Guardai il demone e scossi la testa. — Zavulon… tu non hai più alcun potere su di me.

Il demone ululò, avventandosi contro di me. Non aveva più potere, ma di forze ne aveva ancora in eccesso.

— Ma… ma… — disse Il'ja in tono edificante.

Una fiammeggiante parete bianca tagliò lo spazio tra noi due. Zavulon ululò e scostò la parete di luce bianca. Sussultò in modo ridicolo per le zampe ustionate, non più temibile, piuttosto assurdo.

Sul tetto tutto tacque. Tigrotto e la strega Alisa erano vicini, senza aggredirsi. Semën guardava ora me ora Il'ja e non era chiaro chi dei due lo stupisse di più. La vampira piangeva sommessamente, cercando di rialzarsi. Lei stava peggio di tutti: aveva investito tutte le forze nel combattimento con Orso per sopravvivere e ora cercava a fatica di rigenerarle. Con uno sforzo incommensurabile si precipitò fuori dal Crepuscolo e si trasformò in una smunta silhouette.

Persino il vento sembrava essere cessato…

— Come si fa a trasformare una persona da sempre retta in un mago delle Tenebre? — chiesi. — Come si fa a far passare dalla parte delle Tenebre una persona incapace di odiare? La si può colpire con disgrazie di ogni genere… un po' per volta, piano piano, sperando che si esasperi, ma non servirà se è una persona retta, anzi se… è una ragazza retta.

Il'ja scoppiò a ridere piano, approvando.

— L'unica che potrà odiare — guardai Zavulon negli occhi nel punto in cui ora era rimasto solo livore impotente — sarà se stessa. Ed ecco una mossa insospettata. Insolita. Facciamole ammalare la madre. Lasciamo che la ragazza si roda l'anima, si disprezzi per la propria impotenza e la propria incapacità di aiutarla. Releghiamola in un angolo dove potrà solo odiare, sia pure se stessa, ma soltanto odiare. Ci sarebbe, a dire il vero, una piccola chance: un agente della Guardia della Notte; lui solo, attraverso il suo lavoro operativo, potrebbe spiegare…

Le gambe mi cedevano: non ero abituato a stare così a lungo nel Crepuscolo. Rischiavo di cadere in ginocchio davanti a Zavulon, cosa che non volevo assolutamente.

Semën strisciò attraverso il Crepuscolo e mi resse per le spalle. Forse lo faceva da centocinquant'anni.

— Uno sconosciuto con una missione sul campo… — ripetei. — Uno sconosciuto che venga meno alla procedura. Che non provi compassione per la ragazza, che non cerchi di consolarla, perché la compassione le sarebbe fatale. In questo caso bisogna distoglierlo. Creare un diversivo che lo tenga occupato. Dirottarlo su un incarico secondario, che lo faccia sentire personalmente responsabile e che gli risulti simpatico, dirottarlo su qualcosa che è già a portata di mano. A questo scopo anche una vampira come tante può essere sacrificata. Non è così?

Zavulon ricominciò a trasformarsi. Riprese in tutta fretta le sue sembianze da intellettuale afflitto.

Era ridicolo. Perché mai? Io l'avevo veduto com'era nel Crepuscolo, com'era stato una volta e come sarebbe sempre stato.

— Una strategia dalle molte mosse — continuai. — Vi garantisco che la madre di Svetlana non deve necessariamente morire di un male incurabile. Da parte vostra c'è stata un'interferenza magica, nei limiti della legalità… Ma anche noi allora abbiamo dei diritti.

— Lei è nostra! — disse Zavulon.

— No. — Scrollai il capo. — Non ci sarà nessuna catastrofe infernale. Sua madre guarirà. Ora io vado da Svetlana… a dirle tutto. La ragazza verrà dai Guardiani della Notte. Zavulon, lei ha perso. Ha perso comunque.

I brandelli di vestiti disseminati sul tetto scivolarono fino al mago delle Tenebre, si ricongiunsero e lo ricoprirono del suo sembiante triste, affascinante, partecipe della tristezza di tutto il mondo.

— Nessuno di noi lascerà questo luogo — disse Zavulon. Alle sue spalle prese a turbinare la Tenebra, con due immense ali nere dispiegate.

Il'ja scoppiò di nuovo a ridere.

— Io sono più forte di tutti voi. — Zavulon guardò in tralice Il'ja. — Le tue forze non sono illimitate. Voi resterete qui per sempre, nel Crepuscolo, nei suoi strati più profondi in cui avevate avuto timore di guardare…

Semën sbuffò e disse: — Anton, sembra che non l'abbia ancora capita.

