madre!
— Anton, sei in gamba! I ragazzi sono partiti. - La voce di Ol'ga era esultante. E così avevamo trovato il mago delle Tenebre! — Però… e dire che al primo contatto nessuno l'aveva percepito, solo una bolla di sapone… Bravo! Rassicurala, Anton, parlale, consolala…
Nel Crepuscolo non devi turarti le orecchie. Devi ascoltare quel che ti dicono.
— Svetlana, nessuno ha il diritto di pretendere questo…
— Sì, io l'ho detto alla mamma… e lei mi ha risposto di scordarmene. Ha detto che l'avrebbe fatta finita, se avessi preso questa decisione. Tanto, che importava… doveva morire comunque. A me non costava restare menomata. Era fuori discussione. Dovevo donare il rene. Magari l'avrebbe saputo dopo l'operazione! Si può persino partorire con un rene solo… ci sono dei precedenti.
I reni. Che sciocchezza. Che inezia. Un'ora di lavoro per un mago bianco. Ma a noi non è consentito guarire, ogni vera guarigione è la concessione a un mago delle Tenebre di una nuova maledizione, di una nuova iettatura. E così una madre… una madre naturale, senza che se ne renda conto lei stessa, in un accesso momentaneo di emozioni, pur dicendo a parole una cosa e proibendo alla figlia anche di pensare all'operazione, la maledice. E scoppia quel mostruoso vortice nero.
— Ora non so cosa fare, Anton. Mi comporto da sciocca. Oggi per poco non saltavo nel letto di uno sconosciuto. — Svetlana alla fine si era decisa a dirlo, anche se non richiedeva meno coraggio del racconto su sua madre.
— Sveta, si può trovare una soluzione — presi a dire. — Capisci, l'essenziale è non arrendersi, non colpevolizzarsi per niente…
— Ma io gliel'ho detto apposta, Anton! Lo sapevo che avrebbe risposto così! Io volevo che me lo proibisse! Avrebbe dovuto maledirmi, idiota che non sono altro!
Svetlana, tu non sai quanto hai ragione… Nessuno sa quali meccanismi agiscano, che cosa succeda nel Crepuscolo e quale differenza esista tra la maledizione di uno sconosciuto e la maledizione di un essere amato, la maledizione di un figlio o di una madre. Solo che la maledizione di una madre è la più terribile di tutte.
— Anton, calma.
La voce di Ol'ga mi fece rinsavire all'istante.
— È troppo semplice, Anton. Hai mai avuto a che fare con maledizioni materne?
— No — dissi io. Lo dissi a voce alta, rispondendo a Svetlana e a Ol'ga insieme.
— Sono colpevole — disse Svetlana. scuotendo il capo. — Grazie, Anton, ma sono davvero colpevole.
— Io ci ho avuto a che fare - intervenne una voce dal Crepuscolo. — Anton, caro, non appare così! L'ira materna assume la forma di un lampo nero luminoso e di un grande vortice. Ma si dissolve in un istante. Quasi sempre.
Forse. Non intendevo discutere. Ol'ga era una specialista di maledizioni. Ne aveva viste di ogni genere. Sì, certo, al proprio figlio non si augura il male… o meglio, non lo si augura troppo e a lungo. Ma esistono delle eccezioni.
— Le eccezioni sono possibili - concordò Ol'ga. — Ora sua madre verrà subito sottoposta a tutti i controlli. Ma non confiderei in un successo troppo rapido.
— Svetlana, non esiste un'altra via d'uscita? Non c'è un altro modo per aiutare tua madre? Oltre al trapianto, voglio dire?
— No, io sono medico, lo so. La medicina non è onnipotente.
— E se ci fosse, al di fuori della medicina?
Svetlana indugiò. — Di cosa stai parlando, Anton?
— Della medicina non ufficiale — dissi. — Di quella popolare.
— Anton…
— Lo capisco, Svetlana, è difficile crederci — mi affrettai a dire. — C'è una quantità di ciarlatani, affaristi, psicopatici. Ma non saranno solo menzogne…
— Anton, mostrami uno che abbia davvero guarito una grave malattia. — Svetlana mi guardò con ironia. — Non raccontarmelo, mostramelo. Mostrami questa persona e i suoi pazienti, preferibilmente prima e dopo la cura. E allora ci crederò, crederò a tutto. Ai sensitivi, ai chiropratici, ai maestri di magia bianca e nera…
Senza volere si ripiegò su se stessa. Su quella ragazza incombeva la più esorbitante prova dell'esistenza della magia nera, una prova da manuale.
— Posso dimostrarlo — dissi. E mi rammentai di quando avevano portato Danila in ufficio. Si trattava di un normale scontro… non proprio il più banale, ma neppure così grave. Semplicemente gli era andata male. Avevano preso una famiglia di mutantropi per qualche lieve violazione del Patto. I mutantropi avrebbero potuto arrendersi e tutto si sarebbe concluso con una breve indagine tra i Guardiani.
Ma i mutantropi preferirono resistere. Forse avevano lasciato una traccia… una traccia di sangue di cui i Guardiani della Notte non erano al corrente e di cui non avrebbero scoperto mai niente. Danila avanzò per primo e lo massacrarono ben bene. Il polmone sinistro, il cuore, una profonda ferita al fegato e un rene strappato di netto.
A sistemare Danila fu il Capo, assistito da quasi tutto il personale della Guardia, da coloro che in quel momento avevano i poteri. Io stavo nel terzo cerchio: il nostro compito non era tanto quello di alimentare l'energia del Capo, quanto quello di riflettere l'influenza esterna. Tuttavia di tanto in tanto osservavo Danila. Affondava nel Crepuscolo, ora da solo ora con il Capo. A ogni suo ritorno nella realtà le ferite diminuivano. Più che essere complicato, risultava suggestivo, tanto più che tutte le ferite erano fresche e non predeterminate dal destino. Non avevo dubbi che il Capo fosse in grado di guarire anche la madre di Svetlana. Se anche il suo destino fosse precipitato nell'immediato futuro, se anche fosse destinata alla morte, era possibile guarirla. La morte sarebbe sopravvenuta per altre ragioni…
— Anton, non hai paura di affrontare simili argomenti?
Mi strinsi nelle spalle. Svetlana sospirò: — Regalare una speranza è una bella responsabilità. Anton, io non credo nei miracoli. Ma ora sono pronta a farlo. Tu non hai paura?
La guardai negli occhi.
— No, Svetlana. Ho paura di tante cose. Ma diverse.
— Anton, il vortice si è ridotto di venti centimetri. Anton, il Capo mi ha pregato di riferirti che sei in gamba.
Qualcosa non mi piacque nel suo tono. Il dialogo attraverso il Crepuscolo non è come un dialogo qualunque, e tuttavia le emozioni si avvertono.
— Che è successo? - chiesi attraverso la grigia, morta pellicola.
— Lavora, Anton.
— Che è successo?
— Potessi avere io una tale sicurezza — fece Svetlana. Guardò dalla finestra: — Non hai sentito un fruscio?
— È il vento — congetturai io. — Oppure è passato qualcuno.
— Ol'ga, parla!