— Anton, col vortice va tutto bene. Si riduce lentamente. In qualche modo riesci a elevare la sue difese interiori. In base ai nostri calcoli, verso mattina il vortice dovrebbe ridursi a una dimensione di accettabile pericolosità.

— Allora che problemi ci sono? Ol'ga, ci sono dei problemi, lo sento!

Ol'ga taceva.

— Ol'ga, non siamo soci?

Questo avrebbe dovuto funzionare. Non potevo vedere la civetta bianca, ma sapevo che le brillavano gli occhi e che aveva guardato per un istante la finestra del quartier generale operativo. E il volto del Capo e dell'osservatore delle Tenebre.

— Anton, ci sono dei problemi con il ragazzo.

— Con Egor?

— Anton, a cosa stai pensando? — chiese Svetlana. Era faticoso comunicare simultaneamente con la realtà ordinaria e col mondo del Crepuscolo.

— Che sarebbe bello potersi sdoppiare.

— Anton, tu hai una missione di gran lunga più importante.

— Ol'ga, parla.

— Non ti capisco, Anton. — Era di nuovo Svetlana.

— Sai, ho capito che un mio conoscente ha dei problemi. Problemi seri. — La guardai negli occhi.

— La vampira ha preso il ragazzino.

Non provai niente… né commozione, né pena, né ira o tristezza. Solo una sensazione di freddo e di vuoto dentro di me.

Forse era proprio perché me l'aspettavo. Non so perché, ma me l'aspettavo.

— Ma ci sono Orso e Tigrotto con lui!

— È andata così.

— Che gli è successo?

Che almeno non fosse stato iniziato! Meglio la morte, una semplice morte. La morte eterna è terribile.

— È vivo. Lei l'ha preso in ostaggio.

— Cosa?

Non poteva essere. Non era mai accaduto prima. Quello di prendere ostaggi è un divertimento da esseri umani.

— La vampira chiede di trattare. Vuole andare in giudizio… spera di cavarsela.

Diedi mentalmente alla vampira un dieci e lode per il suo acume. Non aveva alcuna possibilità di farla franca. Ma poteva sempre attribuire tutta la responsabilità al compagno ucciso che l'aveva iniziata… Non so niente, non ho visto niente. Sono stata morsa. E sono diventata così come mi vedete. Non conoscevo le regole. Non ho mai letto il Patto. Sarò una vampira normale, rispettosa delle leggi…

Poteva anche andarle bene! Soprattutto se i Guardiani della Notte avessero accettato di scendere a un compromesso. E saremmo scesi… non c'era via d'uscita per noi: ogni vita umana deve essere difesa.

Mi sentii sollevato. Dopotutto, chi era questo ragazzino per me? Se gli fosse toccato in sorte, avrebbe dovuto trasformarsi in una preda legale di vampiri e mutantropi. Così è la vita. E io sarei passato oltre. E se anche non gli fosse toccato, quante volte i Guardiani della Notte non avevano fatto in tempo, quanti esseri umani erano periti a causa delle Tenebre… Ma era strano: io per lui avevo già affrontato uno scontro, ero entrato nel Crepuscolo, avevo versato sangue. Non mi era proprio indifferente…

I tempi della comunicazione nel Crepuscolo sono assai più rapidi di quelli di una conversazione nel mondo degli uomini. E tuttavia ero costretto a dividermi tra Ol'ga e Svetlana.

— Anton, non arrovellarti sui miei problemi.

Malgrado tutto, avevo voglia di scoppiare in una risata. Sui suoi problemi si stavano arrovellando centinaia di teste, e Svetlana neppure ci pensava o se ne accorgeva. Ma era valsa la pena ricordare che esistevano anche i problemi altrui, inezie se paragonati al vortice infernale, poiché la ragazza li aveva fatti per un momento propri.

— Sai, esiste una legge — esordii. — La legge della dualità. È vero, tu hai delle difficoltà, ma anche un'altra persona può avere seri problemi. Sono solo suoi problemi personali, ma ciò non lo fa certo sentire meglio.

Aveva compreso, e ciò che mi piacque fu che non si adombrò. Si limitò a precisare: — Anche i miei sono problemi personali.

— Non del tutto — replicai. — Così almeno mi pare.