Mi voltai e chiesi: — Boris Ignat'evič, ma c'è ancora bisogno di questa mascherata?

Il giovane operativo un po' impudente si strinse nelle spalle: — Certo, Anton. Mi capita così di rado di poter osservare il capo dei Guardiani del Giorno in azione… perdona questo vecchio. Spero che sia stato altrettanto interessante per Il'ja prendere il mio posto…

Boris Ignat'evič riprese il suo aspetto di sempre. Di colpo, senza metamorfosi teatrali ed effetti di luci. Era in vestaglia e con in testa la tjubetejka, il berretto usbeco, solo che ai piedi aveva dei morbidi ičigi, e sopra questi stivali un paio di calosce.

Era piacevole guardare il volto di Zavulon.

Le oscure ali non erano scomparse, ma avevano cessato di crescere. Ora battevano incerte come se il mago avesse intenzione di volare via, ma esitasse.

— Chiudi l'operazione, Zavulon — disse il Capo. — Se ve ne andate all'istante da qui e dalla casa di Svetlana, non invieremo formale protesta.

Il mago delle Tenebre non esitò. — Ce ne andiamo.

Il Capo annuì, come se non si aspettasse nessun'altra risposta. Ma non abbandonò il bastone, e la barriera tra me e Zavulon svanì.

— Mi rammenterò del ruolo che hai avuto… — bisbigliò senza indugio il mago delle Tenebre. — Per sempre.

— Rammentalo — concordai io. — È utile.

Zavulon allargò le braccia, le possenti ali batterono all'unisono e lui scomparve. Ma prima lanciò un'occhiata alla strega e lei sputò.

Come fu spiacevole! Uno sputo non è un segno fatale, ma pur sempre sgradevole.

Con una lieve e pretenziosa andatura, che non si addiceva assolutamente al volto insanguinato e ammaccato e con la mano sinistra che penzolava, Alisa si avvicinò a me.

— Anche tu devi andartene — disse il Capo.

— Certo, con sommo piacere! — replicò la strega. — Ma prima avrei un piccolo… piccolissimo diritto. Non è vero, Anton?

— Sì — mormorai io. — Un intervento di settimo grado.

Contro chi era diretto il colpo? Contro il Capo? Ridicolo. Contro Tigrotto, Orso, Semën…? Sciocchezze. Contro Egor? Ma che cosa si poteva suscitare in lui a un livello così basso d'interferenza?

— Confidati — disse la strega. — Confidati con me, Anton. Si tratta di un'interferenza del settimo grado. Il Capo dei Guardiani della Notte è testimone: non oltrepasserò i limiti.

Semën gemette, stringendomi la spalla fino a farmi male.

— Ne ha diritto — dissi. — Boris Ignat'evič…

— Agisci come devi — rispose piano il Capo. — Io starò a guardare.

Sospirai, rivelandomi davanti alla strega. "Ma non potrà fare nulla! Nulla! Un'interferenza del settimo grado! Non riuscirà a dirottarmi dalle Tenebre! È semplicemente ridicolo!"

— Anton — disse la strega in tono soave. — Di' al Capo ciò che volevi dire. Di' la verità. Agisci in modo onesto e retto. Così come devi agire.

— Un intervento minimo… — confermò il Capo. Se nella sua voce c'era dolore, doveva essere così nel profondo che a me non era dato coglierlo.

— Una strategia dalle molte mosse — dissi io, guardando Boris Ignat'evič. — L'ambigua Guardia del Giorno sacrifica le sue pedine. La Guardia della Notte le proprie. Per un grande obiettivo. Per attirare dalla propria parte una straordinaria inaudita forza magica. Può anche perire un giovane vampiro che ha tanta voglia di amare. Può perire, svanendo nel Crepuscolo, anche un ragazzino dotato dei deboli poteri di Altro. Possono soffrire allo stesso modo i suoi collaboratori. Ma il fine giustifica i mezzi. Due grandi maghi, che si combattono da centinaia d'anni, tramano l'ennesimo piccolo scontro. Per il mago della Luce è più difficile… punta tutto su una carta sola. E la sconfitta per lui non sarebbe solo amara, equivarrebbe a un passo nel Crepuscolo, un passo definitivo. Eppure mette in gioco tutti su questa carta. I suoi e gli altri. Non è così, Boris Ignat'evič?


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