Un cupo cielo grigio dove non ci sono, né ci saranno mai, le stelle, un cielo vischioso come gelatina, illuminato da una luce fioca, sepolcrale. Tutti i profili si attenuano, dissolvendosi, e le case, i muri sono invasi da un muschio di colore blu. E poi gli alberi, i cui rami stormiscono, ma non per il vento; i fanali delle vie, sopra cui vorticano uccelli notturni, muovendo appena le corte ali. Le auto ci vengono incontro piano, piano, gli umani passano, battendo appena i piedi. Come attraverso un filtro grigio. E i suoni sono ovattati. Come il cinema in bianco e nero, l'effetto voluto da un annoiato regista. Il mondo da cui noi attingiamo la nostra forza. Il mondo che prosciuga la nostra vita. Il Crepuscolo. Come entri, così esci. Una grigia nebbia dissolve quella membrana che si è sviluppata su di te nel corso di una vita, strappa quel nucleo che gli uomini chiamano "anima" per testarlo. E quando ti sentirai frusciare tra le fauci del Crepuscolo e avvertirai un vento gelido pungente, velenoso come la saliva di un serpente… allora diventerai un Altro.

E sceglierai da che parte stare.

— Il ragazzo è ancora nel Crepuscolo?

— Sono tutti nel Crepuscolo… Anton, ma perché non l'hai detto? — mi chiese Il'ja.

— Non ci ho pensato. Non gli attribuivo nessun significato. Io non sono un operativo, Il'ja.

Lui scosse la testa.

Non riusciamo, proprio non riusciamo a biasimarci l'un l'altro. Soprattutto quando qualcuno ha davvero delle colpe. Non ce n'è bisogno, il nostro castigo è sempre intorno a noi. Il Crepuscolo ci dà una forza, inaccessibile agli umani, ci dà una vita, secondo la concezione degli uomini, quasi eterna. Ma poi ci toglie tutto, quando giunge l'ora.

In un certo senso siamo tutti indipendenti gli uni dagli altri. Non soltanto i vampiri e i mutantropi, che siamo costretti a uccidere per continuare la nostra strana esistenza. Le Forze delle Tenebre non possono permettersi il Bene. Noi, il contrario.

— Se non dovessi cavarmela… — Non terminai la frase. Anche così era tutto chiaro.

Capitolo 8

Attraverso il Crepuscolo sembrava addirittura bello. Sul tetto, il tetto piatto di quell'assurdo "casermone con le zampe", guizzavano luci variopinte. L'unica cosa a possedere qui un colore erano le nostre emozioni. Ora più che in eccesso.

A scintillare maggiormente era una colonna fiammeggiante e purpurea che perforava il cielo: la paura e la rabbia della vampira.

— È forte — disse Semën, guardando il tetto e chiudendo con un calcio lo sportello dell'auto. Sospirò e cominciò a spogliarsi.

— Cosa fai? — gli chiesi.

— Mi arrampico sul muro… lungo i balconi. E ti consiglio, Il'ja, di entrare solo tu nel Crepuscolo. È meglio.

— Tu, invece, che cosa intendi fare?

— Quello che faccio di solito. Ci sono meno probabilità di essere notati. Non preoccupatevi… pratico l'alpinismo da sessant'anni. Sono stato io a togliere la bandiera nazista sull'Elbrus.

Semën si spogliò e restò in camicia, gettando i vestiti sulla capote. Fece un veloce sortilegio protettivo, che colpì sia i vestiti sia il trabiccolo da esibizionista.

— Sei sicuro? — m'informai.

Semën sogghignò, fece qualche flessione, roteò le braccia come un atleta durante gli esercizi di riscaldamento. E saltellando corse verso l'edificio. Un nevischio sottile gli cadeva sulle spalle.

— Ce la farà ad arrampicarsi? — chiesi a Il'ja. Sapevo come ci si arrampica sul muro di un edificio nel Crepuscolo. Almeno in teoria. Ma un'ascensione nel mondo ordinario, per di più senza alcun equipaggiamento…

— Deve — affermò Il'ja senza troppa convinzione. — Quando ha nuotato sott'acqua per dieci minuti nel fiume Jauza… pensavo anch'io che non ce l'avrebbe fatta.

— Trent'anni di lezioni di nuoto subacqueo — dissi io tetro.

— Quaranta… Io vado, Anton. Prendi l'ascensore?

— Sì.