— E quella persona tu puoi aiutarla?

— L'aiuteranno senza di me — dissi.

— Ne sei sicuro? Grazie per avermi ascoltato, ma adesso così su due piedi non è possibile aiutarmi. È il destino che è davvero idiota.

— Mi sta mandando via? - chiesi attraverso il Crepuscolo. Non avrei voluto toccare la sua coscienza ora.

— No - replicò Ol'ga. — No… Anton, lei sente.

Possibile che avesse dei poteri come gli Altri? O si trattava di un flash provocato dalla catastrofe infernale che incombeva?

— Che cosa sente?

— Che là hanno bisogno di te.

— Perché di me?

— Quella carogna succhiasangue… chiede di trattare solo con te. Con te che gli hai ucciso il partner.

E a questo punto mi sentii davvero male. Da noi esisteva un corso facoltativo sulle misure antiterrorismo, per non dover ricorrere ai poteri magici se si restava invischiati in qualche regolamento di conti tra umani, più che per reali esigenze operative. Avevamo studiato la psicologia del terrorista e la vampira aveva agito in modo del tutto conseguente a quella logica. Io ero stato il primo agente della Guardia a finire sulla sua pista. Avevo ucciso il suo maestro e ferito anche lei. Avevo tutte le caratteristiche di un avversario.

— È da molto che lo chiede?

— Da una decina di minuti.

Guardai gli occhi di Svetlana, asciutti, calmi, senza neppure una lacrima. È più difficile quando dietro un volto tranquillo si cela il dolore.

— Sveta, e se ora me ne andassi?

Lei si strinse nelle spalle.

— E tutto così stupido… — le dissi. — Ho l'impressione che ora tu abbia bisogno di aiuto. O almeno di qualcuno che sappia ascoltarti. Che accetti di sedersi qui e beva il tè ormai freddo.

Un debole sorriso e un sì appena accennato del capo.

— Ma hai ragione… C'è un'altra persona che ha bisogno del mio aiuto.

— Anton, sei strano.

Scossi la testa. — Non sono strano. Sono molto strano.

— Ho la sensazione di conoscerti da un pezzo, ma mi sembra di vederti per la prima volta. E poi è come se tu parlassi con me e contemporaneamente con qualcun altro.

— Sì — le dissi. — È così.

— Sto forse impazzendo?

— No.

— Anton… tu non sei venuto da me per caso.

Non risposi. Ol'ga mormorò qualcosa e poi tacque. Sulla testa di Svetlana turbinava lentamente un gigantesco vortice.

— No, non per caso — le dissi. — Per aiutarti.

Il mago delle Tenebre, che aveva lanciato la maledizione, poteva sempre controllarci. Esisteva l'eventualità che non si trattasse di una incidentale "maledizione materna", ma del colpo messo a segno da un professionista…

Bastava instillare anche solo una goccia di odio in quella nube delle Tenebre, indebolire appena la volontà di vivere di Svetlana e sarebbe scoppiata la catastrofe. Nel centro di Mosca si sarebbe risvegliato un vulcano, il cervello elettronico di un missile nucleare sarebbe impazzito, un virus influenzale mutante…

Ci guardammo in silenzio.

Forse ero sul punto di capire ciò che stava avvenendo. La soluzione era lì a portata di mano, e tutte le nostre interpretazioni non erano che fesserie inutili, sciocchezze, rispetto di vecchie regole e di procedure che il Capo aveva chiesto di abbandonare. Ma per questo occorreva riflettere, astrarsi almeno per un secondo dagli avvenimenti, fissare una parete nuda o un teleschermo vuoto e non dilaniarsi tra il desiderio di aiutare un piccolo essere umano piuttosto che centinaia di migliaia di uomini.

— Sveta, devo andare — dissi.

— Anton! - Non era Ol'ga, ma il Capo. — Anton…

S'impappinò: non poteva ordinarmi nulla, la situazione era, sul piano etico, in un vicolo cieco. Evidentemente la vampira insisteva sulle proprie decisioni e non intendeva trattare con nessun altro. Ordinandomi di restare, il Capo uccideva il ragazzino ostaggio… e perciò non poteva ordinarmelo. E neppure chiedermelo.


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