Seconda Storia

Straniero tra i suoi

Prologo

Si chiamava Maksim.

Un nome non proprio raro, ma nemmeno banale. Dal suono decisamente armonioso. Un bel nome russo, anche se probabilmente le sue radici si perdevano tra i Greci, i Variaghi e gli Sciti.

Era contento del suo aspetto. Non aveva la bellezza melensa degli attori dei serial televisivi, ma nemmeno una faccia qualsiasi, di quelle che si dimenticano subito. Un bell'uomo, tra la gente lo si notava: ben costruito, ma senza esagerazioni, senza vene gonfie e il fanatismo dell'allenamento quotidiano in palestra.

E anche per quanto riguardava la professione — consulente per una grossa ditta straniera — e le entrate, poteva permettersi diversi capricci, ma non tanto da temere di suscitare l'interesse del racket.

Era proprio come il suo angelo custode aveva deciso: «Sarai un po' meglio degli altri.» Un po', ma meglio. E la cosa più importante era che a Maksim andava benissimo così. Arrampicarsi un po' più in alto, rovinandosi la vita per una macchina più accessoriata, un invito a una serata importante o un appartamento con una camera in più… perché? La vita è bella per se stessa, e non per i beni che puoi riuscire ad afferrare. In questo senso è l'esatto opposto dei soldi, che in se stessi non sono nulla.

Naturalmente Maksim non aveva mai formulato questi pensieri in modo così esplicito. Una delle caratteristiche delle persone che nella vita riescono a occupare esattamente il loro posto è quella di prendere le cose come vengono. Tutto va così come deve andare. E se qualcuno non è riuscito ad avere quello che si aspettava… è soltanto colpa sua. Colpa della sua pigrizia, o della sua stupidità. O del fatto che aveva un livello di aspettative troppo elevato.

A Maksim quella frase piaceva molto: "un livello di aspettative troppo elevato". Rimetteva tutto al suo posto. Spiegava, per esempio, come mai la sua bella e intelligente sorella vegetasse a Tambov con un marito alcolista. Cercava qualcosa di meglio e di più promettente… be', l'aveva trovato. O il suo vecchio compagno di scuola, da due mesi in traumatologia. Voleva sviluppare il business? E l'aveva sviluppato. Poteva dirsi fortunato a essere ancora vivo. I suoi concorrenti sul mercato dei metalli non ferrosi si erano dimostrati persone civili…

In un unico caso Maksim applicava l'espressione "un livello di aspettative troppo elevato" a se stesso. Ma era una questione così strana e complessa che non aveva neppure voglia di ripensarci troppo. Era più semplice non pensarci, e rassegnarsi a quella cosa strana che gli capitava talvolta in primavera, qualche volta in autunno e raramente, ma proprio rarissimamente, nel pieno dell'estate, quando la calura esplodeva in modo così insopportabile da spazzargli via dal cervello tutto il buon senso e la prudenza, e anche qualche leggero dubbio sulla sua perfetta integrità psichica… Non che Maksim si fosse mai considerato schizofrenico. Aveva letto diversi libri e consultato qualche medico importante, naturalmente senza entrare troppo nei dettagli.

No, era normale. Evidentemente però esisteva davvero ciò davanti a cui la mente si ritira, e le normali regole dell'esistenza dell'uomo non sono più valide. Aspettative troppo elevate… non era piacevole. Ma lo erano davvero, troppo elevate…

Maksim era seduto in macchina con il motore spento, nella sua Toyota ben tenuta, non il modello più caro e lussuoso, ma sempre molto meglio della maggioranza delle macchine che percorrevano le strade di Mosca. Nella semioscurità del mattino la sagoma dell'uomo al volante non si distingueva neppure a pochi passi dalla macchina. Aveva trascorso così tutta la notte, ascoltando i leggeri fruscii del motore che si raffreddava, morendo di freddo, ma senza permettersi di accendere il riscaldamento. Non aveva voglia di dormire, come succede di solito in questi casi. E nemmeno di fumare. Non aveva voglia di niente, anche così era bello starsene seduti lì, senza muoversi, niente più che un'ombra nella macchina posteggiata sul ciglio della strada, in attesa. L'unico problema era che sua moglie avrebbe di nuovo pensato che aveva trascorso la notte con qualche amante. E come convincerla che non aveva un'amante, per lo meno fissa, e che tutti i suoi peccati si riducevano ai soliti amorazzi estivi, a qualche storiella sul lavoro e raramente a una professionista durante le trasferte… e comunque non pagata con soldi sottratti al bilancio familiare, ma gentilmente offerta dal cliente? Non si poteva rifiutare, si sarebbero offesi. O avrebbero pensato che era omosessuale e la volta dopo gli avrebbero proposto un ragazzo…