— Allora, forza. Non indugiare.

Attraversò il Crepuscolo, inseguendo di corsa Semën. Probabilmente si sarebbero arrampicati lungo pareti diverse, ma non volevo sapere quali. Avevo anch'io la mia missione da compiere e non doveva essere delle più facili.

— Perché il Capo mi sarà venuto incontro? — bisbigliai, correndo verso l'edificio. La neve scricchiolava sotto i miei piedi e il sangue mi pulsava nelle orecchie. Mentre correvo presi dalla fondina la pistola e tolsi la sicura. C'erano otto proiettili d'argento deflagranti. Sarebbero dovuti bastare. Se solo fossi riuscito a colpirla! Se solo avessi trovato il momento giusto per mirare alla vampira senza ferire il ragazzo!

— Prima o poi ti avremmo incontrato, Anton. Se non noi, i Guardiani del Giorno. E anche loro avevano tutte le probabilità di beccarti.

Non mi stupii che mi stesse seguendo. Innanzi tutto la questione era seria. E secondariamente lui era stato il mio maestro.

— Boris Ignat'evič, a proposito… - Mi sbottonai la giacca e mi ficcai la pistola dietro la schiena, infilando la canna nella cintura. — …Di Svetlana…

— Sulla madre sono stati effettuati tutti i controlli, Anton. Niente. Non è in grado di scagliare una maledizione. Non ha nessun potere.

— No, mi riferivo ad altro. Boris Ignat'evič… ecco che cosa ho pensato. Io non ho avuto compassione di lei.

— Che cosa vuoi dire con questo?

— Non lo so. Ma non ho avuto compassione di lei. Non le ho fatto complimenti. Non l'ho giustificata.

— Ho capito.

— E ora… sparisca, per favore. È la mia missione.

— Va bene. Perdonami se ti ho mandato sul campo. Buona fortuna, Anton!

Da quel che ricordavo, il Capo non s'era mai scusato con nessuno. Ma non era il momento di stupirsi… l'ascensore era arrivato.

Pigiai il pulsante dell'ultimo piano e meccanicamente afferrai la cuffia. Era strano che suonasse. Quando avevo acceso il walkman?

E cosa mi riserva il caso?
Tutto si deciderà poi, per qualcuno lui è nessuno.
Per me è il signore,
me ne starò nel buio, per qualcuno io sono un'ombra
per altri sono invisibile.

Adoro i Piknik. Curioso: avevano mai controllato se Skljarskij non fosse per caso un Altro? Sarebbe valsa la pena… O forse no. Era meglio che continuasse a fare il cantante.

Ballo fuori tempo, ogni cosa faccio fuori tempo,
e non me ne preoccupo.
Oggi sono come la pioggia che non cessa mai,
come un fiore che non sboccia mai,
io, io, io sono invisibile.
lo, io, io sono invisibile.
I nostri volti sono come fumo, fumo
e nessuno sa come vinceremo…

Poteva essere di buon auspicio quest'ultima frase?

L'ascensore si fermò.

Sbucai sul pianerottolo dell'ultimo piano, guardai la botola nel soffitto. La serratura era stata scardinata, proprio scardinata, la stanghetta divelta. Alla vampira questo non serviva, con ogni probabilità lei era volata sul tetto. Il ragazzino si era arrampicato lungo i balconi.

Allora Tigrotto e Orso. Più facilmente Orso. Tigrotto avrebbe sfondato la botola.

Mi tolsi la giacca e la gettai per terra insieme alle mie cuffie ronzanti. Toccai la pistola dietro la schiena: era messa bene. I dispositivi tecnici sono tutti quanti una cavoiata? Vedremo, Ol'ga, vedremo.

Lanciai la mia ombra in alto, proiettandola nell'aria. Sollevai le braccia e vi entrai di slancio. Dopo essere penetrato nel Crepuscolo, salii sulla scaletta. Il muschio blu. saldamente attaccato alle sbarre di metallo, balzava via come una molla da sotto le dita.

— Anton!

Sbucai sul tetto e quasi il vento mi piegò tanta era la sua forza. Raffiche violente, gelide. Forse un riflesso del vento del mondo ordinario, o forse una bizzarria del Crepuscolo. Per ora a proteggermi era la scatola di cemento del pozzo dell'ascensore che finiva sopra il tetto, ma bastava muoversi di un passo e il vento ti penetrava fin nelle ossa.


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