Con un baluginio verde le cifre dell'orologio passarono a indicare le cinque. Ecco che si mettevano al lavoro i primi portinai: era un quartiere prestigioso nella parte più antica di Mosca, alla pulizia ci tenevano moltissimo. Per fortuna non pioveva e la neve non c'era più: l'inverno era finito, finalmente, e aveva fatto posto alla primavera, con tutti i suoi problemi e le sue aspettative troppo elevate…

Si sentì sbattere la porta di un ingresso. Sul marciapiede apparve una ragazza, che si fermò ad aggiustarsi la borsa sulla spalla, a una decina di metri da lui. Erano stupide quelle case, tutte senza cortile, non era comodo lavorarci e nemmeno viverci, probabilmente: che senso aveva tutta quell'aria di prestigio se poi appena marciva un tubo i muri spessi si coprivano di muffa e probabilmente appariva anche qualche spettro?

Maksim sorrideva leggermente uscendo dalla macchina. Il suo corpo gli ubbidiva facilmente, i muscoli non sembravano provati dall'immobilità notturna, anzi si sentiva come attraversato da una nuova forza. E quello era un segnale sicuro.

No, gli interessava comunque: ma gli spettri esistono?

— Galja! — gridò. La ragazza si girò. Anche quello era un altro segnale, altrimenti si sarebbe subito messa a correre. In fondo c'è qualcosa di sospetto e di pericoloso in un uomo che ti aspetta sotto casa alle cinque del mattino…

— Io non la conosco — disse la ragazza. Tranquillamente, con una sfumatura di curiosità.

— Vero — convenne Maksim. — Io però la conosco.

— Chi è lei?

— Io sono Colui che giudica.

Gli piaceva proprio quella forma, arcaica, enfatica, solenne. Colui che giudica! Colui che ha il diritto di giudicare.

— E chi ha intenzione di giudicare?

— Lei, Galja. — Maksim era concentrato e sbrigativo. Lo sguardo cominciava a offuscarsi, e anche quello era un segno.

— Davvero? — Lei gli lanciò un'occhiata rapida e Maksim colse nelle sue pupille un lampo giallo. — E ci riuscirà?

— Ci riuscirò — rispose Maksim, alzando un braccio. Il pugnale l'aveva già nascosto nel palmo della mano, un pugnale di legno stretto, sottile, un tempo chiaro, ma che nel corso degli ultimi tre anni, impregnandosi, si era scurito…

La ragazza non emise suono quando la lama di legno le penetrò nel petto, appena sotto il cuore.

Come sempre Maksim provò un momento di terrore, una breve e bruciante vampata di orrore… E se, nonostante tutto, avesse commesso un errore? Se…?

Con la mano sinistra toccò la crocetta, la semplice crocetta di legno, che portava sempre al collo. E rimase così, con il pugnale di legno in una mano e la crocetta stretta nell'altra, in piedi, finché la ragazza non cominciò a trasformarsi…

Avvenne molto rapidamente. Avveniva sempre rapidamente: la trasformazione in animale e poi di nuovo in essere umano. Per alcuni istanti sul marciapiede ci fu una belva, una pantera nera con gli occhi vitrei, i denti digrignati: un trofeo di caccia, elegante nel suo abbigliamento severo, completo di calze e scarpe… Poi il processo si rimise in moto nel senso inverso, come se il pendolo oscillasse un'ultima volta.

Maksim si stupì non tanto di quella breve e come sempre tardiva trasformazione, quanto del fatto che sul corpo della ragazza non fosse rimasta nessuna ferita. Il breve istante della trasformazione l'aveva guarita, rendendola di nuovo integra. Rimaneva solo il taglio sulla giacca e sulla camicetta.


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